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giovedì 14 ottobre 2010

Comunità di Sant'Egidio, l'ONU di Trastevere

Oggi Repubblica Online pubblica un interessante intervista a Marco Impagliazzo, attuale presidente della Comunità di Sant'Egidio a Roma.
L'Organizzazione non Governativa (ONG) della Comunità di Sant'Egidio, nata nel 1968 ad opera di Andrea Riccardi, storico e docente di Storia Contemporanea all'Università di Roma Tre, considerato uno dei più influenti laici nel mondo cattolico (proviene dalla file di Comunione e Liberazione), è da molti ritenuta una "piccola ONU" per il suo instancabile lavoro di mediazione nell'ambito dei conflitti dell'area africana e sud-americana.
L'intervista, curata da Daniele Mastrogiacomo, tocca molto l'Africa.
In questi giorni infatti la Comunità di Sant'Egidio media, lontano dai riflettori, sul conflitto in corso nel Niger. Mentre il risultato più tangibile resta l'accordo di pace firmato a Roma il 4 ottobre 1992 con cui - dopo due anni di trattative - si pose fine alla guerra civile in Mozambico che durava dal momento dell'indipendenza nel 1975.
Certo, come ha avuto modo di ammettere lo stesso Impagliazzo, le condizioni internazionali di allora erano favorevoli poichè era finita la guerra fredda e cambiava la geopolitica mondiale. Personalmente aggiungerei anche che in Mozambico non vi era stato l'intreccio tra ideologia e strategia (che aveva dato origine alla guerra) e lo sfuttamento delle risorse (come invece è avvenuto ad esempio in Angola), poichè il paese è completamente privo di materie prime "appetibili".
Resta pur sempre il punto (l'accordo di pace ha funzionato molto bene) ha dato una grande visibilità e autorevolezza internazionale alla Comunità di Sant'Egidio facendola di fatto diventare una valida alternativa ai negoziati statali, una "diplomazia parallela".
Dell'intervista a Impagliazzo -che merita di essere letta con attenzione- vi è un punto che mi lascia perplesso e che mi ha fatto riflettere, ovvero quando sostiene che " in Africa i conflitti stanno diminuendo" e "che i veri problemi sono l'AIDS, la fame e le malattie".
Se è vero che in Africa alcuni conflitti storici hanno recentemente trovato soluzione - penso ad esempio agli accordi di pace in Etiopia - vi è un proliferare di crisi, (ad oggi sono 16 i paesi africani coinvolti in conflitti) in un contesto di "fallimento degli stati" (vedi il mio post su questo tema), che fanno ritenere la prima affermazione quantomeno da verificare.
Le vera questione africana è oggi quella del controllo delle enormi risorse del sottosuolo e dei fondali marini (e della terra e del mare). Solo potendo usare , per l'Africa e per la gente, queste risorse (ovvero gli enormi introiti che da essere derivano) sarà possibile avere una crescita economica (e quindi il famigerato sviluppo) dell'intero continente. Sarà possibile formare, in Africa, le prossime generazioni di dirigenti politici capaci di rompere quella catena di povertà e miseria, che ha nel furto delle risorse e nella corruzione la principale causa.
La fame in Africa non è frutto di carestie (a volte anche di queste) ma è figlia di una gestione scellerata della politica e delle risorse. I patrimoni personali - frutto della "cleptocrazia"- di alcuni capi di stato africani (di ieri e di oggi) sfamerebbero intere popolazioni.
Questo chiaramente senza nulla togliere all'effetto devastante che sta avendo in Africa l'epidemia di AIDS e la mancanza di farmaci per curarla.

Ma l'intervista di Impagliazzo finisce con un monito all'Europa, incapace "di investire sulla cultura" e con l'accusa alla politica di "non avere pensieri lunghi".

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