I promotori della campagna Noppaw per il Nobel per la Pace alle donne africane possono essere in parte soddisfatti, dato che il Nobel per la Pace 2011 è stato assegnato a due donne africane, Ellen Johnson Sirleaf (attuale presidente della Liberia) e a Leymah Roberta Gbowee (avvocato e attivista per la pace liberiana), assieme alla giornalista fondatrice dell' "associazione giornaliste senza catene" la yemenita Tawakkul Karman.
Un riconoscimento al ruolo delle donne e alla loro fondamentale azione per la risoluzione dei conflitti e per la lotta ai diritti, alla giustizia e alla pace. Un lavoro fatto spesso in sordina che raramente viene ricompensato.
Sull'opera e suoi meriti delle singole vincitrici vi rimando alle innumerevoli biografie che gli organi di informazione e la rete da oggi metteranno in circolo (ecco quella di Repubbblica).
A mente fredda - una volta archiviata una certa euforia per chi, come me, scrive e parla di Africa - questo premio rischia, e non sarebbe la prima volta, di innestare polemiche e discussioni.
Aver scelto due donne della Liberia - che hanno in parte condiviso il percorso della guerra civile, durata quesi ininterrottamente dal 1989 al 2003, voluta dal criminale Charles Taylor, la difficile conclusione della guerra, la nascita del nuovo assetto "democratico" e infine la ricostruzione, lenta e difficile, del paese, risulta essere un grande assist dato alla presidente della Liberia. In Liberia si voterà questo fine settimana e Ellen Johnson Sirleaf si candida per un secondo mandato.
Ancora oggi la Johnson è l'unica donna a guidare uno stato africano (da qualche mese un'altra donna, in Mali, guida il governo) è sostenuta dall'amministrazione americana (è un'economista e per anni ha lavorato presso la Banca Mondiale) che non ha mai nascosto il desiderio di verderla riconfermata alla guida del paese.
(Ecco un ritratto della Johnson sui giornali americani).
Il suo principale sfidante è l'ex calciatore del Milan George Weah, candidato del Congress of Democratic Change.
(Ecco un ritratto della Johnson sui giornali americani).
Il suo principale sfidante è l'ex calciatore del Milan George Weah, candidato del Congress of Democratic Change.
(Per un approfondimento sulle elezioni in Liberia vi rimando a questo articolo di Fulvio Beltrami).
Cosa accadrebbe se qualche giorno prima delle elezioni in Italia fosse assegnato il Premio Nobel per la Pace al nostro Presidente del Consiglio? Naturalmente lo stesso quesito vale anche per altri Paesi del cosiddetto mondo emancipato e civile.
Sulla Johnson pende inoltre il sospetto sul suo iniziale appoggio al regime di Charles Taylor, poi ritirato, ma che anche la recente commissione d'inchiesta sulla guerra civile in Liberia, non ha potuto che sottolineare.
Il Premio alla Johnson rischia di trasformarsi in un elemento di tensione, a pochi giorni dal voto, e getta sicuramente l'ennesima ombra (il caso Obama lo ricordiamo tutti) sulle scelte che il Comitato del Premio Nobel ha fatto e sull'imparzialità del premio stesso.
La sensazione è che il Premio rappresenti una pesante ingerenza nella difficile vita politica della Liberia. Inoltre, nel tentativo di accontentare tutti, si è fatto "un papocchio", che mette insieme una candidata presidente, un'artefice del processo di Pace liberiano (purtroppo rimbalzata nelle cronache del nostro paese più per la proclamazione dello "sciopero del sesso" che per altri meriti che indubbiamente ha) e una protogonista di una delle "rivolte arabe" ancora lontana da trovare soluzioni degne di questo nome.
Si sono mescolate le leggitime aspettative di chi proponeva l'insieme delle donne africane (anche e soprattutto quelle che quotidianamente si sobbarcano l'enorme lavoro di essere donna in Africa, oltre che quello di elemento di stabilizzazione dei processi sociali complessi) con le donne delle rivolte arabe (la Karman ha infatti immediamente dedicato a tutte le donne delle rivolte arabe il suo Nobel), scegliendone una (sicuramente di grande valore) tra le tante.
Insomma un tentativo politico-diplomatico di equilibrio che francamente lascia l'amaro in bocca e rischia di scontentare tutti.
Ripeto questo senza nulla togliere al valore delle premiate, al ruolo delle donne nel mondo (in tutto il mondo e non solo in Liberia e Yemen) e al grande contributo che esse danno allo crescita e allo sviluppo democratico.
Cosa accadrebbe se qualche giorno prima delle elezioni in Italia fosse assegnato il Premio Nobel per la Pace al nostro Presidente del Consiglio? Naturalmente lo stesso quesito vale anche per altri Paesi del cosiddetto mondo emancipato e civile.
Sulla Johnson pende inoltre il sospetto sul suo iniziale appoggio al regime di Charles Taylor, poi ritirato, ma che anche la recente commissione d'inchiesta sulla guerra civile in Liberia, non ha potuto che sottolineare.
Il Premio alla Johnson rischia di trasformarsi in un elemento di tensione, a pochi giorni dal voto, e getta sicuramente l'ennesima ombra (il caso Obama lo ricordiamo tutti) sulle scelte che il Comitato del Premio Nobel ha fatto e sull'imparzialità del premio stesso.
La sensazione è che il Premio rappresenti una pesante ingerenza nella difficile vita politica della Liberia. Inoltre, nel tentativo di accontentare tutti, si è fatto "un papocchio", che mette insieme una candidata presidente, un'artefice del processo di Pace liberiano (purtroppo rimbalzata nelle cronache del nostro paese più per la proclamazione dello "sciopero del sesso" che per altri meriti che indubbiamente ha) e una protogonista di una delle "rivolte arabe" ancora lontana da trovare soluzioni degne di questo nome.
Si sono mescolate le leggitime aspettative di chi proponeva l'insieme delle donne africane (anche e soprattutto quelle che quotidianamente si sobbarcano l'enorme lavoro di essere donna in Africa, oltre che quello di elemento di stabilizzazione dei processi sociali complessi) con le donne delle rivolte arabe (la Karman ha infatti immediamente dedicato a tutte le donne delle rivolte arabe il suo Nobel), scegliendone una (sicuramente di grande valore) tra le tante.
Insomma un tentativo politico-diplomatico di equilibrio che francamente lascia l'amaro in bocca e rischia di scontentare tutti.
Ripeto questo senza nulla togliere al valore delle premiate, al ruolo delle donne nel mondo (in tutto il mondo e non solo in Liberia e Yemen) e al grande contributo che esse danno allo crescita e allo sviluppo democratico.
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