22 luglio 1994, Banjul, The Gambia
Avevamo appena superato la nona buca, quella per me più difficile (la pallina finiva nove volte su dieci in acqua) e sorseggiato una birra gelida sulla spiaggia, in quel punto dove il campo da golf arrivava quasi a lambire l'Oceano. L'afa estiva si era da poco diradata grazie alle abbondanti pioggie della notte, la temperatura sembrava perfino piacevole. Chris tentava, con molta pazienza, di indirizzare e rendere fluido il mio drive di principiante, quando alcuni spari rimbombarono nell'aria. Non sembravano propriamente dei fuochi d'artificio, come a volte capitava. In modo sbrigativo liquidammo la questione come l'entusiasmo di qualche deficiente che esplodeva colpi di fucile, magari per salutare l'arrivo del proprio figlio. Alla dodicesima buca ci fermammo osservando l'insolita situazione di essere gli unici a giocare, nonostante fosse venerdì. Ci guardammo e altri spari, questa volta molto più vicini, interruppero un silenzio quasi surreale. Qualcosa non andava. Ci avviammo con passo sostenuto verso la Club House, nel cui parcheggio oltre alla nostra vecchia Peugeot bianca, non era rimasta nessuna auto. Anche questo era molto insolito. Le due ragazze al bar erano sconvolte (una volta, anni dopo, raccontando ad un'amico quest'episodio mi scappò un "erano bianche cadaveriche" .... che per due due splendide ragazze mandinka dalla pelle nero ebano era alquanto impossibile!), la radio ripeteva lo stesso messaggio in più lingue, alcune locali oltre all'inglese, al francese e al tedesco. C'era stato un colpo di stato. Giovani ufficiali, capitanati da Yahya Jammeh (che, ironia della sorte era nato nell'anno della proclamazione dell'indipedenza del Gambia, il 1965) avevano destuito, mentre si trovava su di una portaaerei americana alla fonda nel porto di Banjul, il presidente della repubblica, il veterinario Dawda Jawara (alla guida del Paese fin dall'indipendenza del 18 febbraio 1965). Pare che l'origine della rivolta sia stata determinata da una protesta sul mancato pagamento degli stipendi, poi come spesso accade, una cosa tira l'altra e l'obiettivo cambia.
La situazione è caotica. Frammentate le notizie giungono dalla stazione radio che annuncia la sospensione della Costituzione e il coprifuoco, mentre nell'aria aleggiano le esplosioni delle armi da fuoco.
Pochi minuti dopo - siamo rimasti oramai solo noi e le due ragazze della Club House - irrompono nel piazzale una dozzina di militari, armati di tutto punto, con divisa mimetica e copricapo rosso. Devo ammettere che la tensione si taglia con un coltello. Fatichiamo non poco a convincerli di lasciarci la macchina (la carta di essere operatori sanitari risulterà vincente), che prima del loro arrivo era stata posta in un cortile interno. Sono molto avari di parole. Ci aggiornano sul fatto che la città è sotto il loro controllo e che molti degli spari sono colpi sparati all'aria per festeggiare la fine di quello che loro definiscono un regime corrotto che ha affamato la povera gente. Alle nostre richieste di rientrare verso casa (siamo in appensione per mia moglie e la figlia di Chris restate quella mattina a casa), si offrono di accompagnarci, a piedi, verso Pipeline Road, da dove sarà possibile chiedere un passaggio. Ci avviamo lentamente tra le strade di terra battuta e tra le case di un quartiere popolare. Strade insolitamente deserte, perfino gli immancabili ambulanti, presenti in ogni angolo della strada hanno chiuso frettolosamente il loro commercio. I soldati imbracciano nervosamente delle mitragliette e tengono aperto un canale radio dove si odono secche frasi in un inglese incomprensibile. Durante il percorso più volte sono costretto a chiedere, a quello che sembra essere il capo, di stare lontano da noi, di camminare più avanti (la mia preoccupazione è di trovarci , nostro malgrado, nel mezzo di un conflitto armato). Camminiamo per venti minuti che a noi sembrano interminabili. Erik smorza la tensione raccontando brevi aneddoti del suo lungo trascorso africano, alle frontiere dell'allora Zaire. Giungiamo nella strada dove sfrecciano pickup carichi di persone, molte armate, che sparano in aria e urlano. Una camionetta militare si ferma a pochi passi da noi ed i nostri accompagnatori, dopo averci salutato, vi salgono e sfrecciano via.
Restiamo soli, sicuramente più rilassati e decidiamo di continuare, a piedi, verso casa.
Il golpe in Gambia del 1994 è stato incruento. Nessun morto, nessun ferito. Dopo un paio di giorni in casa, usciamo trovando una massiccia presenza di militari, cortesi e disponibili verso la popolazione e verso gli stranieri. Dopo 16 anni Jammeh è ancora al potere in Gambia, ha sventato un tentativo di golpe nel 2006 (proprio in questi giorni vi è stata la sentenza a morte contro gli autori) e da più parti è accusato di essere un dittatore e di aver messo il bavaglio alla stampa.
In molti i Paesi africani i colpi di stato hanno sostituito le elezioni. Sono cambiati governi , si sono abolite costituzioni e scritte nuove leggi fondamentali senza che i cittadini fossero mai coinvolti in tali processi. Il numero di leader politici assassinati, nel XX secolo, in Africa è straordinariamente alto (ma su tutte queste cose ritornerò).
Ancora oggi la situazione politica in Africa è molto instabile. Il virus della guerra è diffuso come in nessun altro continente.
Nel triennio 2008-2010 nel mondo vi sono stati 6 colpi di stato, cinque dei quali in Africa (per la cronaca il sesto è stato in Honduras).
L'ultimo leader poltico in carica assassinato nel mondo è africano e risale al 2009 (Guinea Bissau).
Il "golpe delle noccioline" è il titolo di un articolo dell'edizione nazionale del "Il Gazzettino" che mia madre ha ritagliato e custodito, preoccupata per la mia presenza nel Paese. La Gambia, paese completamente privo di risorse, produceva quasi esclusivamente arachidi (acquistate da una multinazionale svizzera).
La situazione è caotica. Frammentate le notizie giungono dalla stazione radio che annuncia la sospensione della Costituzione e il coprifuoco, mentre nell'aria aleggiano le esplosioni delle armi da fuoco.
Pochi minuti dopo - siamo rimasti oramai solo noi e le due ragazze della Club House - irrompono nel piazzale una dozzina di militari, armati di tutto punto, con divisa mimetica e copricapo rosso. Devo ammettere che la tensione si taglia con un coltello. Fatichiamo non poco a convincerli di lasciarci la macchina (la carta di essere operatori sanitari risulterà vincente), che prima del loro arrivo era stata posta in un cortile interno. Sono molto avari di parole. Ci aggiornano sul fatto che la città è sotto il loro controllo e che molti degli spari sono colpi sparati all'aria per festeggiare la fine di quello che loro definiscono un regime corrotto che ha affamato la povera gente. Alle nostre richieste di rientrare verso casa (siamo in appensione per mia moglie e la figlia di Chris restate quella mattina a casa), si offrono di accompagnarci, a piedi, verso Pipeline Road, da dove sarà possibile chiedere un passaggio. Ci avviamo lentamente tra le strade di terra battuta e tra le case di un quartiere popolare. Strade insolitamente deserte, perfino gli immancabili ambulanti, presenti in ogni angolo della strada hanno chiuso frettolosamente il loro commercio. I soldati imbracciano nervosamente delle mitragliette e tengono aperto un canale radio dove si odono secche frasi in un inglese incomprensibile. Durante il percorso più volte sono costretto a chiedere, a quello che sembra essere il capo, di stare lontano da noi, di camminare più avanti (la mia preoccupazione è di trovarci , nostro malgrado, nel mezzo di un conflitto armato). Camminiamo per venti minuti che a noi sembrano interminabili. Erik smorza la tensione raccontando brevi aneddoti del suo lungo trascorso africano, alle frontiere dell'allora Zaire. Giungiamo nella strada dove sfrecciano pickup carichi di persone, molte armate, che sparano in aria e urlano. Una camionetta militare si ferma a pochi passi da noi ed i nostri accompagnatori, dopo averci salutato, vi salgono e sfrecciano via.
Restiamo soli, sicuramente più rilassati e decidiamo di continuare, a piedi, verso casa.
Il golpe in Gambia del 1994 è stato incruento. Nessun morto, nessun ferito. Dopo un paio di giorni in casa, usciamo trovando una massiccia presenza di militari, cortesi e disponibili verso la popolazione e verso gli stranieri. Dopo 16 anni Jammeh è ancora al potere in Gambia, ha sventato un tentativo di golpe nel 2006 (proprio in questi giorni vi è stata la sentenza a morte contro gli autori) e da più parti è accusato di essere un dittatore e di aver messo il bavaglio alla stampa.
In molti i Paesi africani i colpi di stato hanno sostituito le elezioni. Sono cambiati governi , si sono abolite costituzioni e scritte nuove leggi fondamentali senza che i cittadini fossero mai coinvolti in tali processi. Il numero di leader politici assassinati, nel XX secolo, in Africa è straordinariamente alto (ma su tutte queste cose ritornerò).
Ancora oggi la situazione politica in Africa è molto instabile. Il virus della guerra è diffuso come in nessun altro continente.
Nel triennio 2008-2010 nel mondo vi sono stati 6 colpi di stato, cinque dei quali in Africa (per la cronaca il sesto è stato in Honduras).
L'ultimo leader poltico in carica assassinato nel mondo è africano e risale al 2009 (Guinea Bissau).
Il "golpe delle noccioline" è il titolo di un articolo dell'edizione nazionale del "Il Gazzettino" che mia madre ha ritagliato e custodito, preoccupata per la mia presenza nel Paese. La Gambia, paese completamente privo di risorse, produceva quasi esclusivamente arachidi (acquistate da una multinazionale svizzera).
Nessun commento:
Posta un commento