venerdì 27 aprile 2012

Timgad

Timgad, l'antica Thamugadi romana, è oggi un vasto sito archeologico, vicino alla città di Batna, in Algeria. La città, che fu costruita nell'anno 100 dall'Imperatore Traiano, è oggi uno splendido esempio delle tecniche costruttive ed architettoniche romane, nonchè delle innovative scelte urbanistiche dei romani.
Costruita in una vasta area fertile, per ospitare 15000 abitanti, venne abitata inizialmente dai militari romani. Nel III secolo divenne un centro cristiano di grande importanza nel nord-Africa.
Saccheggiata nel V secolo dai Vandali e nuovamente nel VII secolo dai Berberi, venne definitivamente abbandonata. Grazie all'avanzata della sabbia del deserto, essa è rimasta ottimamente conservata fino alla sua scoperta, avvenuta nel 1881 (sebbene alcune descrizioni risalgono già alla fine del 1700).
Oggi sono ottimamente visibili la struttura ortogonale della città, con il decumano (la via che attraversava da est a ovest) e il cardo (quella che attraversava da nord a sud), con a lato il colonnato corinzio. Sono ben conservati il foro, l'arco di trionfo ( alto 12 metri, dedicato a Traiano e restaurato nel 1900), la basilica, la biblioteca, quattro terme (delle 14 che costituivano originariamente la città) e un teatro da oltre 3500 posti.
Per la sua unicità e per la straordinaria testimonianza storica, nel 1982 il sito è stato inserito tra i Patrimoni dell'Umanità tutelati dall'UNESCO.

Ecco alcune foto di Timgad, dal sito Cyril Preiss

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

mercoledì 25 aprile 2012

Giornata Mondiale contro la Malaria

Si celebra oggi il 25 aprile la Giornata Mondiale contro la Malaria, una malattia che da noi è ricordata solo dai nostri nonni, mentre in altre parti del mondo, stando al World malaria report del 2011, colpisce 216 milioni di persone e uccide 655 mila persone (dato riferito al 2010), la maggior parte di esse sono bambini africani.
I casi di Malaria, e le mortalità ad essa collegata, stanno diminunendo (vedi il post di Sancara, Malaria... una zanzara di troppo), si è passati da 243 milioni di casi (Report 2009) a 216 milioni, da 863 mila morti a 655 mila. Questo progresso lo si deve molto alla prevenzione (soprattutto attraverso le zanzariere impregnate di insetticida - ne erano prodotte 5,6 milioni nel 2004 e ne sono state prodotte 145 milioni nel 2010) e alle terapie, in particolare quelle a base di artemisina.
In Africa Sub-Sahariana, nonostante i netti progressi, si continua però a morire di malaria. Per l'eliminazione e soprattutto per l'eradicazione della malaria bisognerà ancora attendere.


martedì 24 aprile 2012

Sudan e Sud Sudan ancora ai ferri corti

Come molti avevano previsto, la tensione tra il Sudan e il Sud Sudan, divenuto stato indipendente nel luglio scorso, cresce di ora in ora e la situazione è oramai molto vicina alla guerra franca. Le Nazioni Unite e la comunità internazionale sono intervenuti nei giorni scorsi chiedendo ai governi il rispetto dei civili, la cessazione delle ostilità e la ripresa dei negoziati. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha affermato che "la popolazione sudanese non ha bisogno di un'altra guerra". Il pensiero è naturalmente agli oltre due decenni di guerra tra il il Sud Sudan e il governo centrale (1983-2005), che ha prodotto oltre 2 milioni di morti (altri 500 mila sono stati i morti della prima guerra civile sudanese, 1955-1972). 

Mappa tratta da Limes
Il motivo dell'ostilità tra i due paesi si chiama petrolio. Il Sudan (inteso come paese prima della divisione) estraeva 241 mila barili di petrolio al giorno nel 2002 che sono diventati quasi 600 mila nel 2011. 
Molto del petrolio - comprese le riserve certe - si trova nel Sud Sudan (o in territori contesi lungo i 1800 chilometri di confine) - il 75% secondo le ultime stime - e necessita di passare per il Sudan (attraverso gli oleodotti) verso il Mar Rosso.
Il petrolio rappresenta il 98% delle entrate del Sud Sudan.

Negli ultimi tempi le tensioni sono cresciute ed entrambi i paesi si palleggiano, giocando con il fuoco, le responsabilità su chi ha iniziato per prima. Nella rete si possono trovare tutte le possibili combinazioni sulle cronache belliche di questi ultimi tempi. La diatriba si complica con aspetti religiosi, il Sudan a maggioranza islamico e il Sud Sudan a maggioranza cristiana e ancor di più con le interferenze (e gli interessi) internazionali.

Le ingerenze internazionali sono sicuramente il punto più complicato della situazione sudanese. Il Sudan, guidato da Omar El Bashir a seguito di un golpe dal 1989, ha alle spalle i paesi islamici del golfo (Iran in testa) oltre alla Cina che controlla il 70% del petrolio, in cambio di ingenti investimenti e armi. El Bashir è accusato, sin dal 2008, dal Tribunale Penale Internazionale di crimini contro l'umanità per i fatti avvenuti nel Darfur, sebbene Unione Africane e Lega Araba non riconoscono tale incriminazione. Da sempre è ritenuto dagli Stati Uniti un complice del terrorismo islamico, per aver ospitato Osama Bin Laden.
Il Sud Sudan, guidato da Salva Kiir Mayardit (che è subentrato allo storico leader della SPLA John Garang, a seguito della morte, avvenuta nel 2005, in uno strano incidente in elicottero), ha alle spalle Stati Uniti e Israele. Gli Stati Uniti hanno avviato una lunga "sponsorizzazione" del nuovo Stato, che ha coinvolto attori famosi e organizzazioni, secondo i più "maligni" per installare in Sud Sudan la più grande base militare e di controllo dell'Africa. Inoltre gli Stati Uniti sono accusati di aver supportato militarmente la SPLA anche quando "arruolava forzatamente" bambini soldato. Israele, che sin dalle origini ha sovvenzionato (spesso in armi) i "ribelli del Sud", in chiave prima "anti-palestinese" (il Sudan ospitava basi del terrorismo palestinese) e successivamente in chiave puramente anti-islamica. 

Infine, non vanno trascurate le ingerenze delle potenze locali (Egitto a nord ed Etiopia a sud) nonchè le dinamiche che si stanno sviluppando in tutto il Medio-Oriente e in particolare attorno alla crescente tensione tra Israele e Iran. Il Sudan, per le sue risorse e per la sua posizione, rischia di diventare un centro strategico della nuova geopolitica afro-medio orientale.

Le tensioni tra i due paesi, ed una sempre più probabile "terza guerra", rendono l'area ancora più incandescente. Del resto i due paesi sono intimamente legati e l'uno senza l'altro non può sopravvivere. Il Sud Sudan ha il petrolio (ma non ha infrastrutture e sbocco al mare), il Sudan ha meno petrolio, ma oleodotti e soprattutto un grande porto (Porto Sudan) nel mar Rosso per trasportare l'oro nero.


Rifugiati, dal sito NGO New Africa
La scomparsa del leader storico della SPLA John Garang - che era un convinto assertore della Federazione Sudanese (due nazioni autonome all'interno di un'unico Stato) - ha fatto prevalere l'ala indipendentista e militarista. Su questo tema vi rimando a questa interessante analisi di Fulvio Beltrami, dello scorso anno, e che forse aiuta a comprendere le questioni del presente.


Nel mezzo, come sempre (e in questi luoghi oramai da oltre mezzo secolo), vi è la popolazione civile. Perennemente in fuga e ai limiti della sopravvivenza. Generazioni intere nate e morte in guerra, costrette a morire di fame, in balia degli interessi di altri. Popolazioni che hanno l'unica colpa, quella di vivere in una terra che "galleggia" sul petrolio.

venerdì 20 aprile 2012

Mare aux Hippopotames, il Lago degli Ippopotami

Il Lago degli Ippopotami (Mare aux Hippopotames) è un Parco Naturale del Burkina Faso, creato il 26 marzo 1937 e dal 12 gennaio 1977 divenuto Riserva della Biosfera dell'UNESCO. Si trova una cinquantina di chilometri a nord della città di  Bobo-Dioulasso ed ha una superficie di circa 19.200 ettari. L'area della riserva ha un'estensione di 168.000 ettari.
Il lago, che da il nome al parco, ha una superficie di 600 ettari (che si riduce a 120 durante la stagione secca) e nelle sue acque vivono una cinquantina di ippopotami (Hippopotamus amphibious) ( (46 nel 2012, erano 68 nel 1985, mente nell'intero Burkina Faso si stimano tra i 500 e 1000 gli esemplari). Il lago è originato dalle acque sorgentizie di destra del fiume Volta (Volta Nero o Mouhaun). Oltre ad una ricca flora acquatica, il parco è costituito da foresta e savana, che si sviluppa intorno ai 300 metri di altitudine.
Tra gli animali che si possono vedere gli Alcelafo, il Tragelafo (specie di antilopi), l'elefante, il leopardo, il ghepardo, la iena, babbuine e cercopitechi.

Dal 27 giugno 1990 il Mare aux Hippopotames è stato inserito tra i siti tutelati dalla Convenzione di Ramsar (oggi sono 2005 nel mondo) che si occupa, a livello internazionale, delle zone umide e in particolare di quelle che sono importanti habitat di uccelli acquatici.

Nell'area della riserva, che secondo le classificazioni UNESCO comprende 68.000 ettari di core area (riserva integrale), 90.000 ettari di buffer zone (area dove si svolgono attività economiche sostenibili) e 28.000 ettari di transition area (dove sono previsti insedimenti umani), vivono circa 29.000 persone, distribuiti in una decina di grandi villaggi. Appartengono all'etnia Bobo e Dioula, oltre che alcuni Mossi, e svolgono attività produttive come la pesca, la raccolta del miele e alcune produzioni artigianali.
La riserva è anche frequentata da un migliaio di "eco-turisti" all'anno.

Ecco la scheda del Birdlife International

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mercoledì 18 aprile 2012

Libri sull'Africa: Lo swing del camaleonte

Lo swing del camaleonte è un libro, sulla musica africana dal 1950 a oggi, scritto dal giornalista francese FranK Tenaille nel 2000 e pubblicato in Italia da Epochè nel 2007. E' uno straordinario viaggio nella musica (e nelle canzoni) africana, guidato sapientemente da un esperto e soprattutto da un appassionato.
Un saggio sulla musica dedicato all'Africa che riesce a farci cogliere l'atmosfera dei singoli momenti - grazie ad una capacità di cogliere legami e relazioni, spesso non di facile intuizione.
Tenaille riesce a fare rendere fluido quel collegamento tra una storia di tradizione orale (e musicale!) di cui l'Africa è densa, e l'interesse straordinario di quest'epoca verso gli stili  musicali africani e il diffondersi di un grande entusiasmo verso la musica afro.
Il libro è poi corredato da una corposa sezione finale in cui vi sono un glossario sugli stili musicali africani e sugli strumenti, una ricchissima discografia e una valida bibliografia.

Un libro per addentrarsi in una terra magnifica, fatta di suoni e di strumenti, che riescono ancora a sorprendere e al tempo stesso una storia da leggere attraverso le biografie di personaggi, a volte bizzarri, ma creativi e innovativi.

Un libro da tenere a portata di mano, leggendone pezzi mentre si ascolta qualche brano della musica di cui esso parla.

Per un blog, come Sancara, dedicato alla figura di Thomas Sankara, non può mancare la citazione di questa breve nota, alla fine dell'introduzione, scritta da Frank Tenaille " E' difficile parlare di musica africana e speranze collettive senza ricordare Thomas Sankara, ex chitarrista delle Missils International Band, diventato nel 1983 presidente.... Aveva caldeggiato la creazione di un'orchestra nazionale femminile come simbolo della sua politica per l'emancipazione delle donne".

Frank Tenaille è un giornalista francesce che si occupa di musiche dal mondo.  E' direttore del mensile Cesar e curatore di alcuni festival musicali.

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martedì 17 aprile 2012

Dudu Manhenga, la nuova Makeba

Dudu Manhenga è una giovanissima e dinamica (è nata a Makokoba il 6 gennaio 1981, città dove ancor oggi vive) cantante dello Zimbabwe, di etnia Ndebele. Da molti è indicata come colei che raccoglierà l'eredità di Miriam Makeba, la cantante sudafricana, chiamata da tutti Mama Afrika, deceduta in Italia nel 2008.
Quel che è certo che il suo sound, costituito da una sapiente miscela di musica tradizionale del suo paese, jazz contemporaneo, gospel, afro e soul sta affascinando, lentamente, il mondo intero.
E' sulla scena musicale fin dal 1997, quando aveva 16 anni, e ad Harare, dove si era trasferita con la famiglia, collaborava come cantante con molti artisti affermati del suo paese (come Oliver Mtukudzi, Steve Dyer e Louis Mhlange), soprattutto nel campo della musica jazz e del gospel. Nel 2001 ha formato il suo gruppo, assieme al marito (da cui avrà quattro figli), il batterista Blessing Muparutsa, i Color Blu, che l'accompagnano nelle sue turnè.
Nel 2003 incide con i Color Blu l'album di esordio "Out of the Blu", un opera jazz, fusion e afro che è stato subito ben accolto dal pubblico.
Nel luglio 2011 ha pubblicato il suo quarto album Ngangiwe anch'esso subito apprezzato dal pubblico.


Da sempre è impegnata a favore dei diritti umani e in particolare contro la violenza sulle donne. E' consulente del Ministero dell'Educazione e della Cultura del suo paese ed è attivissima nel campo della promozione delle arti al femminile.


Ha partecipato in questi anni a tutti i grandi festival musicali africani e a molti europei, suonando con il suo gruppo nei più importanti club. Sarà sicuramente un artista di cui sentiremo parlare nei prossimi anni. Sul palcoscenico riesce a trasmettere tutte le emozioni che uno spettatore si attende da una musica che si sviluppa attorno al tema della vibrazione e del movimento.Questo mese sarà nuovamente in Italia per un tour che dopo aver toccato Bologna e Roma, la porterà a Mestre, Milano e infine a Reggio Calabria. Vi era stata l'anno scorso per la prima volta e in  quell'occasione fu nominata Ambasciatrice per la Croce Rossa dello  Zimbabwe.
Per chi abita nei dintorni di Venezia, domani 18 aprile, alle 21.30, Dudu Manhenga sarà a Mestre al Centro Culturale Candiani.

Ecco il suo sito ufficiale

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Save the Children, da quasi un secolo a fianco dei bambini

Save the Children, è un'organizzazione non governativa nata in Inghilterra, a Londra, nel 1919 ad opera di Eglantyne Jebb (1876-1928), una attivista sociale e "crocerossina", che aveva prestato servizio durante il conflitto mondiale e che fu profondamente toccata dalle condizioni dei bambini europei nel post-guerra. Nel 1923 scrisse la prima Carta dei Diritti dei Bambini, che fu adottata nel 1924 dalla Lega delle Nazioni e nel 1959 dalla Nazioni Unite. Nel 1990, quel testo, ampliato e adattato, è divenuta la Convenzione dei Diritti dei Bambini, ratificata da tutti i paesi del mondo, ad eccezione della Somalia, del Sud Sudan e ... degli Stati Uniti. Nonostante le promesse elettorali di Obama, la Convenzione non è stata ancora ratificata.
Save the Children nel corso degli anni è divenuta una delle maggiori organizzazioni nel campo dell'intervento internazionale a favore dei bambini, intervenendo con tempestività e professionalità in tutte le crisi del mondo in cui era necessaria l'assistenza ai bambini.
Oggi oltre alla sede centrale, è presente in 28 paesi del mondo, ed opera in 120 paesi con uno staff di 14.000 persone.

Save the Children Italia ha lanciato la campagna - con questo video - per far destinare agli italiani il 5x1000 alle loro azioni. E' un modo sicuro per affidare, una piccola parte delle proprie tasse, ad una organizzazione che opera, nel mondo, ad esclusivo interesse dei bambini.



Ecco la pagina che tutte le informazioni necessarie.

Naturalmente sono molte le ONG che operano in Africa, spesso in situazioni molto difficili, con grande competenza e presenza. Esse meritano l'appoggio convinto di chi crede in un mondo diverso, più equo.


Ecco il sito ufficiale di Save the Children
Ecco il sito di Save the Children Italia

lunedì 16 aprile 2012

Scimpanzè, un'icona africana

Scimpanzè comune
Lo Scimpanzè, la scimmia antropomorfica più conosciuta, è uno dei tanti animali che vivono esclusivamente nel continente africano. Il nome scientifico è Pan troglodytes per lo Scimpanzè comune (in cui si riconoscono 4 sottospecie) e Pan paniscus per lo Scimpanzè Pigmeo o Bonobo. Il  nome scimpanzè trae origine da  un dialetto del  Golfo di Guinea.
Gli scimpanzè, stando agli storici furono osservati dagli europei  la prima volta nel 1500 dal navigatore portoghese Lopez e solo a metà del 1600 giunse in Europa il primo scimpanzè vivo, portato da Tulpius.

Scimpanzè Bonobo
 La differenza tra le due specie, a dispetto del nome, è minima (geneticamente meno del 1%) e basata sul colore del muso, roseo, e sulla struttura fisica più esile del Bonobo. I Bonobo sono stati studiati solo a partire dagli anni '70 da parte dei primatologi giapponesi. Secondo la classificazione dell'IUCN (International Union of Conservation of Nature), entrambe le specie sono considerate specie minacciate di estinzione dal 1996, mentre fino ad allora appartenevano alla categoria delle specie vulnerabili, una classe inferiore di pericolo.
La popolazione stimata si aggira tra i 170 e i 300 mila individui (di cui circa 100 mila solo nella R.D. del Congo) distribuita in 21 paesi africani dell'area centro-occidentale. I Bonobo, stimati tra i 30 e i 50 mila individui, vivono esclusivamente nella Repubblica Democratica del Congo.
Dal 1975 inoltre lo Scimpanzè è classificato dalla Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie Minacciate di estinzione (CITES) tra le categorie di animali in cui è proibito ogni commercio.
Distribuzione degli Scimpanzè, da Wikipedia
I motivi che fanno dello Scimpanzè una delle specie più a rischio di estinzione possono essere sintetizzati in tre categorie: la distruzione e il degrado del loro habitat (deforestazione, aumento della popolazione umana, ricerca e estrazione di minerali e petrolio, guerre), il bracconaggio (per farne cibo o per il commercio illegale dei piccoli) e le malattie (molte simili agli umani, tra cui l'Ebola).

Tra i maggiori studiosi degli scimpanzè vi è l'etologa inglese Jane Goodall (premiata lo scorso anno dal Presidente Giorgio Napolitano con il titolo di Grande Ufficiale per il suo impegno scientifico), che a partire dagli anni '60 iniziò a studiare gli scimpanzè nel Gombe Stream National Park in Tanzania. Oggi i suoi studi vengono ritenuti, unanimamente, i più importanti contributi alla conoscenza di questi primati. E' stata inserita nella ristretta cerchia dei 20 scienziati mondiali, viventi, che con le loro idee hanno maggiormente influenzato le nostre conoscenze. Nel 1977 ha fondato il Jane Goodall Institute.
Jane Godall
Nel Gambia esiste lo Chimpanze Rehabilitation Trust, un centro di recupero degli Scimpanzè situato in un isola del fiume Gambia (Baboo Island) all'interno di quello che oggi è il River Gambia National Park. Il centro fu istituito negli anni '70 da Stella Marsden, una delle pioniere della conservazione animale, morta nel 2008. La sua storia e la sua determinazione hanno permesso di creare una struttura che oggi ospita un settantina di scimpanzè.
Nel 1993 ho avuto la fortuna, di sbarcare, sebbene solo per qualche ora, a Baboon Island (allora, ma credo anche oggi, il centro non era visitabile). Si tratta di un'isola, sul fiume Gambia, a quel tempo non facile da raggiungere senza una propria imbarcazione. Un amico, veterinario, fu chiamato ad assistere ad un intervento di cardiochirurgia che un'equipe, forse svedese, doveva effettuare ad uno scimpanzè ospite del centro. Arrivammo con una barca ed io potei intrattenermi sulla riva attendendo la fine del suo lavoro. Ricordo il racconto di un guardiano, Lamin, che narrava di come negli ultimi tempi - al crescere del numero degli "ospiti" ed al loro adattamento all'ambiente naturale, erano stati costretti a creare delle zone di protezione per gli uomini. Infatti la zona dove eravamo era circondata da una grande rete ed erano, a suo dire, finiti i tempi in cui gli scimpanzè frequentavano liberamente la zona degli uomini. Era naturalmente il segno che il progetto funzionava. Gli Scimpanzè erano tornati ad essere liberi e ... pericolosi.

Per la cronaca, stando all'Istituto Jane Godall Italia, sono 54 gli esemplari di scimpanzè che si trovano negli zoo italiani.

Ecco la scheda della Red List dell'IUCN sullo stato dello Scimpanzè Comune
Ecco la scheda della Red List dell'IUCN sullo stato dello Scimpanzè Bonobo
Ecco invece una stupenda galleria di immagini
Pagina dell'Istituto Jane Godall Italia sugli Scimpanzè
La pagina del WWF sugli Scimpanzè 
Un sito sui Bonomo
Il sito della Wild Chimpazee Foundation (creata dai coniugi Boesch)

Ecco i luoghi descritti da Sancara ove è possibile ancora vedere, in natura,  gli Scimpanzè:

- Parco Nazionale del Virunga (R.D.Congo) 
- Riserva Naturale del Monte Nimba (Guinea-Costa d'Avorio)
- Parco Nazionale Tai (Costa d'Avorio)

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Orice dalle corna a sciabola: estinto in natura

L'orice dalle corna a sciabola (Oryx dammah), il cui nome deriva dalla magnifiche corna, è un animale della famiglia delle antilopi, che in passato viveva nel Nord Africa ed è considerato, fin dal 2000, dall'IUCN, l'ente per la conservazione della natura, estinto in natura e sopravvissuto solo in zoo e aree recintate.
L'uomo, con al sua azione, è riuscito ad eliminare questo animale dal pianeta. Esso fu descritto la prima volta nel 1816.
Un tempo esso viveva in tutta la fascia Sahariana dell'Africa, essendo un animale adattato alla vita con poca acqua (è capace di vivere settimane intere senza acqua, interrompendo la minzione e evitando la sudorazione attraverso l'innalzamento della temperatura corporea oltre i 46°). L'ultimo avvistamento in natura risale a oltre 15 anni fa. Nel 1985 vi erano 500 esemplari tra il Ciad e il Niger, ma già nel 1988 erano ridotti al alcune dozzine.  Dal 1986 la specie fu dichiarata a minaccia di estinzione e nel 1996 inserita nella lista delle specie criticamente minacciate di estinzione.
La situazione delle antilopi nel mondo è preoccupante. Stando alla IUCN, delle 91 specie di antilopi, una è estinta in natura, 25 sono minacciate da estinzione e 9 sono considerate vulnerabili.
La caccia, aumentata per poter sfamare sempre più persone oltre che per procurare elementi alla medicina nazionale (estratti soprattutto dalle corna), assieme alla distruzione dell'habitat naturale, sono le cause di questa strage.
Fin dagli anni '60 furono iniziati i primi tentativi di allevamento in cattività. Oggi Orici dalle corna a sciabola si trovano negli zoo, in un ranch in Texas e in un'aree recintate in Tunisia (nei parchi nazionali di Bou Hedra, Sidi-Toui e Oued Dekouk), in Marocco (nel parco nazionale di Souii-Mossa) e in Senegal ( nelle riserve di Guembeul e Ferlo) dove sono in corso  esperimenti di reitroduzione in natura.

Ecco la scheda della Red List dell'IUCN sull'Orice dalle corna a sciabola
Ecco alcune immagini da ARKive
Uno studio di Tania Gilbert e Tim Wooodfire, del 2004,  sulla Conservazione dell'Orice dalle corna a Sciabola

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giovedì 12 aprile 2012

Nel Sahel si muore

Le organizzazioni non governative e quelle internazionali, UNICEF in testa, hanno lanciato l'appello, con una campagna chiamata Dai l'allarme. Nel Sahel, colpito dall'ennesima grave siccità, si muore. Serve intervenire con urgenza, e per farlo vi è bisogno di denaro, tanto. Dei 120 milioni di dollari richiesti dall'UNICEF e necessari per l'intervento sinora ne sono stati raccolti meno della metà. Ad assere colpiti, in modo grave, dalla siccità vi è una popolazione di oltre 14 milioni di persone e di questi si stima che 1 milione di bambini siano a rischio vita.
A febbraio il Programma Alimentare Mondiale, aveva stimato in 800 milioni di dollari le necessità finanziarie per l'emergenza Sahel. 

Sancara aveva già scritto, nel febbraio scorso, dell'emergenza Sahel. Il Sahel è soggetto a periodiche siccità da oltre 3000 anni (le ultime gravi, furono negli anni '70 e '80, ma nel 2005 e nel 2010 si ebbero due siccità, sebbene molto meno estese e più localizzate) e, ad esempio, nell'aprile 2009 Le Scienze pubblicava questo articolo che anticipava prossime, e purtroppo sempre più catastrofiche, siccità.

Insomma tutto si può dire, meno che l'emergenza in corso non fosse prevista o attesa. Del resto la storia, da quelle parti in particolare, si ripete senza che essa insegni nulla. Metto il link di questo post, tratto da Peace Report e scritto da Gianluca Ursini, che parla della siccità in Niger. Attualissimo, se non fosse, che è stato scritto in occasione della siccità del 2005!

Si diffondono in questi giorni gli appelli, gli inviti a donare denaro, a sollecitare i governi ad intervenire con la loro quota di donazione, a far presto. Naturalmente mi associo agli appelli che vengono fatti, sono molte le ONG serie che lavorano sul campo (se si preferisce non donare alle organizzazioni internazionali), una rapida occhiata nelle rete e si trova tutto. L'urgenza, oggi, è questa.

Non possiamo però non spendere qualche parola sulle responsabilità di quanto avviene. Certo la natura, la mancanza delle piogge, gioca un ruolo decisivo e devastante. 
Ad essa si associano situazioni politiche (prima la guerra in Libia, poi il recente golpe in Mali) che hanno prodotto un numero di profughi che peggiorano situazioni già complesse.
Indice dei prezzi alimentari, fonte FAO
Così se è vero che la produzione agricola è calata nell'area dal 15 al 70%, è altrettanto vero anche che i prezzi, ad esempio dei cereali, sono aumentati di oltre il 90% e che hanno raggiunto il valore più alto degli ultimi 5 anni.  Assieme alle comprensibili cause locali, nell'indice dei prezzi, vi è sempre da considerare l'aspetto speculativo (pensate quanto spenderanno le agenzie internazionali per acquistare cibo per quasi 15 milioni di persone! in poco tempo).

La questione delle desertificazione del Sahel ha anche origine in alcune scelte che sono state fatte nel passato, in epoca coloniale, durante "le cure" introdotte dagli organismi finanziari internazionali e anche recentemente. Quando si fecero abbandonare progressivamente tutte le produzioni locali e tradizionali a vantaggio di alcune monoculture "economicamente convenienti" (ad esempio le arachidi), quando si favorì l'abbattimento selvaggio delle foreste per ricavarne legname (per essere esportato). Oppure quando si preferì continuare a consegnare aiuti alimentari, piuttosto che spendere in interventi che aumentavano la produzione agricola. E ancora, come quando si favorì in modo intensivo l'estrazione di alcuni minerali (ad esempio l'uranio nel Niger) che consumavano grandi quantità di acqua, che veniva sottratta all'agricoltura.
Oppure quando, recentemente, in Senegal si sono affittate (o vendute) terre fertili ai produttori internazionali di bio-carburanti, sottraendole alle comunità locali.
Insomma non sono mancate scelte scellerate (che rispondevano solo agli interessi di altri) che hanno aggravato una situazione climatica sicuramente difficile.
Così come da decenni si discute, ad ogni catastrofe, che è necessario mettere in atto strategie a lungo termine, come la creazione di bacini di raccolta di delle acque piovane, l'utilizzo di prodotti agricoli maggiormente resistenti alla siccità, l'escavo di pozzi profondi o la nascita di granai comunitari capaci di "tamponare" momenti di diminuzione del raccolto. Strategie annunciate da decenni, spesso costosamente studiate, talvolta anche realizzate (chi frequenta quelle zona, ha avuto modo di vedere opere abbandonate o non finite) e non utilizzate.  

La fame, in Somalia
Certo non stiamo parlando di soluzione miracolose o di una bacchetta magica capace di risolvere tutte le difficoltà del mondo, ma di azioni possibili, capaci di evitare situazioni umanamente inaccettabili, come la morte per fame (nel Sahel, come altrove) e che cadono sulla coscienza di tutti noi.
Thomas Sankara, negli anni '80, pronunciò questo discorso " ...ne abbiamo davvero abbastanza di questi aiuti alimentari (....) che immettono nelle nostre menti (....) riflessi di mendicante, da assistito! Bisogna produrre, produrre di più perchè è normale che chi vi da da mangiare vi detti anche le sue volontà".  
Nei pochi anni che governò, prima di essere ammazzato, Sankara riuscì a portare, un paese povero come il Burkina Faso, vicino all'indipendenza alimentare.

Per seguire l'evolversi della situazione, vi segnalo anche il sito del CILSS, il Comitato Permanente Interstatale per la lotta alla siccità del Sahel.



mercoledì 11 aprile 2012

Parco Nazionale W Region

I confini del Parco della W Region
Il Parco Nazionale della W Region è una straordinaria area di biodiversità che interessa tre paesi: Niger, Burkina Faso e Benin dell'Africa Occidentale.
Il territorio complessivamente si estende per 1 milione di ettari (550.000 in Benin, 250.000 in Burkina Faso e 220.000 in Niger) ed è diventato zona protetta nel 1926 e dal 4 agosto 1954 è, per decreto, Parco Nazionale (tra i primi in Africa Occidentale).  
Oggi rappresenta il parco più esteso dell'Africa Occidentale. E' situato lungo i meandri del fiume Niger, che in quella zona forma, con le sue anse, una sorta di W, da cui il nome. La zona del Niger del Parco è dal 1996 Patrimonio dell'Umanità UNESCO e Riserva della Biosfera dell'UNESCO. Nel 2002, l'area della Riserva della Biosfera è stata estesa anche al Burkina Faso e al Benin, divenendo la prima Riserva transfrontaliera africana. Attualmente l'area complessiva della riserva della biosfera comprende oltre 3 milioni di ettari, di cui 1 milione di parco vero e proprio (core area, nelle definizioni delle Riserve, ovvero l'aria maggiormente protetta e soggetta ad attività di ricerca), 510 mila ettari di zona buffers (cioè abitata in modo ecosostenibile) e oltre 1,5 milioni di ettari di zona di transizione.
Caratteristiche anse del fiume Niger (da Wikipedia)
Del resto la zona del fiume Niger fin dal Neolitico è stata caratterizzata da una forte presenza dell'uomo che intereagiva con l'ecosistema ambientale.
A tal proposito vi segnalo questo articolo di Alessandra Ghisalberti, dell'Università di Bergamo, sulle migrazioni delle popolazioni nell'area del Parco W che sottolinea come le migrazioni delle popolazioni nell'area periferica della Riserva, rappresenti una questione strategica per la conservazione e la tutela della stessa.


Vi posto anche il link a questo video del Ministero del Turismo e dell'Artigianato del Niger, che presenta l'area "alla periferia" del Parc W du Niger, che vale la pena essere visto.

Il parco è caratterizzato dalla presenza dei grandi mammiferi (ippopotami, bufali, leoni, leopardi, giraffe, elefanti) ed in particolare dall'esistenza degli ultimi elefanti dell'Africa Occidentale e dalla rara Giraffa dell'Africa Occidentale (Giraffa camalopardalis peralta), che oggi sopravvive in natura con solo 200 esemplari e che una volta occupava l'area che si estende dal Senegal al Lago Ciad. Altra specie animale in pericolo che vive nel parco è il Licaone.
Inoltre sono state osservate oltre 350 specie di uccelli e una grande varietà di alberi e arbusti.

Il parco ha una struttura geografica collinare (altitudine tra i 200 e i 400 metri), ed è visitabile tutto l'anno, sebbene nella stagione delle piogge (giugno-settembre) l'accesso è molto più difficoltoso. I mesi migliori per vedere gli animali sono la stagione secca, tra febbraio e maggio.

Comunque ecco il sito ufficiale del Parco

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martedì 10 aprile 2012

Un'altra donna alla guida di un paese africano

Il Presidente del Malawi Joyce Banda
Dal 7 aprile scorso un'altro paese africano, il piccolo Malawi, è entrato nella scarna lista dei paesi del mondo guidati da una donna. Infatti con la morte del presidente Bingu wa Mutharika, avvenuta il 5 aprile scorso, il Vice Presidente in carica, la signora Joyce Banda è divenuta - non senza qualche ostacolo - la terza donna a capo di uno stato in Africa (le altre sono, dal 2006 la Presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf e dal 31 marzo scorso la Presidente delle Mauritius, Agnes Monique Ohsan Bellepeau). Assieme a queste tre donne (di cui solo la Premio Nobel per la Pace liberiana non è ad interim), dal febbraio scorso, un'altra donna guida un governo in Africa ed è in Guinea Bissau, Adiato Djalo Nandigna. Fino all 22 marzo scorso, data del golpe in Mali, un'altra donna Cissè Mariam Kaidam Sidibè, guidava dal 3 aprile 2011 il governo di quel paese. 


Il Malawi diventa così il 17° paese africano (sui 54 esistenti) ad aver avuto nella sua storia indipendente, almeno per un giorno, una donna a Capo del Governo o a Capo dello Stato.


Sui chi è Joyce Banda (nulla a che vedere con lo storico dittatore del Malawi, Hastings Banda, che ha guidato il paese dal 1966 alla sua morte avvenuta nel 1994), vi rimando a questo post sul blog Jambo Africa.


Sancara ogni anno, agli inizi di gennaio, dedica un post alle Donne al Potere nel mondo, ecco quello del 2011. La situazione nel pianeta continua ad essere non favorevole alle donne.


A parte le Regine (3) e i Governatori Generali (3) sono una poco più di una ventina i paesi del mondo che hanno una guida (governo o stato) al femminile. Sei (6) in Europa, tra cui la Germania e la Danimarca, cinque in Sud-Centro America (tra cui il Brasile e l'Argentina), tre (3) in Asia tra cui Bangladesh, Thailandia e India. Oltre a all'Australia e la Lituania. Ancora poca cosa.


Popoli d'Africa: Chopi

I Chopi (chiamati anche Copi o Txopi) sono un gruppo etnico che vive, in particolar modo nella regione di Zavala, provincia di Inhambane, nel sud del Mozambico dove, stando ad alcuni studi, giunsero verso il XIV secolo. Sono ritenuti tra i primi abitanti dell'odierno Mozambico. Si stima siano un numero vicino agli 800-900 mila individui. Sono tradizionalmente degli agricoltori, sebbene con il tempo molti sono emigrati nelle città, soprattutto quelle minerarie del Sud Africa, dove spesso svolgono i lavori più umili. Nella loro alimentazione prevale l'utilizzo della cassava, degli anacardi e la produzione di una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione di una qualità di mandarino tangerino. Parlano la lingua Chichopi, una lingua tonale dalla famiglia delle lingue bantu. Culturalmente sono associati agli Shona. Una piccola parte è di religione cristiana, mentre la maggioranza continua ad osservare antichi riti animisti.
Nel passato hanno avuto contrasti con i vicini, gli Tsonga, che hanno invaso le loro terre.
E' un popolo conosciuto e studiato - soprattutto negli anni '80 e '90 -  per la loro grande tradizione musicale, in particolare per uno strumento, il mbila (singolare di timbila), uno xilofono suonato da grandi gruppi e dal 2005 divenuto patrimonio immateriale dell'umanità dell'UNESCO. La composizione di gruppo dei Chopi è molto complessa ed è stata definita "il più sofisticato metodo compositivo mai trovato tra i popoli pre-letterati" e per questa ragione inserita tra i patrimoni culturali dell'umanità da tutelare e preservare. Nella tradizione musicale dei Chopi, le quali musiche accompagnano le danze delle cerimonie, come le danze epiche ngodo. Vi sono ovviamente altri strumenti ricavati da frutti, corni di animali e tamburi di varie dimensioni. Sullo mbila Sancara aveva già scritto in questo post. Tra gli uomini che maggiormente hanno diffuso la musica chopi suonata con la mbila vi è Venencio Mbande, di cui si possono ascoltare alcuni pezzi (come questo) in rete.
Una cultura, quella Chopi che rischia di essere persa totalmente a causa dell'abbandono delle terre natie e della marginalizzazione nelle città.

Mbila
Per chi desidera approfondire la questione Chopi, vi segnalo questa tesi di laurea di Marcos Efraim Macano, presso il master di Teologia dell'Università del Sud Africa intitolata "The Chopis' Journey: Restoring Identity Throuugh Theology and Mission". E' un lavoro che ricostruisce la perdità di identità del popolo Chopi che ha avuto un ricco patrimonio culturale e che una volta sradicato dalla sua cultura rurale è stato fortemente marginalizzato.

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa

venerdì 6 aprile 2012

Oggi, 6 aprile 1994

Sono passati quasi vent'anni, dall'inizio dell'ultimo genocidio umano. Quel 6 aprile 1994 avvenne, in Ruanda, un fatto che innescò una serie di inimmaginabili ed atroci violenze, che in poco più di 100 giorni portarono alla morte di 1 milione di persone, un settimo della popolazione del paese, molte delle quali uccise a bastonate e con il machete. Altre violentate e mutilate.
Per l'umanità è stato un film del terrore che ancora oggi spaventa a vederlo.

Foto di Livio Senigalliesi

Leggete, se avete voglia, Mentre il mondo stava a guardare, di Silvana Arbio, un magistrato italiano che per conto del Tribunale Penale Internazionale ha indagato sul genocidio del Ruanda.

Vedi Sancara, Date Storiche per l'Africa: 6 aprile 1994

Nodding Disease: una malattia che preoccupa e fa orrore

Un bambino affetto da Nodding Disease, legato
I giornali e i siti del mondo anglofono ne parlano insistentemente da tempo e  nell'ultimo mese in particolare (in Italia, come spesso avviene, la notizia, salvo alcune eccezioni, come L'Indro, non ha destato ancora l'interesse di nessuno). Provate a digitare "nodding disease" su un motore di ricerca e vedrete un numero considerevole di articoli postati nell'ultimo periodo, oltre che video di ogni genere. 
Nel Nord dell'Uganda, in Tanzania e in Sud Sudan, le autorità sanitarie, le organizzazioni internazionali e le ONG sono preoccupate per un'epidemia di una malattia dai contorni, per ora ancora misteriosi, e che coinvolge i bambini. Una malattia che per le sue caratteristiche, ad esempio colpire i bambini e ridurli ad uno stato di "automi", tocca non solo la mente, ma anche il cuore di chi guarda con attenzione questi luoghi, forse un pò dimenticati, del mondo. Un'ennesima tragedia che rischia di abbattersi su un area del nostro pianeta dove già la vita non è facile, per tutti e per i bambini in particolare.
Tecnicamente la malattia, chiamata per ora Nodding Disease (il nome deriva dall'inglese nod, annuire, che sottolinea un gesto tipico  e patognomonico della malattia), potrebbe essere definita una "nuova malattia", nel senso che la scienza biomedica ancora non è in grado di identificarne con certezza eziologia (da cosa deriva), delinearne le modalità di trasmissione e di conseguenza le cure efficaci.
In realtà la malattia fu osservata per la prima volta nel 1962 in Sudan, sebbene la relazione con l'attuale sindrome, sia stata solo recentemente confermata. 
La malattia - che come dicevamo colpisce solo bambini tra i 5 e 15 anni - è caratterizzata da un forte ritardo mentale (su base di un'atrofia cerebrale), da sintomi neurologici tra cui appunto il movimento del capo nel senso di annuire (da cui appunto il nome della malattia) e da crisi tonico-cloniche, simil epilettiche, tanto che inizialmente si pensò al una forma appunto di epilessia (ancora oggi l'OMS nelle sue schede continua a scrivere malattia legata all'epilessia).
Il risultato è che questi bambini deambulano in questo stato "semi-catatonico" nei villaggi, al punto che qualcuno ha anche paragonato, questi bambini a dei moderni "zombi". Il risultato è che avvengono molti incidenti (affogamenti, ustioni, cadute) e quindi spesso i bambini vengono legati (vedi la foto in alto) per tutelare la loro incolumità. Cosa che a noi fa inorridire e gridare alla scandalo, ma vi assicuro che nelle realtà rurali africane diventa spesso, purtroppo tristemente, l'unica possibilità per evitare incidenti e permettere alla famiglie di continuare a vivere. Senza andare molto lontani, nel nostro paese si facevano cose analoghe  e peggiori, fino ad alcuni decenni or sono, per molte patologie mentali.
Gli studi attuali portano ad una stretta relazione tra la nodding disease e l'Onchocerca Volvulus, un nematode (verme) responsabile della cecità dei fiumi, ad una relazione con alcune carenze vitaminiche, mentre sembra esclusa qualsiasi trasmissione tra uomo e uomo.
Solo in Uganda sono stati diagnosticati 3097 casi a partire dal 2010 e di questi 174 sono morti.

Un padre porta il figlio, affetto da ND, in Ospedale
Naturalmente da tempo l'Organizzazione Mondiale della Sanità segue la faccenda, sia da un punto di vista epidemiologico, sia di quello degli studi, sia sul piano delle eventuali modalità di trattamento dei giovani pazienti. Recentemente in Uganda è stato aperto il primo Centro per il Trattamento dei Malati di Nodding Disease.
Infine mi sembra corretto segnalare che avviene in queste aree del mondo quando sorgono (o si modificano) nuove patologie, qualcuno inizia già a parlare di una relazione con alcuni vaccini somministrati ai bambini. Ora che l'Africa sia stata - e purtroppo continua a esserlo - soggetta a sperimentazioni di ogni genere è cosa risaputa (qualche volta si è riusciti perfino ad ottenere risarcimenti da parte delle multinazionali del farmaco) per cui ogni ipotesi andrebbe seriamente investigata.

Certo, finchè la malattia colpirà solo un pò di bambini neri dell'Uganda, sarà molto difficile che la comunità scientifica internazionale, e l'opinione pubblica, si attivino seriamente per evitare l'ennesima violenza sull'infanzia africana. Forse parlarne può aiutare.

Ecco una buona analisi sulla patologia, dal sito ScienceBlogs, postata solo una settimana fa.

Ringrazio l'amica Jasmine Isam (blogger, autrice del Diario della Rivoluzione Egiziana), per avermi stimolato a scrivere un post su questa strana malattia.

mercoledì 4 aprile 2012

Mai più mine antiuomo!

In guerra, si sa, tutto è possibile. Le armi sono sempre più sofisticate e gli uomini sempre più pronti a crudeltà di ogni tipo. Nonostante gli sforzi di alcuni i conflitti armati continuano ad accendersi in quasi ogni angolo del pianeta. Alcuni durano lo spazio di alcuni giorni, altri si trascinano per anni e decenni, spesso dimenticati da tutti. Alla fine - quando una fine esiste - lasciano sempre distruzioni fisiche e morali - che colpiscono sempre la popolazione civile - per cui spesso non basta una vita intera per superare il dolore di quanto accaduto. A volte non si capisce nemmeno l'origine del conflitto. Forse l'uomo - nel senso di genere umano - è stupido davvero.
Tra le eredità più meschine e subdole che le guerre lasciano vi sono senz'altro le mine antiuomo (ecco una trattazione completa su Conflitti Dimenticati) - di cui oggi si celebra la Giornata Internazionale di Sensibilizzazione, voluta dalle Nazioni Unite nel 2005.
Le mine antiuomo - disseminate allegramente durante i conflitti (costano poco e vengono spesso lanciate direttamente dagli aerei) per impedire le avanzate di terra - colpiscono a distanza di decenni e decenni, e a farne le spese è sempre la popolazione civile. Nel 2010 le vittime delle mine-antiuomo sono state 4191, in 60 paesi diversi (con un aumento del 5% rispetto al 2009). Di queste, 1155 sono i morti e 2848 i feriti, che per le mine generalmente significano amputazione di un arto.
Un immagine di Miss Landmine 2008 che ha girato il mondo
Di queste vittime, stando al Report 2011 sulle Mine anti-uomo di Landmine Monitor il 75% sono civili e il 25% sono bambini. Esse si aggiungono tristemente alla lunga lista di mutilati che in alcuni paesi rappresentano fasce importati della popolazione.
Nonostante  le mine antiuomo siano state messe al bando nel 1997, al settembre 2011 erano 157 gli Stati del mondo che avevano firmato il Trattato. Nel gruppo del 20% dei Paesi del Mondo che non hanno firmato la messa al bando vi sono gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l'India, il Pakistan, Israele, Cuba, le Coree, l'Egitto, la Libia, il Marocco, la Polonia, la Finlandia e tanti altri.

Sono 12 i paesi che continuano a produrre mine-antiuomo, ovvero Cina, Cuba, India, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Singapore, Corea del Sud, Stati Uniti e Vietnam.

Ma, la cosa più grave è che tre governi (Israele, Libia e Myanmar) hanno minato aree del proprio territorio nel corso del 2010. E' bene sottolineare che si tratta di operazioni governative, poichè anche in Afghanistan, Pakistan e Colombia nel corso del 2010 sono state minate delle aree, ma in questo caso a farlo sono stati gruppi non governativi o ribelli, il cui controllo è naturalmente più complesso.

Sono oggi 72 i paesi del mondo dove si trovano ancora disseminate mine-antiuomo. In 24 paesi Africani, in 18 paesi dell'Europa ed ex-URSS, in 15 paesi asiatici, in 8 paesi del Medio-Oriente e in 7 paesi delle Americhe.
I paesi che hanno più di 100 km quadrati di campi minati si trovano l'Afghanistan, l'Angola, la Bosnia, la Cambogia, il Ciad, la Croazia, l'Iran, l'Iraq, il Marocco, lo Sri Lanka, la Tailandia, la Turchia e lo Zimbabwe. Luoghi che sono stati caratterizzati da lunghe e spesso oramai datate guerre.
Le aree minate oltre a creare danni fisici alla popolazione, impediscono spesso lo sviluppo - ad esempio agricolo - di interi territori ritenuti in precedenza fertili e produttivi.

Topo sminatore in azione
Infine, è giusto sottolineare l'impegno di chi smina. Un lavoro complesso, difficile e pericoloso (il 20% degli incidenti del 2010 riguarda il personale che smina) fatto da uomini (molti di organizzazioni non governative) e recentemente da topi addestrati. Un'opera che, nonostante il massiccio impiego di personale, ha portato nel 2010 a bonificare 200 chilometri quadrati nel mondo.
Questo gioco perverso del genere umano, costa a tutti noi una cifra vicina ai 500 milioni di dollari, per ogni anno. 

Il poster della campagna di CALM
Dire oggi stop alle mine anti-uomo è un imperativo. Bisogna impedire la fabbricazione, ancor prima che l'ultilizzo, di questi strumenti micidiali di morte. Vi segnalo il lavoro della Campagna Italiana contro le Mine in cui è possibile  aderire alle iniziative ed avere tutte le informazioni dettagliate e immediate sul tema delle mine.
Così come vi segnalo il sito della International Campaign To Ban Landmines che tra le altre cose richiama alla necessità di protestare contro la Siria che utilizza, nel conflitto in corso, le mine antiuomo.

Sancara aveva già parlato delle mine-antiuomo con questo post dell'agosto 2010, intitolato Come ti faccio saltare una gamba, purtroppo la situazione non è per nulla cambiata.