
Fu consulente dell'UNESCO.
Chitarrista, il suo stile metteva insieme elementi della tradizione africana (makossa, in particolare) con lo stile della chitarra classica, jazz e pop, che qualcuno ha definito "etno-jazz". La sua voce profonda cantava in francese, in inglese e in alcune lingue locali.
Aiutò la carriera del connazionale Manu Dibango, che aveva anche suonato nella sua band.
Nella sua carriera pubblicò una ventina di album, l'ultimo nel 2000.
Morì a Parigi il 28 maggio 2001 per arresto cardiaco. Seguendo le sue volontà, i funereali furno strettamente privati, il suo corpo fu cremato e le ceneri sparse sul Monte Cameroun.
In una intervista a Liberation nel 1984 Bebey confessò di "essere stato educato ad ignorare, e perfino a detestare, gli stili tradizionali africani" e come una sorta di cotrappasso aveva trascorso l'intera vita a diffodere i suoni e raccontare la Madre Africa.
Nel 1994 Babey ha pubblicato il romanzo L'enfant-pluie in cui afferma «per noi africani, il tempo non passa. È come l’acqua del fiume che scorre, ma che è sempre là. Oggi, domani, dopodomani, non c’è differenza. È necessario che questa visione venga cambiata e che gli africani si convertano al tempo dell’orologio, altrimenti avremo molti problemi. La coscienza del tempo che avanza è la forza della civiltà europea»
Il sito ufficiale di Francis Bebey
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