Pochi mesi fa, nell'ottobre 2011, l'UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime), l'agenzia dell'ONU che studia le relazioni tra la criminalità e la droga, ha pubblicato un interessante e dettagliato rapporto intitolato "Organized Crime and Instability in Central Africa".
Il rapporto analizza la situazione oggi presente in quell'area dell'Africa - e in particolare nella Repubblica Democratica del Congo - definita come "una ragione
ricca di risorse naturali, dal grande potenziale e dalla storia tragica", mettendo in ordine un complesso sistema di interessi economici leciti, e soprattutto illeciti, di strategie criminali, di corruzione e di violenze inaudite, che permettono di affermare, senza paura di essere smentiti, che ci troviamo di fronte alla zona più calda (e spesso dimenticata) del pianeta.
Gli interessi in gioco sono altissimi. Si parla, per ogni anno, di 120 milioni di dollari provenienti dall'oro (dieci volte il valore delle esportazioni lecite e due volte il valore delle esportazioni di caffe, la maggiore risorsa agricola del paese) ovvero dalle 12 alle 40 tonnellate che finiscono principalmente nei mercati degli Emirati Arabi, del Libano, dell'India e del Sud Sudan. Di 30 milioni di dollari provenienti dal legname, circa 50 mila metri cubi (oggi la RD del Congo è il terzo paese al mondo per riduzione della foresta) che finiscono nei mercati africani (per poi essere "legalizzati"). Di 29 milioni di dollari provenienti dallo stagno, tra le 900 e le 3200 tonnelate che sono destinate al Belgio, all'Est Asiatico e all'India. Di 21 milioni di dollari provenienti dai diamanti, tra i 20 e i 30 milioni di carati grezzi che finiscono in Belgio, Cina, India, israele, Sudafrica e Emirati Arabi. Di 5 milioni di dollari provenienti dalla cannabis, circa 200 tonnelate, che finiscono nei paesi confinanti. E di 3 milioni di dollari provenienti dall'avorio, ovvero 3,4 tonnellate all'anno (gli elefanti che in RDC erano 377 mila nel 1979, sono oggi poco più di 20 mila), che finiscono in Cina e nei paesi asiatici.
A gestire questo enorme traffico sono dei gruppi armati (complessivamente si stimano tra le 6500 e i 13000 persone), con la complicità di militari e politici corrotti. Non mancano, come il rapporto sottolinea, i gruppi internazionali criminali che fanno affari - il rapporto stima in oltre 200 milioni di dollari, gli interessi annuali in gioco (di cui metà reinvestiti per sostenere i gruppi armati locali) d'oro.
Questi gruppi, alcuni un tempo sostenuti da una forte spinta ideologica-politica, sono oggi essenzialmente gruppi criminali che utilizzano spietate strategie di controllo del territorio (stupri di massa, violenze, mutilazioni, deportazioni, rapimento, utilizzo di bambini soldato) al solo fine dell'arricchimento. Queste strategie tendono a destabilizzare la situazione generando quel caos (il numero degli sfollati e delle persone in fuga oramai non si contano più) in cui possono liberamente scorazzare.
Il rapporto sottolinea come, nonostante gran parte dei problemi hanno avuto origine nel periodo coloniale, l'attuale situazione deriva da fatti più recenti. In particolare l'origine può essere ricercata nei fatti conseguenti al genocidio del Ruanda nel 1994, con il massiccio esodo di vittime e di carnefici in fuga e alla conseguente seconda guerra del Congo, iniziata nel 1998 e che ha lasciato fino al 2003 (anno in cui le ostilità sono "formalmente" cessate) sul campo oltre 5 milioni di vittime. Non è un caso che - stando sempre al rapporto - il gruppo armato più numeroso (circa 4000 effettivi) è costituito dalla milizia Hutu Forces Democratique de liberation du Rwanda (FLDR), seguito dal suo "equivalente" Tutsi, il Congres national pour la defense du peuple (CNDP, con circa 1000-2000 uomini), sebbene molti degli uomini del CNDP siano stati recentemente integrati nell'esercito congolese (contribuendo a rendere ancora più criminale un esercito già molto compromesso). In questi due gruppi, oltre a trovarsi l'origine "ruandese" della complessa situazione, si evidenzia anche come oramai quell'originale rivalità abbia perso qualsiasi senso. Infatti i due gruppi hanno stretto, in più occasioni, allenze per meglio sfruttare i grandi interessi economici che sono sul piatto. In contrapposizione a questi due gruppi originari, si crearono le varie milizie di autodifesa denominate genericamente Mai Mai e che oggi rappresentano dei veri e propri "networks" criminali.
Il rapporto affronta nel dettaglio tutti gli elementi in gioco, analizzando le metodologie di sfruttamento e di commercio delle singole risorse, in questo puzzle criminale complesso, non senza lanciare un monito: "senza un sistema efficiente di regole il paese non ha speranze. Vi è la necessità di un sistema giuridico capace di punire i colpevoli (anche quelli in uniforme) e un sistema di regole per il commercio nella regione e in particolare per quello dei minerali".
Gli oltre 18 mila caschi blu dispiegati sul territorio (costo dell'operazione 1,3 miliardi di dollari all'anno) rischiano di essere "invisibili" se non supportati da uno sforzo internazionale atto a ricostruire il sistema giuridico e penale.
Purtroppo guardando quello che è successo negli ultimi mesi a seguito delle elezioni presidenziali nella Repubblica Democratica del Congo, considendo gli interesse "legali" di oltre 15 grandi stati del mondo verso le risorse naturali del paese, le soluzioni proposte dal rapporto appaiono lontane e molto difficili, se non addirittura utopistiche.
Intanto, gli oltre 70 milioni di congolesi, sono tenuti in scacco da 10-20 mila criminali che godono della complicità di molti, nella quasi totale indifferenza di quella parte del mondo che sfrutta, e usa, le immense risorse della Repubblica Democratica del Congo.
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