Sull'Africa è stato scritto molto. Si sono raccontati molti momenti, alcuni tristi ed atroci, altri meravigliosi. Si sono scritti saggi di ogni tipo, si è cercato di capire fenomeni e situazioni per noi incomprensibili. Vi è poi una ricca bibliografia di chi racconta l'Africa e di africani che raccontano la loro terra. Ognuno di questi modi è un'immagine, un tassello di un mosaico vasto e complesso.
Proverò in questo blog a suggerire qualche testo, tra quelli che mi hanno maggiormente colpito.
Scegliere un libro da cui partire è sempre complicato. La domanda inevitabile è: quale criterio adottare? Nessuno.
Inizio da questo libretto, di un grande conoscitore dell'Africa, il reporter di guerra polacco Ryszard Kapuscinski, che ha lasciato questo mondo nel 2007. Ricardo (come viene chiamato Ryszard in questo libro) racconta della guerra di liberazione dell'Angola ( l'Angola diventa un paese indipendente l'11 novembre 1975, dopo una lunga guerra contro il Portogallo e una guerriglia fraticida tra tre fazioni in lotta).
E' un libro-reportage ("Ancora un giorno" scritto nel 1976, pubblicato in Italia solo nel 2008 da Feltrinelli) che racconta di una Luanda (capitale dell'Angola) sotto assedio e con i suoi abitanti in fuga nella totale confusione. Da lì il reporter si sposta verso il fronte (a Caxito, poi a Benguela e infine nel piccolo villaggio di Balombo). Con un'attenzione sempre forte nei confronti degli esseri umani, in particolare agli umili, Kapuscinsky ci trascina in una terra martoriata.
Un punto centrale è certamente la consapevolezza (ovvero la sua negazione) di quello che accade. Emblematico il passaggio in cui il comandante dell'MPLA interroga i prigionieri. Ancora una volta una netta frattura tra l'elite "pensante" e la manovalanza, che in questo caso è rappresentata dalle reclute, che non dimostrano nessuna conoscenza delle vere motivazioni che stanno alla base del conflitto per cui muoiono. Loro spesso combattono per un salario, per una promessa, per una paura.
Il dramma dell'Africa (e in questo caso dell'Angola) è possedere un sottosuolo generoso, troppo generoso.
I diamanti e il petrolio faranno da sfondo a questo testo, ma a tutta la storia del conflitto angolano. Ancora oggi determinano le scelte in corso nel paese.
L'Angola conquista l'indipedenza dal Portogallo nel 1975. A vincere la lotta interna per il potere è il Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola (MPLA) fondato nel 1956 da Agostinho Neto. Ancora oggi l'MPLA guida il paese. Dal 1975 al 2002, ovvero per quasi 30 anni il popolo angolano è stato devastato da una sanguinosa guerra civile (in realtà fino al 1991 con una massiccia presenza sul territorio di truppe straniere) alimentata via via sempre meno da questioni ideologiche e strategiche e sempre più dal controllo dei grandi proventi derivanti dalla vendita dei diamanti e del petrolio. Questa guerra lascerà sul terreno, oltre a miseria e povertà, una delle aree più minate del mondo e un numero impressionante (oltre 500 mila) di amputati.
Proverò in questo blog a suggerire qualche testo, tra quelli che mi hanno maggiormente colpito.
Scegliere un libro da cui partire è sempre complicato. La domanda inevitabile è: quale criterio adottare? Nessuno.
Inizio da questo libretto, di un grande conoscitore dell'Africa, il reporter di guerra polacco Ryszard Kapuscinski, che ha lasciato questo mondo nel 2007. Ricardo (come viene chiamato Ryszard in questo libro) racconta della guerra di liberazione dell'Angola ( l'Angola diventa un paese indipendente l'11 novembre 1975, dopo una lunga guerra contro il Portogallo e una guerriglia fraticida tra tre fazioni in lotta).
E' un libro-reportage ("Ancora un giorno" scritto nel 1976, pubblicato in Italia solo nel 2008 da Feltrinelli) che racconta di una Luanda (capitale dell'Angola) sotto assedio e con i suoi abitanti in fuga nella totale confusione. Da lì il reporter si sposta verso il fronte (a Caxito, poi a Benguela e infine nel piccolo villaggio di Balombo). Con un'attenzione sempre forte nei confronti degli esseri umani, in particolare agli umili, Kapuscinsky ci trascina in una terra martoriata.
Un punto centrale è certamente la consapevolezza (ovvero la sua negazione) di quello che accade. Emblematico il passaggio in cui il comandante dell'MPLA interroga i prigionieri. Ancora una volta una netta frattura tra l'elite "pensante" e la manovalanza, che in questo caso è rappresentata dalle reclute, che non dimostrano nessuna conoscenza delle vere motivazioni che stanno alla base del conflitto per cui muoiono. Loro spesso combattono per un salario, per una promessa, per una paura.
Il dramma dell'Africa (e in questo caso dell'Angola) è possedere un sottosuolo generoso, troppo generoso.
I diamanti e il petrolio faranno da sfondo a questo testo, ma a tutta la storia del conflitto angolano. Ancora oggi determinano le scelte in corso nel paese.
L'Angola conquista l'indipedenza dal Portogallo nel 1975. A vincere la lotta interna per il potere è il Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola (MPLA) fondato nel 1956 da Agostinho Neto. Ancora oggi l'MPLA guida il paese. Dal 1975 al 2002, ovvero per quasi 30 anni il popolo angolano è stato devastato da una sanguinosa guerra civile (in realtà fino al 1991 con una massiccia presenza sul territorio di truppe straniere) alimentata via via sempre meno da questioni ideologiche e strategiche e sempre più dal controllo dei grandi proventi derivanti dalla vendita dei diamanti e del petrolio. Questa guerra lascerà sul terreno, oltre a miseria e povertà, una delle aree più minate del mondo e un numero impressionante (oltre 500 mila) di amputati.
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