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venerdì 28 gennaio 2011

Egitto, sulla scia della Tunisia verso una rivolta regionale?

Che "la rivolta" iniziata il 17 dicembre in Tunisia si sarebbe diffusa in tutta l'area del Nord Africa, e oltre, era facilmente prevedibile. Come avevo già scritto nel post sulla Tunisia l'interrogativo restava (e resta) l'atteggimento delle cancellerie dei paesi che contano nel mondo, il ruolo del fondamentalismo islamico nel contesto del caos e infine affacciarsi di un nuovo soggetto spontaneo - giovani - tenuti insieme dalla rete e dai social network.
Assieme all'Egitto le proteste sono divampate anche in Yemen e in Albania, mentre vi sono segnali che "qualcosa che si muove", oltre che in Algeria e Marocco, anche in Giordania e Siria.
Quella che ingenuamente era stata chiamata la "rivolta del pane", si sta rivelando qualcosa di molto più profondo e dai confini ancora incerti.
Questi paesi hanno in comune alcuni aspetti importanti. Vi è una grande fascia della popolazione che è al di sotto dei 30 anni (in Egitto sono il 70%) e che nella sua vita ha sempre conosciuto un unico uomo (o i suoi figli) al potere : Gheddafi in Libia dal 1969, Saleh in Yemen dal 1978, Mubarak in Egitto dal 1981, Abdullah II in Giordania dal 1999 (ma figlio del precedente monarca), Muhammad V in Marocco dal 1999 (anche lui figlio del precendente Re), Assad in Siria dal 2000 (anche lui figlio del precendente Presidente), Bouteflika in Algeria dal 1999 (anche se in assoluta continuità con il Presidente Benjedid costretto alle dimissioni durante le rivolte del 1992 che portarono alla guerra civile e ad un regime militare che durò di fatto fino al 1999). Ben Ali in Tunisia, già saltato a seguito delle rivolte popolari, era al potere dal 1986.
Per restare al potere questi regimi hanno di fatto eliminato o limitato le opposizioni. Infatti una cosa che emerge, sia in Tunisia che in Egitto, è il ruolo marginale dei partiti di opposizione sostituiti invece da movimenti, più o meno organizzati, che non aspirano a prendere il posto di chi governa, ma che chiedono invece rinnovamento, riforme, democrazia, partecipazione e soprattutto la fine di corruzione, clientelismo e impunità che imperversa in questi paesi (e non solo, ricordiamolo!).
Proprio per queste ragioni - ovvero che i movimenti rispondono a schemi organizzativi differenti da quelli classici dei partiti politici - i regimi stanno tentando in tutti i modi di bloccare la rete (in Egitto Internet, stando alle testimonianze è bloccato nella capitale) e le connessioni telefoniche con i cellulari.
L'ultima variabile in giorco è quella degli integralisti islamici. In Tunisia la questione sembra, per ora non emergere in modo significativo. In Egitto, dove è presente, e radicata, una delle storiche formazione politiche islamiche conservatrici - i Fratelli Mussulmani nati nel 1928 e diffusi in molti paesi islamici- la cosa sembra diversa. Infatti nonostante i Fratelli Mussulmani siano ufficialmente fuori legge (duramente represso il movimento durante gli anni 50 con il laicismo di Nasser e successivamente negli anni 60, accusati dell'assassinio di Sadat nel 1981), per un continuo legame, mai interrotto, con i gruppi estremisti, il movimento è in crescita soprattutto tra i professionisti del Cairo e in questi giorni è ritornato a farsi sentire. E' da tempo infatti che la diplomazia mondiale si interroga se i rapporti con i Fratelli Mussulmani, contrariamente a quanto si pensa, possano essere un modo per isolare le frange più estreme dell'islamismo militante (vi segnalo a tal fine questo articolo sul Washington Post del 2004, o questo articolo dal blog Altermedia del 2005 con un intervista ad un leader egiziano dei Fratelli Mussulmani, tanto per farsi un'idea).

Oggi appare chiaro che per anni si sono chiusi entrambi gli occhi sulla gestione personale e impunita del potere in questi paesi, convinti che le repressioni, le limitazioni della libertà e il controllo dello stato servisse, da una parte, a tenere a bada le frange estremiste islamiche e, dall'altra, a far restare per sempre (nonostante le ingenti risorse) queste nazioni nell'ambito dei paesi "meno ricchi" (e quindi che contano meno). Il risultato è stato deleterio. Da una parte questi gruppi radicali continuano ad operare nel mondo e dall'altra si è creato una giovane generazione di scontenti (quando non di disperati) che oggi pretendono a gran voce (e non solo con la voce) la fine dei regimi e opportunità per il loro futuro.
La partita è appena comuniciata ed è molto complessa. Ci avviamo verso una rivolta che interessa tutta la regione? Con quali conseguenze?
E se il "contagio" dovesse scendere verso il continente africano?

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