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lunedì 14 marzo 2011

Costa d'Avorio, crisi dimenticata

Quando all'inizio del dicembre 2010 era scoppiata la crisi in Costa d'Avorio si era ventilato il rischio concreto di una riacutizzazione della guerra civile che aveva caratterizzato il periodo tra il 1999 e il 2007 con una situazione di fatto di un paese spaccato in due.
Gli eventi, che a partire dalla seconda metà del dicembre 2010, con la caduta dei regimi in Tunisia e Egitto e della guerra di fatto in corso in Libia, hanno fatto passare in secondo piano quello che avviene in Costa d'Avorio.
Qualche giorno fa l'Alto Commisariato per i Rifugiati ha lanciato l'ennessimo apppello per la situazione che oramai rischia di diventare una vera e propria emergenza umanitaria. Sono infatti oltre 500 mila i rifugiati, che sono scappati soprattutto dalle città dove oramai gli scontri sono all'ordine del giorno. Mentre dei soldi promessi all'Alto Commissariato solo una piccola parte è stata versata dai governi.
Lo stallo politico è totale. Da un lato l'ex presidente Laurent Gbagbo che tenta in tutti i modi di mantenere il suo potere, dopo aver tentato di nazionalizzare le banche (molte delle quali sono chiuse per motivi di sicurezza) ora prova a nazionalizzare la filiera del cacao (che rappresenta il 20% del PIL del Paese) che da gennaio è sotto embargo dell'Unione Europea e dall'altra il vincitore delle ultime elezioni Alessane Ouattara che di fatto è barricato in un albergo.
Ho postato questo video che ha già girato (secondo me non abbastanza) nella rete, di una manifestazione di donne a favore di Ouattara che improvvisamente vengono assalite a colpi di mitra (avverto che le immagini sono toste a partire dalla metà del filmato).



E' l'ennesima dimostrazione di come sono spesso le donne (vedi post sulla candidatura delle donne africane al Premio Nobel per la Pace) a farsi carico della lotta e come esse paghino delle conseguenze molto pesanti.
Come sempre ci si pone l'interrogativo sulla presenza della Comunità Internazionale che osserva, nell'assoluto immobilismo, mentre qualcuno decide di sparare su di un corteo di donne. Purtroppo la tanto professata non ingerenza non può, e non deve, significare permettere abusi e massacri. Quello che è accaduto in Ruanda nel 1994 o a Srebrenica nel 1995, piuttosto che in Darfur dovrebbe aver insegnato quanto fallimentare sia la politica del non intervento quando qualsiasi regola viene a mancare.
Certo non è facile, ne sono consapevole. Ma quale credibilità ha una comunità internazionale che non è capace nemmeno di far svolgere con rapidità, e serietà, i processi per i crimini contro l'umanità? Che non è capace di infliggere condanne esemplari ai vari torturatori che il mondo produce oppure di fermare uomini come il Presidente del Sudan ricercato per i crimini in Darfur?
Credo che il primo passo sia quello di rendere chiaro a tutti che nessuno potrà scappare dalla condanna internazionale (e dalla pena) qualora si macchi di crimini contro l'umanità.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Gianfranco,

Nel tuo articolo, ben fatto, purtroppo devo prendere le distanze dall'idea di un intervento internazionale per risolvere le crisi nei paesi e di raffozare la capacita' di condanne internazionali per i crimini di guerra.

I due concetti, in teoria validi, si tramutano inevitabilmente in uno strumento in piu' per l'Occidente visto che sia l'ONU che la Corte Internazionale dei Crimini sono controllati dall'America e dall'Europa.

Semmai occorrerebbe intervenire contro chi a livello internazionale crea tutte le condizioni per le guerre civili o le guerre regionali tra stati.

Ma questo significherebbe darsi la zappa sui piedi e, si sa, cane non mangia cane.

Lasciamo che l'Africa risolva i suoi problemi e, soprattutto, impediamo le intererenze di stati e multinazionali internazionali che sono all'origine di questi problemi.

Fulvio Beltrami

Kampala Uganda

17 Marzo 2011

Gianfranco Della Valle ha detto...

Caro Fulvio,
ti ringrazio per il tuo intervento, che ci permette di aprire una discussione sulla questione degli interventi (mai attuale come in queste ore).
Credo che siamo tutti concordi nel pensare che se l'intervento straniero non vi fosse stato nelle prime ore della decolonizzazione, forse in Africa sarebbero nate alcune interessanti esperienze. Purtroppo sono state tutte liquidate. Nel farlo ci si è appoggiati ai dittatori di turno chiudendo entrambi gli occhi (quando non si sono fatti affari e accordi), da Mobutu a Bokassa, da Bongo a Amin Dada, da Barre a Gheddafi la lista è lunghissima.
Poi vi sono stati due episodi: Somalia e Ruanda. Dove nel primo caso si è intervenuti da partigiani e nel secondo si è deciso di non farlo. I risultati drammatici sono sotto gli occhi di tutti.
Oggi la comunità internazionale non ha scelte. Lasciar fare agli africani che in alcuni casi significa permettere a Gheddafi o a Gbagbo di sparare sui civili o sulle donne o intervenire.
Certo concordo con te che l'intervento dovrebbe anche rimuovere le cause che scatenano le guerre civili, ma la priorità è decidere se bloccare o meno il folle di turno.
Resto convinto che chi spara (o ordina di farlo) su donne e bambini o comunque su civili , chi stupra donne indifese, chi mozza mani e piedi a inermi civili, chi sfrutta il genere umano, chi rapisce bambini per farli combatterli o per farne schiavi sessuali commette crimine contro l'umanità e in quanto tale va fermato, subito.
Sono convinto che se si fosse intervenuti in Ruanda, quando qualcuno alla radio invitava a schiaccuiare gli scarafaggi tutsi, certo sarebbe costato dei morti, ma non un milione di massacrati.
La diplomazia può fare molto e deve fare di più, ci macherebbe. Ma se permettiamo a chi commette questi crimini di rimanere al suo posto (magari come Al Bashir) significa affermare che queste cose si possono fare.
Ovviamente non sono ingenuo da pensare che sia semplice... Ma resto convinto che le incertezze della comunità internazionale, il poco riconoscimento e l'incapacità di intervenire fanno il gioco solo dei potenti e colpiscono solo i deboli.
Ciao
Gianfranco

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