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venerdì 18 febbraio 2011

In Libia un'altra storia

Dal 17 dicembre 2010, quando scoppiò la "rivolta" in Tunisia ad oggi sono passati solo due mesi e sono accadute molte cose. Un'area, quella del Nord Africa e del Medio Oriente, si è letteralmente infiammata grazie alla tenacia di migliaia di cittadini, molti dei quali giovanissimi, che hanno saputo, in particolare in Egitto, tenere duro anche a fronte agli inevitabili colpi di coda dei regimi. Dopo la caduta di Ben Alì in Tunisia, vi è stata quella di Mubarak in Egitto. La cronaca di queste ore ci dice che entrambi sono in fin di vita, la qual cosa, oltre ad essere "una strana casualità", offre spunto a qualche maligna interpretazione su come i militari siano riusciti a convincere i dittatori a farsi da parte. Perchè l'elemento che accomuna questi regimi è la presenza "nella stanza dei bottoni" dell'esercito.
La protesta si è accesa anche altrove, in Algeria, in Marocco, in Yemen, in Giordania, in Siria e in modo - per ora - decisamente più serio in Bahrein e Libia.
Gli esiti della rivoluzione egiziana hanno avuto anche "il merito" di placare gli animi nel Sudan (che a seguito del plebiscito referendario del 9 gennaio scorso, si appresta a verder nascere il 54° stato dell'Africa) dove è venuto a mancare l'alleato Egitto nella lotta contro il Sud del paese. A tal fine vi segnalo una puntuale analisi di Fulvio Beltrami, attento conoscitore di quell'angolo del pianeta, proprio su questo tema.
In Libia, come era previdibile, la situazione si sta rivelando molto più complessa che altrove e rischia di degenerare in modo drammatico. Sono infatti, solo nella giornata di ieri, 24 i morti e un centinaio i feriti. In Libia Gheddafi è al potere dal 1969 - terzo più longevo capo di stato al mondo-, ha superato complesse situazioni internazionali, è stato a lungo tempo isolato dal resto del pianeta e possiede una leva (quella degli idrocarburi, e del gas in particolare) capace di mettere in ginocchio mezza Europa, Italia in testa.
Inoltre - grazie prima all'isolamento, poi alle complicità internazionali- ha da sempre represso in modo sistematico qualsiasi opposizione. Basti ricordare che nel 1996, sotto gli sguardi silenti del mondo intero, sterminò nel carcere di Abu Salim 1270 prigionieri politici.
In Libia inoltre l'accesso ad internet (e quindi a tutti quegli strumenti che hanno caratterizzato e dato forza fin d'ora le rivolte del nord Africa) è tra i più bassi nel mondo, assestandosi intorno al 5% della popolazione.
Infine, Gheddafi molto più di Ben Alì e Mubarak, è ancora in grado di mobilitare una fetta discreta della popolazione in suo appoggio.
I prossimi giorni saranno decisivi.

Gheddafi nonostante tutto (e quello che ha fatto in questi 41 anni potrebbe bastare a renderlo persona non gradita in gran parte del mondo) resta un "alleato" e "amico" del nostro Paese. Tutti ricordiamo come, solo alcuni mesi fa, fu accolto con tutti gli onori dal nostro governo. Del resto la cosa che è apparsa chiara in questi giorni di rivolte, che gli alleati che contano, fiutando che le cose stanno cambiando, non esitano a saltare sul carro del vincitore.
Un giorno - forse ancora lontano - bisognerà riscrivere la storia di questi ultimi decenni e fare chiarezza di come il "Nord del mondo" ha barattato i diritti umani nel mondo arabo (con un tributo pesantissimo in termini di vite umane), in cambio del proprio tornaconto, economico o strategico.


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