Recentemente la questione della pirateria somala è balzata alla cronaca italiana a seguito del sequesto della petroliera italiana Savina Ceylin (febbraio 2011), della Rosalia d'Amato (aprile 2011) e quella di questi giorni della Montecristo liberata poi con un bliz delle forze speciali inglesi. Le prime due navi e gli equipaggi sono ancora nelle mani dei pirati.
Certo da maggio a settembre gli assalti sono drasticamente diminuiti, ma il merito è esclusivamente del monsone che batte forte in quest'area, rendendo molto più difficili, se non impossibili, gli arrembaggi (le imbarcazioni dei pirati sono piccole e veloci).
Il fenomeno della pirateria somala ha origine nella dissoluzione dello stato somalo che a seguito della guerra civile del 1991 non è stato più capace di ristabilire qualsiasi principio di legalità e di costruire le più elementari istituzioni democratiche. La Somalia, sotto gli occhi, colpevoli e talora complici, della comunità internazionale, vive, unico caso al mondo, nella totale anarchia da 20 anni.
Basti pensare che nei primi mesi del 2011 su 142 attacchi di pirati nel mondo, 97 sono stati nelle acque antistanti la Somalia e dei 18 sequestri di navi, 15 sono avvenute in Somalia.
La questione della pirateria in Somalia è molto complessa. Perchè se da un lato il sequestro delle navi e degli equipaggi rende secondo alcune sommarie stime oltre 30 milioni di dollari all'anno, dall'altro la situazione legislativa - in assenza di uno stato degno di questo nome - è ambigua. Se si legge il sito della Nazioni Unite sulle legislazioni marittime (Oceans and Law of the Sea) si fa ancora riferimento ad una legge somala del 1972 (legge 37 del 10 settembre 1972) che afferma che nelle acque territoriali somale (200 miglia a largo della costa) le navi possono entrare solo previo permesso.
La storia dice che nel mezzo della disgregazione somala le navi e i grandi pescherecci transitano (e pescano) a poche miglia dalla costa. Nello stretto di Bab el-Mandeb, che collega l'Oceano con il Mar Rosso, transita il 10% del petrolio mondiale e quasi il 50% dei containers del mondo. I primi somali a trasformarsi in pirati furono i pescatori con l'apparente (e talora reale) intento di salvaguardare la sovranità nazionale e impedire la pesca nello loro acque da parte di tutti. Infatti approfittando dell'assenza di uno stato la pesca (soprattutto del tonno) divenne selvaggia, mentre mezzo mondo scaricava di tutto nelle acque somale (soprattutto rifiuti tossici, spesso affondati assieme a navi "carretta"). Solo dopo giunsero gli ex-miliziani e infine le organizzazioni criminali che oggi rendono quei mari i più pericolosi della terra per chi naviga.
E' evidente che la vera azione di contrasto alla pirateria non avviene solo con i pattugliamenti militari internazionali, molto costosi, iniziati a seguito delle quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 2008, ma grazie al lavoro della guardia costiera del Somaliland, stato mai riconosciuto internazionalmente, e che potrebbe essere, se adeguatamente supportato, un grande contributo al mantenimento della legalità nelle acque somale.
Alcuni dati dicono che sono oltre 1000 gli uomini coinvolti negli atti di pirateria, molti dei quali provenienti dalla regione somala del Puntland.
Certo la responsabilità della crescita di questa moderna pirateria somala è l'assenza di uno stato, incapace di controllare le coste (dal Somaliland, ad esempio, non partono pirati!) e di stabilire normative e sanzioni efficaci capaci di arrestare un fenomeno che assume sempre più il carattere dell'emergenza. Già scrivendo sugli stati in via di fallimento avevo sottolineato come gli esperti valutino molto pericolosa (e non solo per la questione dei pirati) la situazione della Somalia. La questione diventa sempre più grave (la catastrofe umanitaria in corso nel Corno d'Africa è solo uno dei fenomeni) e nessuno sembra avere una minima capacità di incidere sull'evolversi della situazione.
Certo i nuovi pirati non hanno quel fascino che avevano gli antichi bucanieri.
Certo la responsabilità della crescita di questa moderna pirateria somala è l'assenza di uno stato, incapace di controllare le coste (dal Somaliland, ad esempio, non partono pirati!) e di stabilire normative e sanzioni efficaci capaci di arrestare un fenomeno che assume sempre più il carattere dell'emergenza. Già scrivendo sugli stati in via di fallimento avevo sottolineato come gli esperti valutino molto pericolosa (e non solo per la questione dei pirati) la situazione della Somalia. La questione diventa sempre più grave (la catastrofe umanitaria in corso nel Corno d'Africa è solo uno dei fenomeni) e nessuno sembra avere una minima capacità di incidere sull'evolversi della situazione.
Certo i nuovi pirati non hanno quel fascino che avevano gli antichi bucanieri.
Ecco questo reportage sui pirati somali apparso su GQ.com.
Vi segnalo anche questo approfondimento di Fabio Caffio su Limes.
Sancara sulla Somalia ha pubblicati i seguenti post:
- Somalia: la tragedia nel disastro
- Squalo a Mogadiscio, un ricordo
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