giovedì 31 maggio 2012

Charles Taylor: un criminale

Charles Taylor, oggi  (foto The Sun)
E' di questi giorni la notizia, che molti aspettavano, della condanna a 50 anni di reclusione di Charles Taylor, ex Presidente della Liberia, per "aver facilitato e incoraggiato crimini di guerra e crimini contro l'umanità" durante le guerra civile in Sierra Leone (1991-2001). Taylor è stato condannato (l'accusa aveva chiesto 80 anni  - è da ricordare che la Corte Speciale delle Nazioni Unite per la Sierra Leone non può condannare all'ergastolo) per 11 capi d'accusa, tra cui l'omicidio, lo stupro, la mutilazione e l'uso di bambini soldato. 
E' la prima volta che un ex-capo di Stato viene condannato da un Tribunale Speciale. Grazie ad un accordo, Taylor, sconterà la sua condanna (ovvero parte di essa, visto che ha già 66 anni) in Gran Bretagna. 


La condanna di Taylor - sebbene criticata dalle associazioni delle vittime  che chiedevano una condanna per "aver commesso i fatti" e non per "averli facilitati e incoraggiati", è un passo importante verso la giustizia ed un monito per altri capi di stato (il sudanese al-Bashir, ad esempio, per i fatti del Darfur). Un monito che avverte, che anche se a distanza, i crimini commessi saranno puniti. Una speranza per l'umanità e per l'Africa.


Charles Taylor è stato Presidente della Liberia dal 2 agosto 1997 all'11 agosto 2003. Dal dicembre 1989 ha lanciato una azione di guerriglia - a capo dell'NPFL - National Patriotic Front of Liberia -  (appoggiata  e finanziata dalla Libia di Gheddafi) per il controllo delle risorse del Paese che è durata fino al 1996. Quando nel 1997 è stato eletto dai Liberiani il suo slogan elettorale fu "Ha ucciso mio padre, ha ucciso mia madre, però lo voto". Nonostante questo ottenne oltre il 75% dei voti. Si dice per paura che la mancata elezione di Taylor riscatenasse la terribile guerra civile a cui la Liberia era stata sottoposta per quasi 10 anni.

A partire dal marzo 1991 Taylor ha finanziato e codiretto la guerra civile in Sierra Leone (guidata dal RUF - Fronte Unito Rivoluzionario, capeggiato da un'altro macellaio, Foday Sankoh, morto in carcere nel 2003) che ha devastato  il Paese fino al 2001. Oltre 120 mila morti, centinai di migliaia di amputati (una delle missioni dei soldati bambini era amputare mani, braccia, piedi o gambe nei villaggi dove arrivavano, spesso ai propri parenti), oltre il 30% dei combattenti sono stati bambini sotto i 15 anni, oltre il 90% delle bambine catturate dai ribelli sono state violentate e spesso mutilate.
Tutto questo per il controllo delle ingenti risorse della Sierra Leone: diamanti, oro, bauxite e rutilio, ma anche caffè e cacao.
Sull'argomento consiglio di leggere il lavoro di Greg Campbell - "Diamanti di sangue" edito da Carocci nel 2003.


Charles Taylor, in Sierra Leone
Il 16 gennaio 2002 viene istituita la Corte Speciale per la Sierra Leone incaricata di indagare sui crimini commessi dal 30 novembre 1996 alla fine della guerra civile.
Il 7 marzo 2003 Charles Taylor viene ufficialmente accusato, assieme ad altri, di crimini contro l'umanità, di assassinio, di stupro, di aver arruolato bambini soldati, di atti di terrorismo e delle mutilazioni in Sierra Leone. Taylor sarà deposto nell'agosto 2003 e si rifugerà in Nigeria. Nel novembre 2003 l'amministrazione USA metterà una taglia di 2 milioni di dollari sulla sua cattura. Solo a partire dal marzo 2006 - la situazione cambia. La Nigeria concede l'estradizione (pur in assenza di accordi specifici con la Liberia) e Taylor fugge, ma viene catturato alla frontiere con il Camerun in un'auto piena di contanti ed eroina. Dal 20 giugno 2006 è detenuto all'Aia (sede del Tribunale Internazionale) dove è stato sottoposto a processo.

Amputazioni in Sierra Leone (Wide World Photos)
La storia di Taylor ha inizio però molto prima. Nato nel 1948 il Liberia, figlio di una donna di etnia Gola e di un uomo liberiano-americano, si è laureato al Bentley Collage (1972-1977) negli Stati Uniti. Appoggiò il golpe del 12 aprile 1980 , guidato da Samuel Doe, e che portò all'assassinio di Tolbert. Ebbe un delicato incarico di governo fino al maggio 1983, quando fu licenziato e accusato di aver sottratto un milione di dollari pubblici liberiani. Scappò negli Stati Uniti, dove un anno dopo, il 14 maggio 1984 fu arrestato. Il 15 settembre 1989, assieme ad altri 4 detenuti e aiutato dalla moglie e della sorella, scappò da un  carcere di massima sicurezza americano. Tutti saranno arrestati, ad eccezione di Charles che per un pò scompare.
Secondo i bene informati, scappato con la complicita del governo americano, si addestra il Libia, alla corte di Gheddafi e nel dicembre 1989 lancià l'offensiva di cui si parla sopra.

Ecco un sito - The Trial of Charles Taylor - dove trovare tutte le informazioni sul caso Taylor.

Charles Taylor, entra di diritto, nella pagina di Sancara sulle Anime Nere dell'Africa (cioè tra coloro i quali hanno contribuito a devastare e impoverire il continente nero)


Altri post di Sancara che trattano il tema:
- Un diamante è per sempre
- La Venere Nera e Charles Taylor

Tipasa

L'antica città fenicia di Tipasa si trova sulle coste Mediterranee dell'Algeria, a circa 70 chilometri da Algeri. La città è spendidamente adagiata su di un promontorio che degrada a mare, nel mezzo di una ricca vegetazione della tipica macchia mediterranea.
La città a partire dal I secolo (e dopo il dominio berbero del Regno di Mauretania) fu occupata dai Romani (per gli storici nel 39 a.d.) che costruirono gran parte delle opere oggi visibili (chiese, templi, teatro, anfiteatro, il porto commerciale e le terme), sebbene alcune in non ottime condizioni. Divenne quindi una città importante sotto il profilo commerciale, ma abbastanza anonima sotto quello culturale. Resistè fino al 429 quando fu occupata, come gran parte dell'area dai Vandali (in realtà fu poi anche riconquistata dai romani e successivamente ripersa). Fu infine nella mani dei Bizantini e a partire dal VI secolo, ovvero quando arrivarono gli Arabi (che non si insediarono nella città perchè la trovarono molto danneggiata), cominciò il suo inesorabile declino.
Rimase tristemente abbandonata fino al 1857, quando fu fondato l'attuale villaggio (chiamato Tipaza) e divenne poi un centro archeologico e turistico.

Nel 1982 la città archeologica fu inserita tra i Siti Patrimonio dell'Umanità voluti dall'UNESCO, per la straordinaria testimonianza della dominazione fenicia e romana nel nord Africa, oltre che per la pregevolezza delle sue opere architettoniche. 
Nel 2002 l'UNESCO decise di inscrivere il sito di Tipasa tra quelli considerati a rischio. Il motivo fu dettato da "una certa rilassatezza" del governo Algerino nel tutelare la parte archeologica e l'area ad essa circostante. 
Solo nel 2006, dopo 4 anni di interventi e qualche finanaziamento aggiuntivo, il sito fu tolto dalla lista dei Patrimoni a rischio. In fin dei conti si è trattato di un "buon esempio" di tutela e azione nei confronti dei beni che l'umanità tutta è impegnata a tutelare e conservare per le future generazioni.


Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

mercoledì 30 maggio 2012

L'Africa ai Giochi Olimpici - terza parte

Con questo terzo post continua il viaggio di Sancara dedicato alla presenza africana ai Giochi Olimpici, in vista dei prossimi giochi che si inaugureranno a Londra a fine luglio. Nel primo post si è affrontato la questione generale relativa alla partecipazione dei paesi africani, mentre nel secondo si è cercato di analizzare le discipline sportive che hanno caratterizzato la stora dell'Africa alle Olimpiadi estive.
In questo terzo post, cercheremo di analizzare la presenza femminile africana ai Giochi.
Delle 313 medaglie vinte dall'Africa alle Olimpiadi, 63 sono femminili (21 di oro, 22 di argento e 20 di bronzo, cioè il 20,1%).
Esse sono state vinte in 5 discipline sportive: l'atletica leggera, che con 37 medaglie (17 di oro) è la disciplina più rappresentata (la prima medaglia fu vinta a Los Angeles nel 1932), seguita dal nuoto con 15 medaglie (5 di oro e la prima vinta nel 1928), poi con una medaglia ciascuna l'hockey (oro nel 1980), il sollevamento pesi (argento nel 2000) e il judo (bronzo nel 2008).

Alice Annum sul podio ai Giochi del Commonwealth 1970
La prima donna africana a partecipare alle Olimpiadi fu naturalmente una "colona", tale Barbara Nash, nuotatrice di 17 anni del Sudafrica, che nel 1920 ad Anversa gareggiò nei 100 e nei 300 stile libero (fermandosi in entrambre le gare alle semifinali).
Bisognerà aspettare le Olimpiadi di Tokyo nel 1964 per vedere le prime africane di colore partecipare alle Olimpiadi. Alle Olimpiadi Giapponesi parteciparono 7 atlete (3 del Ghana, 2 della Nigeria e 2 dell'Uganda), che nell'atletica leggera ebbero tutte un ruolo marginale. Tra di esse vi era anche una 15enne del Ghana, tale Alice Annum (nella foto) che arrivò 29° nel salto in lungo. Riusci però a partecipare ad altre due Olimpiadi (1968 e 1972). In particolare, a Monaco 1972, fu finalista nei 100 e nei 200 metri (rispettivamente 6° e 7°).
Infine solo nel 1972 a Monaco parteciperonno le prime atlete del Nord- Africa. Saranno le marocchine Fatima El-Faquir (100 e 200 metri, ferma alle batterie) e la mezzofondista Malika Hadky.

A vincere la prima medaglia olimpica africana al femminile fu, il 17 maggio 1928 ad Amsterdam, il quartetto della 4x100 femminile Sudafricana composto da Rennie Rhoda, Frederika Van der Goes, Marie Bedford e Kathleen Russell. La Rhoda, passata dopo le Olimpiadi al golf con buoni risultati, morì suicida nel 1963 a 52 anni. 
El-Moutawakel, vincitrice a Los Angeles
Atlete bianche del Sudafrica vinsero nelle olimpiadi successive altre 2 medaglie, nel nuoto e nell'atletica, alle Olimpiadi del 1932, ma le prime di oro giunsero nel 1952 ad Helsinki, quando Ester Brand nel salto in alto e Joan Harrison nei 100 dorso, ebbero l'onore di indossare la medaglia del più pregiato metallo.

Nel 1984 a Los Angeles vi fu invece la prima medaglia, per di più di oro, dell'Africa del Nord. A vincerla fu la marocchina Nawel El-Moutawakel, che con 54"61 vinse i 400 metri ostacoli. La El-Mouawakel fu anche la prima donna mussulmana a vincere una medaglia alle Olimpiadi. La sua carriera agonistica si chiuse nel 1987 con la vittoria ai Giochi del Mediterraneo, mentre iniziò quella ugualmente prestigiosa di diplomatica e politica dello sport. Fu consigliera della IAAF e dal 1998 membro del Comitato Olimpico Internazionale. Nel 2007 fu anche Ministro dello Sport del Marocco.

A Bercellona, nel 1992, il quartetto nigeriano femminile della 4x100 raggiunse uno storico bronzo. La steffetta era composta da Beatrice Utondu, Christy Thompson-Opara, Faith Idehem e Mary Onyali, le ragazze nigeriane riuscirono con degli ottimi cambi ad essere a ridosso degli Stati Uniti e allo squadrone ex-sovietico che a Barcellona si era presentato come Comunità di Stati Indipendenti (CSI). Mary Onyali vinse anche ad Atlanta nel 1996 il bronzo nei 200 metri ed è l'unica nigeriana ad aver partecipato a 5 olimpiadi (da Seul 1988 a Londra 2004). A Barcellona vinse la medaglia d'argento anche la bianca sudafricana (il Sudafrica era stato riammesso allo olimpiadi a seguito dell'esclusione a causa dell'apartheid) Elana Mayer, mentre l'algerina Hassiba Boumelka vinse l'oro nei 1.500 metri.

L'unica medaglia africana femminile di uno sport a squadre, fu vinta nelle Olimpiadi di Mosca del 1980, dalla nazionale dello Zimbabwe nell'hockey su prato.

Kirsty Covetry acconta trionfatrice in Zimbabwe, nel 2004
Infine, ma questo sarà oggetto di un'altro post, è una donna l'atleta africano che ha conquistato più medaglie ai Giochi Olimpici, si tratta della nuotatrice dello Zimbabwe Kirsty Coventry, che partecipando a tre Olimpiadi (2000, 2004 e 2008) ha vinto complessivamente 7 medaglie (2 ori, 4 argenti e un bronzo) nel dorso e nei misti (alle due ultime olimpiadi). Dietro di lei, tra le donne, tre fondiste etiopi (Tulu Derartu, Dibaba Tirunesh e Wami Gete) che hanno vinto tre medaglie (le prime due anche 2 di oro) e la nuotatrice sudafricana Penelope Haynes, anch'essa vincitrice di 3 medaglie  di cui 2 di oro.

Vai al post L'Africa ai Giochi Olimpici - prima parte

lunedì 28 maggio 2012

Musica: Mamadou Barry, "Maitre Barry"

Mamadou Barry, nato nel 1947, è un polistrumentista - suona ogni tipo di sax, flauto e percussioni -  della Guinea (nato a Kindia, al confine con la Sierra Leone, quando la Guinea era ancora colonia francese). Di etnia peul, fu in seguito chiamato "maitre Barry" (maestro Barry), perchè aveva il diploma di maestro elementare. La madre contraria al fatto che diventasse musicista, lo voleva insegnante, mentre il padre, a sua volta musicista (suonava fisarmonica e batteria) favoriva la sua naturale propensione al pentagramma e alle note.
Inizia da giovane a suonare come percussionista (djembe) e solo dopo iniziò a suonare il sassofono, fu allievo di Honorè Coppet.
Quando iniziò a suonare, la musica della Guinea rappresentava una avanguardia della musica africana. Da una parte alcuni musicisti si impegnavano a rappresentare le radici e la tradizione, dall'altra, i più giovani e talentuosi (di cui Barry era tra i principali esponenti) potevano sperimentare nuovi linguaggi e farsi contaminare da altre sonorità, prima tra tutte quella cubana.
Nel 1969 fu tra i fondatori, e poi direttore, della Kaloum Star Orchestra, un'orchesta nata a Conakry, frutto della collaborazione di giovanissimi musicisti (tutti ventenni), tra cui il chitarrista, e suo compagno (ancora oggi i due collaborano), Mamadou Camara. L'Orchestra pur continuando a suonare con grande intensità, diventò presto conosciuta ed apprezzata in tutta l'Africa Occidentale, incise solo tre singoli e un'unico album, nel 1997, Felenko (registrato in Francia).
Solo molti anni dopo, precisamente nel 2009, dopo oltre 50 anni di carriera, Mamadou Barry incide il suo primo album, chiamato Niyo, una miscela di Afro-beat, jazz e ritmi tradizionali.


Nell'album vi è anche una bella versione di uno dei classici del jazz, Take Five di Paul Desmond (standard del 1959, suonato da Dave Brubeck), reintitolato da Barry Africa Five. 
Oggi porta in giro per il mondo la sua musica accompagnato dal suo sestetto.

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giovedì 24 maggio 2012

24 maggio 1993, l'Eritrea è indipendente

Una guerriera del FPLE
L'Eritrea è stato il penultimo stato divenuto indipendente in Africa (dopo di lei il Sud Sudan nel 2011). La sua è stata una conquista faticosa, frutto di una guerra d'indipendenza, spesso dimenticata e inascoltata, durata 30 anni (1961-1991). 
Una guerra di liberazione che ha visto, fin dal 1976, una forte partecipazione femminile, tanto che alla vittoria finale circa il 30% dei guerriglieri era di sesso femminile.
Tra gli addestratori delle donne eritree vi fu anche lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore della fantastica trilogia Millennium.
Il nome Eritrea, derivato dal greco erythros, rosso, per rimarcare la sua posizione sul Mar Rosso, fu coniato dagli italiani quando alla fine XIX colonizzarono quest'area.
Il paese fu conquistato dagli italiani a partire dal 1879 (ufficialmente colonia fu dal 1890), che oltre a far sviluppare il porto di Massaua, che ne divenne la capitale, ammodernarono il paese (ad esempio con la costruzione della ferrovia Massaua-Asmara) e favorirono una massiccia migrazione di italiani in Eritrea. Al censimento del 1939, su 98 mila abitanti, ben 53 mila erano italiani. 
Gli italiani usarono l'Eritrea come base per tentare la conquista dell'Abissinia (Etiopia), fallendo nel 1895 con la nota sconfitta di Amba Alagi e riuscendoci solo per un breve periodo dal 1936 al 1941.
E' appunto nel 1941 che l'Italia venne sconfitta dagli inglesi che occuparono l'Eritrea fino al 1947 (restituendo all'imperatore Haile Selassie il controllo dell'Etiopia), e successivamente ottenendo dalle Nazioni Unite il protettorato sul paese. Nel 1952, la diplomazia internazionale, dopo estenuanti trattative, decise di concedere all'Eritrea una risicata autonomia in seno ad una Federazione con l'Etiopia. Questa scelta equivalse a concedere carta bianca agli etiopici: già nel 1960 l'Eritrea era poco più di una provincia etiope e nel 1962 fu definitivamente annessa. Nel momento storico in cui l'Africa si apprestava a decolonizzare il suo territorio (nel 1960 nacquero 17 nuovi stati africani), vi fu anche una delle prime "colonizzazioni" africane.
Hamid Adris Awate, foto dal blog WRNZLA
Nel frattempo, nel luglio 1960 al Cairo, era nato il primo nucleo di resistenza eritreo chiamato Fronte di Liberazione Eritreo (FLE) ad opera di intellettuali e studenti in esilio. Nel settembre 1961, l'ala militare guidata da un ex-ascaro (i militari eritrei dell'esercito coloniale italiano) formatosi in Italia, Hamid Idris Awate, lanciò la guerriglia di indipendenza contro l'Etiopia. Awate, che oggi è ritenuto un eroe nazionale, morì nel 1962, ma la guerriglia continuò con alterne vicende fino al 1970, quando un'ala più radicale, guidata dall'attuale Presidente dell'Eritrea, Isaias Afewerki (che aveva studiato in Cina le tecniche di guerriglia rivoluzionaria), fece nascere il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo (FPLE) che sarà ufficialmente costituito nel 1973. Tale divisione creò anche dei conflitti interni ai due gruppi (guerra civile eritrea 1976-1981).
Nel 1974 in Etiopia il regime di Haile Salassie, dopo 44 anni, fu deposto dai militari. Gli eritrei, alle prese con una lotta interna, sperarono in un cambio deciso di linea, ma non fu così. Nel 1977, il potere fu assunto da Mengistu (l'uomo che fu poi ricordato per aver istituito il "terrore rosso") che entrando nell'orbita socialista destabilizò non poco le alleanze del FPLE che nel frattempo aveva avuto la meglio nella lotta interna. Infatti, grazie agli imponenti aiuti militari sovietici, l'Etiopia lanciò una massicca offensiva contro le basi eritree, che accusarono il colpo. Solo nel 1984 l'FPLE fu in grado di riorganizzarsi e rilanciare una seria controffensiva.
foto dal sito del Ministero dell'Informazione Eritreo
Alla fine degli anni '80, quando l'Unione Sovietica annunciò la fine della cooperazione militare con l'Etiopia, la guerriglia eritrea aveva già formalizzato una forte alleanza, stretta nel 1988, con gli etiopici del Movimento di Liberazione Popolo Tigrino (TPLF) con l'obiettivo di favorire la liberazione dell'Eritrea e la deposizione del regime di Mengistu.
Il 24 maggio 1991 il FPLE entrò vittorioso ad Asmara (ancora oggi per gli eritrei è la data ufficiale di indipendenza). Pochi giorni dopo fu festituito Mengistu. L'Eritrea era libera e così pure l'Etiopia.
Nell'aprile 1993 fu svolto un referendum sotto vigilanza delle Nazioni Unite che fu vinto dai fautori dell'indipendenza con il 99,78%. Il 24 maggio del 1993, l'Eritrea divenne ufficialmente il 53° paese indipendente dell'Africa.


La presidenza del paese fu accordata al leader del FPLE, Isaias Afewerki, che ancor oggi, senza aver più svolto le elezioni promesse, guida il paese. I rapporti tra Etiopia e Eritrea si sono deteriorari lentamente (del resto l'Eritrea ha tolto all'Etiopia qualsiasi sbocco al mare), fino al 1998, l'anno in cui è scoppiata la prima guerra tra di loro. Ancora oggi i rapporti sono tesi e scaramuccie, quanto non vere e proprie guerre, si ripetono periodicamente.

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mercoledì 23 maggio 2012

Popoli d'Africa: Turkana

I Turkana sono un popolo di origine nilotica che vive nel nord-est del Kenya, in una zona arida, nei pressi del Lago Turkana (un tempo chiamato Lago Rodolfo). Si ritiene che siano giunti in quest'area migrando dall'est dell'Uganda. Le ultime stime raccontano di circa 850 mila persone (circa il 2,5% della popolazione del Kenya), sebbene altre dicono 450 mila. Solo la loro indole fiera e forte gli ha permesso di continuare a vivere in questi luoghi alquanto inospitali.  Vivono a stretto contatto con altri gruppi etnici della zona, come i Pokot, i Rendile, i Samburu, i Karimojong e i Toposa. Parlano una lingua nilotica orientale chiamata turkana e sono animisti, sebbene negli ultimi anni hanno conosciuto una lenta convensione al cristianesimo.
Tradizionalmente sono pastori semi-nomadi, allevano principalmente cammelli, pecore, capre e asini. Inoltre allevano gli zebù, per cui sono anche chiamati il "popolo del bue grigio".
Capanna Turkana
Si alimentano essenzialmente di latte, carne e sangue frutto dei loro allevamenti (sebbene la carne di zebù sia mangiata solo in occasioni particolari) e di frutti selvatici raccolti dalle donne. Inoltre scambiano i loro prodotti con i loro vicini in cambio di mais e vegetali.
Pur vivendo vicino al lago Turkana, essi hanno sempre ritenuto la pesca un tabù e solo recentemente, anche grazie a dei progetti di sviluppo, hanno iniziato ad intraprendere, con molta diffidenza, tale attività.
Sono tradizionalmente poligami (usano il bestiame come scambio nuziale) mentre il numero delle collane intorno al collo, rappresentano un segno di ricchezza.
Costruiscono delle capanne a forma di botte, con rami spinosi intrecciati e con foglie di palma a formarne il tetto (recentemente sono stati inseriti anche altri materiali, come la plastica).
Sono inoltre conosciuti per la produzione di ceste ad intreccio.

I Turkana sono coinvolti nella lotta contro la minaccia di un lento prosciugamento del Lago Turkana. Infatti, poco più in là, in Etiopia, il governo stà costruendo una enorme diga (Gibe 3), alta 243 metri, sul fiume Omo. L'Omo è uno (il maggiore) dei tre immissari del lago (gli altri due sono il Turkwell e il Keria). Il Lago Turkana, che ha una superficie di 6500 chilometri quadrati, non ha emissari (è un bacino chiuso), bensì l'acqua esce per evaporazione.
La diga sull'Omo ridurrà notevolmente la portata di acqua con innegabili conseguenze sulla dinamica idrica del lago e ne altererà l' equilibrio salino. Secondo alcuni la scarsità d'acqua derivata dalla diga (che si sommerà alle peridiche siccità) renderà la vita dei Turkana e degli altri gruppi etnici del lago, più difficile, innescando anche conflitti per il controllo delle risorse idriche.

Ecco un link con un'ampia galleria di foto sui Turkana, o un'altro con altrettanto belle immagini.

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martedì 22 maggio 2012

Quando finisce un'emergenza

Profughi in RD del Congo
L'UNHCR (l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, per noi italiani) ha dichiarato la fine dell'emergenza rifugiati (e quindi della concessione di tale status) per i profughi dell'Angola, a datare dal 30 giugno 2012.
Naturalmente questa è una buona notizia, perchè ci dice che in un'area del nostro pianeta una situazione che era tragica è mutata, in senso positivo, in modo tale da eliminare le cause che hanno determinato la fuga di popolazioni inermi  (e il loro riconoscimento dello status di profughi) e da consentire oggi il loro rientro nella terra natia. Tutto bene? Certo, se non fosse, e questo deve far riflettere, che alcuni dei profughi angolani (oggi stimati intorno alle 130 mila unità, erano 460 mila nel 2002) sono fuori dal loro paese dalla guerra d'indipendenza (1961-1975)! Generazioni intere che non hanno mai visto il loro paese (ricordiamo che dal 1975 al 2002 si combattè in Angola una sanguinosa guerra civile) e che sono nate in Repubblica Democratica del Congo (78 mila rifugiati presenti), in Zambia ( 23 mila rifugiati), in Namibia (4300 rifugiati) o altri paesi delll'area.
La questione dei rifugiati (l'UNHCR assiste nel mondo - tra rifugiati, sfollati, senza stato e richiedenti asilo - oltre 33 milioni di individui, di cui un terzo in Africa) è un tema di grande importanza perchè dai numeri e dalle dinamiche dei movimenti, appare evidente che queste emergenze, che spasso si manifestano in pochissimo tempo, rischiano di mantenersi tali per decenni e decenni. Tanto per quantificare il budget per i programmi dell'UNHCR del 2012 è di 1,636 miliardi di dollari. Il 20 giugno si celebrerà la giornata del rifugiato, che come Sancara aveva scritto già lo scorso anno, è un momento per fare il punto sulle complesse situazioni che vi sono nel mondo, quelle nuove e quelle che si trascinano da anni. Quest'anno potrebbe essere l'anno in cui si può anche celebrare la fine di una lunga emergenza, quella angolana.
Dei 130 mila rifugiati angolani ancora sparsi nei paesi limitrofi, circa 40 mila hanno chiesto volontariamente di rientrare nel proprio paese e  negli ultimi mesi sono stati 3 mila i rientri. Questi numeri fanno pensare ad un necessario prolungamento dei tempi di rimpatrio. Naturalmente l'Alto Commissariato, oltre ad assistere i rifugiati in tutte le fasi del rientro (viaggio, cibo, trasporto dei beni personali) garantisce poi la fase di ritorno nei propri luoghi e il difficile reintegro. Non è facile (il programma dei rientri ha subito una brusca frenata ed è stato fermo per quasi 4 anni) per noi pensare cosa significa e cosa comporta il rientro in un luogo abbandonato decenni prima. Lasciato spesso in poche ore, costretti alla fuga da violenza e paura, portando dietro solo quello che poteva essere portato in una borsa. Un'intera vita, in poche cose. Rientrare non trovando più nulla e spesso non avendo nulla.

Vedi anche il post di Sancara sui 60 anni di vita dell'Alto Commissariato.

lunedì 21 maggio 2012

Film sull'Africa: Spiriti nelle tenebre

Spiriti nelle tenebre (il titolo originale è The Ghost and The Darkness) è un film del 1996 diretto da Stephen Hopkins e tratto dal romanzo di John Henry Patterson, The Man-Eaters of Tsavo and Other East African Adventures. Il film si ispira ad una storia vera, avvenuta a partire dal marzo 1898, quando l'autore del romanzo, l'ingegnere capo e militare Henry Patterson, incaricato dal 1896 dalle autorità coloniali britanniche di costruire un ponte ferroviario sul fiume Tsavo in Kenya, si trovò a combattere con due leoni molto aggressivi. Durante i lavori, due leoni, descritti nel libro come "due maschi privi di criniera", aggredirono ripetutamente gli operai incaricati della costruzione (nel libro si parla di 135 operai morti).
La storia è quella della lotta per abbattere questi felini, cosa che avvenne, dopo innumerevoli tentativi negli ultimi giorni del 1898. Le pelli dei leoni, conservate da Patterson, furono poi vendute al Field Museum di Chicago, dove ancora oggi sono custodite.
Il film racconta delle avventure di Hanry Patterson (interpretato da Val Kilmer) che tenta, con l'aiuto del cacciatore Charles Remington (interpretato da Michael Douglas, ed inventato per il film) di uccidere i due leoni (mangiatori d'uomini) che rallentano, con le loro incursioni, l'avanzata del cantiere per la costruzione del ponte sul fiume Tsavo. Il tentativo di cacciare i leoni è accompagnato da elementi di magia, peraltro presenti anche nel testo del romanzo. Alcuni degli operai Masai, coinvolti, assieme agli indiani, nella costruzione del ponte, iniziarono a credere che i leoni non fossero altro che spiriti incaricati di impedire la profanazione del territorio (da cui il titolo). La lotta si chiuderà con la morte del primo leone, ucciso dal cacciatore Remington (nel libro entrambi i leoni sono uccisi da Patterson) a sua volta divorato dal secondo leone. A Patterson resterà la soddisfazione di eliminare l'ultimo dei leoni e completare i lavori del ponte.



Il film, che per motivi fiscali fu girato in gran parte in Sudafrica (in particolare nel Songimvelo Game Reserve), con solo alcune scene girate nello Tsavo National Park del Kenya, appare sotto molti aspetti incompleto. Non riesce a trasmettere ne il clima di quel periodo storico, a parte qualche rappresentazione ben riuscita dello sforzo enorme che fu prodotto per la costruzione dei grandi tratti ferroviari africani (in questo caso si tratttava della ferrovia che da Mombasa andava verso il Lago Vittoria), ne tantomeno la complessità dei rapporti interetnici tra i soggetti coinvolti nella costruzione della ferrovia (in realtà molti dei "Masai" del film sono sudafricani). Il film diventa alla fine un omaggio alla suspance e al clima di tensione, tipico dei film dell'horror e di avventura. Sotto certi versi, un'occasione persa per raccontare un episodio simbolico di un particolare periodo storico.

Rispetto al libro, il film aggiunge il personaggi del cacciatore (in una pessima interpretazione di Douglas), toglie l'importante elemento dell'assenza della criniera nei leoni e aggiunge alcuni tratti romantici, inesistenti nel racconto.
Gli storici dissentono molto sul numero elevato degli uomini "mangiati" dai leoni. Si ritiene che il numero non abbia superato la trentina (non 130 come scritto da Patterson). Inoltre si ritiene che i leoni siano - inusualmente - diventati affamati di carne umana, in parte per l'epidemia di peste che coinvolse i bovini negli anni 1890 (che ridusse quindi le prede disponibili, soprattutto zebu' e bufali).


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Un pezzo d'Africa sul tetto d'Europa

dal sito di The Sun
C'è un pezzo d'Africa sul tetto d'Europa.
Un africano, l'ivoriano Didier Drogba, ha sollevato la Coppa di Champions League sabato scorso. Drogba è stato il protagonista indiscusso della finale della più prestigiosa coppa europea per clubs, vinta dalla sua squadra il Chelsea di Londra contro il Bayer di Monaco, che tra l'altro, aveva il vantaggio di giocare in casa.
Drogba ha prima segnato, con uno splendido colpo di testa, il gol del pareggio a due minuti dalla fine dei tempi regolamentari, spegnendo i sogni di gloria dei tedeschi. Ha poi causato, con un ingenuo fallo da dietro, il rigore che poteva segnare la fine delle ambizioni del Chelsea (Blues per i tifosi) e che invece veniva parato, anche perchè mal tirato, dal portiere. Infine, con grande freddezza, ha segnato il rigore decisivo, l'ultimo,  che ha consegnato per la prima volta nella storia, la prestigiosa coppa alla squadra londinese.
La Champions  League, così chiamata dal 1992, e' nata nel 1955 come Coppa dei Campioni.


Diedier Drogba è nato in Costa d'Avorio nel 1978 (oggi ha 34 anni), e già all'età di 5 anni si è trasferito in Francia vivendo con uno zio. Tre anni dopo ha fatto ritorno nel suo paese dove inizia a giocare a calcio in un parcheggio. Poco dopo ritorna a vivere in Francia dallo zio e nel 1991 è raggiunto anche dalla sua famiglia. Dopo aver giocato nel Levallais (1996-1997) e nelle file del Le Mans, firma il suo primo contratto da professionista con il le Mans (dove resta fino al 2002). Dopo un anno al Guingamp e uno all'Olmpic di Marsiglia, nel 2004 viene acquistato dal Chelsea.
Nel 2008 è stato protagonista negativa della finale giocata dal Chelsea con il Manchester United, che vinse, facendosi espellere durante i tempi supplementari.
Nel 2006 e nel 2010 è stato giudicato il miglior calciatore africano (riferito all'anno precedente).
Drogba, attaccante di forza (è alto 1,90, ha un fisco possente ed è un combattente nato) è anche titolare della Nazionale della Costa d'Avorio dal 2002, con cui per ben due volte è arrivato secondo in Coppa d'Africa (2006 e 2012), partecipando anche al mondiale del 2006 e del 2010.


Ecco il suo sito ufficiale

ato dal Chelsea.

giovedì 17 maggio 2012

L'Africa ai Giochi Olimpici - seconda parte

Sammy Wanjiru alle olimpiadi di Pechino (BBC)
Nel primo dei post di Sancara che approfondiranno - in vista delle prossime Olimpiadi - il ruolo dell'Africa ai Giochi Olimpici si è parlato delle partecipazioni dei singoli paesi e delle medaglie complessive conquistate nel corso della storia olimpica.
L'Africa è stata presente, almeno con un atleta di un suo paese, in tutte le 32 discipline olimpiche in programma quest'anno a Londra. L'atletica leggera è l'unica disciplina in cui tutti i paesi africani hanno portato almeno un atleta ai giochi, ed è anche la "regina delle medaglie" con 189 medaglie vinte (63 di oro). E' da notare che il Kenya, con 68 medaglie vinte (di cui 22 di oro) occupa il 9° posto nel medagliere olimpico dell'atletica (l'Italia con 59 medeglie, è 12°), mentre l'Etiopia con 38 medaglie è 18°.
Il pugilato è il secondo sport per partecipazione per Africa, con 42 paesi che hanno partecipato almeno con un atleta e 58 medaglie vinte (8 di oro). Al terzo posto il nuoto, con 38 paesi presenti alle olimpiadi e 20 medaglie vinte (di cui 7 di oro).
Seguono poi, in termini di numero di paesi che hanno partecipato, il judo (33), il ciclismo (21), il sollevamento pesi (18), il teakwondo (16), il tennis tavolo (15), il calcio (13), la vela (12), il tiro a segno e volo (11) e il tennis (10).
Tra le discipline dove l'Africa ha più difficoltà a portare atleti alle olimpiadi vi è il trampolino elastico, dove solo l'Algeria ha mandato in gara un atleta (Ali Bourai che ha partecipato nel 2000 a Sydney, giungendo 10°), l'equitazione, dove solo l' Egitto (tra cui Gamel el din Haress e Mahmed Selim Zaki che hanno partecipato alle Olimpiadi del 1952, 1956 e 1960)  e il Sudafrica (con 3 atleti, di cui una donna, nel 1992), il beach volley  dove solo l'Angola e il Sudafrica hanno partecipato, il nuoto sincronizzato e la pallanuoto a cui hanno partecipato solo Egitto e Sudafrica.

Per quanto riguarda le medaglie, oltre all'atletica, il pugilato e il  nuoto, l'Africa ha vinto anche 10 medaglie (5 di oro) nel sollevamento pesi, 8 medaglie (1 di oro) nel ciclismo, 6 medaglie nel tennis ( 3 di oro), 5 nella lotta (2 di oro), 4 nel calcio (2 di oro) e nel judo (nessuna di oro), e una medaglia nell'hockey, nel teakwondo, nel tiro a segno, nella canoa e nel canottaggio (solo quella dell'hockey di oro).

Il sudafricano Reggie Walker
La prima medaglia per l'Africa fu vinta il 22 luglio del 1908 a Londra da Reginald "Reggie" Edgar Walker, che gareggiando per il Sudafrica vinse, senza esserne il favorito, i 100 metri piani in 10"8. Naturalmente si trattava di un giovane bianco nato nel Natal (ancora oggi è il più giovane atleta, poco più di 19 anni, ad aver vinto i 100 metri olimpici). Due giorni dopo, Charles Hefferson, sempre per il Sudafrica, vinse l'argento nella maratona olimpica.
Bisognerà aspettare però il 1928 quando ad Amsterdam ben tre atleti egiziani, in tre differenti discipline sportive, conquistino la prima medaglia del continente non vinta dai coloni o dai loro figli. Nosseir El Sayed (ecco un sito dedicato a lui) conquistò il primo oro nel sollevamento pesi categoria massimi-leggeri, mentre pochi giorni dopo fu Ibrahim Moustafa a vincere l'oro nella lotta greco-romana, categoria media-leggeri.
Singolare fu invece la vicenda del tuffatore Farid Simaika, che fu premiato come vincitore olimpico della piattaforma di 10 metri, tre giorni dopo fu retrocesso, per un errore dei giudici, al secondo gradino del podio. Conquistò anche il bronzo dal trampolino di 3 metri. Nel 1942 divenne cittadino americano e mori nel 1944 in Nuova Guinea abbattutto con il suo aereo durante la guerra. E' inserito, come americano, nella International Swimming Hall of Fame.
Il pugile del Ghana, Quartey Clement (da Wikipedia)
Bisognerà aspettare invece il 1960, quando a Roma l'Africa Sub-Sahariana conquistò la sua prima medaglia d'oro nella maratona con un mito dell'atletica, l'Etiope Abebe Bikila. In realtà la prima medaglia dell'Africa Sub Sahariana fu vinta dal pugile del Ghana Quartey Clement, che nella categoria dei super-leggeri seppe conquistare la medaglia d'argento, sconfitto con un netto 5 a 0 dal ceco Bohumil Nemecek.

Pur partecipando a tutti gli sport di squadra, l'Africa ha vinto solo in due di essi. Nel calcio, dove prima la Nigeria (Atlanta 1996) e poi il Camerun (Sydney 2000) hanno vinto la medaglia d'oro. Già prima, l'Africa era salita sul gradino più basso del podio, nel 1992 a Barcellona con il Ghana, mentre la stessa Nigeria a Pechino nel 2008 conquistò la medaglia d'argento.
E infine, nel 1980 lo Zimbabwe vinse il torneo di hockey su prato, con la squadra femminile, ma delle olimpiadi africane al femminile, si parlerà nel prossimo post.

Vai al post di Sancara - Africa ai Giochi Olimpici - prima parte

martedì 15 maggio 2012

Il rito di iniziazione Kankurang

Foto dal sito UNESCO
Il Kankurang è una danza mascherata rituale che si pratica anora oggi tra i Mandinka del Gambia e del Senegal (Casamance), generalamente tra il mese di agosto e di settembre. Normalmente è praticato durante il rito della circoncisione dei giovani maschi che segna l'ingresso nell'età adulta. Oggi viene praticato anche durante cerimonie di matrimonio o a Natale perdendo molto della sua originalità. Si ritiene che l'origine della danza mascherata sia da ricercare nella società segreta di cacciatori mandinka, chiamata Komo, risalente al XII secolo e che aveva lo scopo di propiziare gli spiriti e favorire una buona caccia.
In realtà più che parlare di un tipo di danza rituale, bisognerebbe parlare di diversi tipi di Kankurang (che di fatto simboleggia uno spirito protettivo), che si differenziano sia per la tipologia di "spiriti" a cui si rivolgono, sia per la differenza degli abiti e delle maschere.
Le maschere e i vestiti sono tutti ricavati da foglie, cortecce e fibre vegetali colorate con terre e colori naturali. L'effetto è di grande scenografia, i costumi colorati e le maschere sono accompagnate da musiche di tamburi e strumenti della straordinaria tradizione mandinga.

Nel 2008 (in realtà dal 2005) la danza rituale è stata inserita dall'UNESCO all'interno della lista dei Patrimoni Immateriali dell'Umanità per la sua straordinaria unicità e al fine di tutelarne la conservazione.




L'intervento dell'UNESCO è finalizzato a preservare l'ambiente dove si pratica il Kankurang (in particolare la classificazione, la protezione e il reimpianto delle specie vegetali nella foresta sacra, indipensabili per il rituale), a favorire lo studio, la ricerca e la documentazione sui riti e a formare le nuove generazioni favorendo così la permanenza di una secolare tradizione.


Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa

venerdì 11 maggio 2012

Parco Nazionale di Waza

Foto da Wikipedia
Il Parco Nazionale Waza, nell'estremo nord del Camerun (praticamente nella sottile striscia di terra posta tra la Nigeria e il Ciad), fu creato nel 1934 come riserva di caccia. Si estende su di una superficie di 1.700 km quadrati (170.000 ettari) e dal 1968 è diventato Parco Nazionale. 
Dal 1979 il Parco è divenuto una Riserva della Biosfera. Il Parco è gestito direttamente dallo Stato, attraverso un servizio facente capo al Ministero dell'Ambiente e della Conservazione della Natura del Camerun. Con un altitudine media di 300 metri, il Parco si pone in una zona di confine tra il Sahel e la savana, divenendo un habibat di grande valore per la biodiversità. Nel Parco vivono ancora leoni - sebbene la popolazione stia diminuendo in modo drammatico anche a causa del commercio illegale delle pelli (le ultime stime parlano di una ventina di esemplari) ed elefanti. Naturalmente è possibile vedere altri mammiferi (antilopi e giraffe in particolare) e un numero vicino alle 400 specie di uccelli. Il Parco è aperto dal 15 novembre al 15 giugno, all'interno non vi sono strutture (se non alcuni piccoli villaggi) ed è possibile alloggiare nei dintorni.
Un tempo il parco era un ottimo esempio di buona gestione, che prevedeva anche un buon coinvolgimento delle popolazioni locali. Per dare il metro della situazione all'inizio degli anni '80 vi lavoravano 25 guardia-parchi, che nel 2005 erano diventati 7. Recentemente - grazie alla cooperazione della sezione olandese dell'IUCN - l'Organizzazione Mondiale che si occupa della conservazione della natura - la situazione sembra in netto miglioramento.
Giraffa a Waza (dalla rete)
Inoltre il Parco - le cui acque fanno parte del grande bacino del Ciad - ha risentito negativamente della costruzione della Diga Maga, che ha ridotto notevolmente l'apporto idrico, generando una lenta distruzione delle piante acquatiche e di conseguenza la diminuzione degli animali, in particolare delle antilopi. Recentemente, nel 2002, è stato varato un progetto di reinondazione del bacino idrico presente nel parco al fine di ripristinare quanto più possibile l'habitat naturale. E' chiaro che tutta l'area risente dalla grave "patologia" derivante dell'inesorabile prosciugamento del Lago Ciad.

Ecco la scheda di Birdlife, sugli uccelli del Parco di Waza.
Vi segnalo anche questo interessante articolo del 2009 sul rischio di estinzione dei Leoni dal Parco di Waza, frutto di un'accurato monitoraggio.

Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa

giovedì 10 maggio 2012

10 maggio 1994, Nelson Mandela è Presidente del Sudafrica

Tra il 25 e il 27 aprile 1994 si tennero in Sudafrica le prime elezioni multirazziali della sua storia. Dopo 350 anni di dominio dei bianchi sui neri, dopo quasi 50 anni di segregazione razziale e di violenze contro la maggioranza nera (nel 1994 in Sudafrica vi erano circa 30 milioni di neri e 5 milioni di bianchi) il partito che aveva guidato la lotta contro l'apartheid, l'African National Congress (ANC), guidato da Nelson Mandela si apprestava a stravincere le elezioni ed a governare il paese.
Nelson Mandela - storico leader - era stato liberato, dopo quasi 27 anni di prigionia, l'11 febbraio 1990 a seguito degli accordi che portarono alla fine del regime dell'apartheid. 
Furono quasi 20 milioni i Sudafricani che si recarono al voto, la stragrande maggioranza di loro per la prima volta.
Con il 62,6% dei consensi (252 su 400 seggi all'Assemblea Nazionale e 60 su 90 seggi al Senato) l'ANC conquista la maggioranza assoluta dei seggi e può finalmente governare il paese. Il Partito "dei bianchi", il National Party guidato da Frederik de Klerk (che assieme a Nelson Mandela vinse il Premio Nobel per la Pace nel 1993 per i negoziati che portarono agli accordi di pace e alla fine dell'apartheid) ottenne 82 seggi su 400 (con poco più del 20% dei voti), Infine, l'Inkhata Freedom Party, il partito dell'etnia Zulu, ottenne 43 su 400 seggi e il 10,5% dei voti.

Il 10 maggio 1994 il Parlamento votò la nomina di Nelson Mandela a Presidente del Sudafrica.  
A 76 anni, dopo aver passato quasi 27 anni in carcere, Mandela da straordinario leader qual'era (ed è) si fece carico della difficile - e per certi versi ancora in corso - transizione del Sudafrica. Il suo primo atto fu quello di chiamare alla vice-presidenza il leader del "partito dei bianchi" (National Party), quel Frederick de Klerk che con lui aveva condiviso la fine dell'apartheid e di dichiarare con grande enfasi che il Sudafrica era la nazione dei neri, dei bianchi, degli indiani e dei "coloured". Un segnale che mise a freno tutte le aspettative di rivincita, quando non di vendetta. Nel corso del sua mandato seppe mantenere unito il paese, creare i presupposti per una crescita straordinaria ed essere un leader africano di grande prestigio e autorevolezza.
E come i grandi che si rispettano, Mandela alla fine del mandato nel 1999, non si ricandidò.
Mandela si sposò, per la terza volta, nel corso del suo mandato presidenziale. Lo fece il giorno del suo ottantesimo compleanno, il 18 aprile 1998, sposando Graca Simbine Machel. La Machel, ex Ministro e poi moglie del primo presidente del Mozambico, Samora Machel, morto nel 1986 in un incidente aereo (le cui responsabilità sono sempre ricadute sul governo segregazionista del Sudafrica) divenne così la prima, e unica, donna al mondo ad essere stata la First Lady di due paesi: il Mozambico e il Sudafrica.


Ecco il discorso di Mandela del 9 maggio 1994 che inaugurava il nuovo Parlamento.


Vai alla pagina di Sancara sulle Date Storiche per l'Africa

martedì 8 maggio 2012

L'Africa ai Giochi Olimpici - prima parte

I Giochi della XXX° Olimpiade sono oramai alle porte. A Londra, città designata, per la terza volta nella storia dei giochi, ad ospitare il più importante evento sportivo planetario, tutto e' pronto sotto i riflettori, attenti e giudicanti, del mondo intero. Il 27 luglio con la cerimonia d'apertura - che secondo i dettami del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) sarà più sobria - e meno costosa - delle passate edizioni, si apriranno ufficialmente i 30° giochi dell'era moderna (in realtà tre edizioni, la sesta, la dodicesima e la tredicesima, non si sono mai disputate a causa delle due guerre mondiali). A dire il vero, il torneo di calcio olimpico comincerà già il 25 luglio, anticipando nei fatti l'apertura ufficiale dei giochi. Fino al 12 agosto, oltre 200 tra nazioni e territori, si sfideranno nelle 32 discipline olimpiche. Poco dopo, il 29 agosto, e fino al 9 settembre, si terranno anche i XIV° Giochi Paralimpici.
Sancara, che seguirà i giochi in "chiave africana", preparerà alcuni post di avvicinamento alle Olimpiadi, cercando di raccontare la storia dell'Africa alle Olimpiadi. Africa che, a dispetto dell'universalità dei giochi, non ne ha ancora ospitato un'edizione (nel 2016 i Giochi saranno ospitati per la prima volta nel continente Sud Americano, a Rio de Jainero). 

Abebe Bikila alle Olimpiadi di Roma
L'Africa paga lo scotto di essere un continente giovane, per cui, ad eccezione di alcune nazioni, la partecipazione  ai Giochi Olimpici avviene a partire dagli anni '60.
Il paese africano che ha partecipato a più giochi è l'Egitto, presente 20 volte a partire dal 1912, seguito dal Sudafrica che ha partecipato 17 volte, la prima nel 1904 (sebbene fino al 1960 partecipavano solo atleti bianchi, mentre dal 1964 al 1988 il Sudafrica fu escluso dai giochi per la sua politica di apartheid), al terzo posto, e prima Nazione sub-sahariana è la Nigeria, che ha partecipato 14 volte, la prima nel 1952. Dietro di loro l'Uganda con 13 presenze, la prima delle quali nel 1956. Seguono poi sei nazioni con 12 partecipazioni (Ghana, Kenya, Marocco, Tunisia, Senegal e Camerun).
Per avere un metro di paragone l'Italia ha partecipato a 25 edizioni a partire dal 1896, assente solo all'edizione del 1904.
L'ultimo paese africano ad essere entrato nel club olimpico è l'Eritrea i cui atleti hanno partecipato alla prima Olimpiade nel 2000 a Sydney.
Dei 54 stati africani solo il neonato Sud Sudan, per ovvie ragioni, non ha ancora partecipato a nessuna olimpiade.

L'Africa fu protagonista anche del primo importante boicottaggio olimpico della storia. Vi era stato un timido tentativo durante i Giochi Olimpici di Berlino del 1936, quelli sotto la bandiera nazista, naufragato però nel segno della real politik. Nel 1976, pochi mesi prima delle Olimpiadi di Montreal, i paesi africani protestarono contro la Nuova Zelanda, rea di aver partecipato con la nazionale di rugby, i mitici all blacks, ad una tournè in terra Sudafricana. Il Sudafrica era stata, dal 1964, esclusa dal movimento olimpico e da tutte le competizioni internazionali per le sue politiche di apartheid. I Paesi africani chiesero l'esclusione dai Giochi della Nuova Zelanda, cosa che non avvenne. Così tutte le nazioni africane, ad eccezione della Costa d'Avorio, Tunisia e Senegal non si presentarono ai giochi. In realtà, Egitto, Camerun e Marocco sfilarono nella cerimonia di apertura e si ritirarono il giorno dopo, mentre lo Zaire sostenne di non aver gareggiato per motivi economici e non politici. Anche Iraq e Guyana aderirono al boicottaggio africano.
Alle Olimpiadi succesive, quelle di Mosca 1980, vi fu il boicottaggio chiamato dagli Stati Uniti, contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan, avvenuta nel dicembre 1979. Molti paesi africani aderirono al boicottaggio americano. Non parteciparono infatti l'Alto Volta (divenuto poi Burkina Faso), il Ciad, il Centrafrica, la Costa d'Avorio, l'Egitto, il Gabon, il Ghana, il Kenya, il Marocco, il Malawi, il Niger, il Togo, la Tunisia, la Somalia, lo Swaziland, il Sudan e lo Zaire (che comunque addusse motivi economici).
Nel 1984 le Olimpiadi si svolsero per a Los Angeles e l'Unione Sovietica, adducendo motivi di sicurezza, chiese ai suoi alleati di boicottare i giochi. Alcuni paesi africani risposero all'appello, così Etiopia, Angola e Burkina Faso non parteciparono ai giochil, mentre la Libia non partecipando addusse altri motivi politici. Del blocco sovietico parteciparano invece la Romania e la Cina.
La stagione dei grandi boicottaggi si chiuse grazie all'opera distensiva che culminò nell'Organizzazione dei Goodwill Games che si svolsero a Mosca nel 1986 a cui parteciparono oltre alle due superpotenze anche altre 77 nazioni, tra cui alcune africane. Si era oramai capito che il boicottaggio sportivo non spostava di una virgola le situazioni: l'apartheid durò poi in Sudafrica fino al 1990, mentre l'Unione Sovietica restò in Afghanistan per molti anni ancora.

L'etiope Tirunesh Dibada, due ori a Pechino
Sebbene l'atletica leggera (sport con il maggior numero di partecipanti assoluti alle olimpiadi, oltre 19.000 mila) sia lo sport in cui l'Africa è stata più rappresentata alle Olimpiadi (seguita dal pugilato), i paesi africani hanno partecipato a tutte le discipline sportive dell'attuale programma olimpico. Per quanto riguarda l'Africa Sub-Sahariana vi è da notare che il trampolino elastico è l'unica disciplina in cui non è stato mai iscritto un atleta africano (del resto sono solo 22 i paesi del mondo che hanno schierato almeno un atleta nel trampolino).

Il Kenya, con 75 medaglie conquistate (di cui 22 di oro), guida la classifica delle medaglie conquistate dall'Africa (più o meno al 30° posto tra le nazioni del mondo), seguito dal Sudafrica con 70 (20 di oro), dall'Etiopia con 38 (18 di oro), dall'Egitto con 24 e dalla Nigeria con 23.
Un medagliere abbastanza scarno - l'Africa complessivamente ha conquistato 313 medaglie (di cui 91 di oro), mentre la sola Italia, sempre per fare un paragone, ne ha conquistate 522 di cui 191 di oro. Però se guardiamo ai dati dell'ultima Olimpiade, quella di Pechino 2008, scopriamo che il Kenya è la 13° potenza sportiva mondiale con 14 medaglie, di cui 6 di oro, mentre l'Etiopia è in 18° posizione con 7 medaglie, di cui 4 di oro. L'Italia, 9° nel mondo a Pechino, ha ottenuto 27 medaglie di cui 8 di oro.

lunedì 7 maggio 2012

Libri: L'Africa del tesoro

L'Africa del tesoro è un libro, scritto dal giornalista Raffaele Masto e pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006. Il sottotitolo - Diamanti, oro, petrolio: il saccheggio del continente - delinea molto chiaramente qual'è il tema che Masto, con competenza e puntualità, affronta in questo testo. Si tratta di un viaggio in quella che lo stesso autore definisce "una maledizione del continente", ovvero una ricchezza, talora sfacciata del sottosuolo e non solo, (si parla anche di coltan, gomma, avorio e legno pregiato) che attira gli interessi di molti e che scatena guerre e conflitti, lasciando sul campo fame e miseria. Masto guida il lettore nei paesi dove maggiormente questi contrasti - tra ricchezza e devastazione - sono evidenti: il Sudan del petrolio e dell'oro, la Repubblica Democratica del Congo dei minerali, l'Angola dei diamanti, passando anche per il Ciad e l'Uganda. Un viaggio che diventa lentamente un pugno, forte, allo stomaco, e che fa capire come una ricchezza straordinaria può diventare una disgrazia dalle proporzioni immense. Quella di Masto però è anche una dura accusa al sistema delle convenzioni, dei bandi, delle missioni umanitarie e della politica internazionale che sul campo valgono o contano quasi nulla.
I reportages di Masto sono di quelli che si leggono di un sol fiato, quasi senza respirare. Caratterizzati, come il giornalismo di altri tempi, dall'esperienza diretta, dal racconto sulle persone e sulla loro sfera emotiva, condita di una grande conoscenza dei temi e di una preparazione che pochi oggi, quando scrivono, hanno. Un libro chè è un racconto, un reportage ed un'inchiesta.
Ma nella tristezza della rovina e delle devastazioni, emerge con chiarazza la forza degli uomini e delle donne d'Africa, che quotidianamente lottano, con una forza senza eguali, nel tentativo di mantenere integra la loro cultura e la loro identità. Un omaggio quindi ad un popolo - in generale quello africano - che non si è arreso e forse mai si arrenderà.

Raffaele Masto, nato nel 1953, giornalista di Radio Popolare, ha collaborato con importanti testate giornalistiche, italiane e estere, come inviato all'estero. Viaggiatore, conosce l'Africa come pochi. Oltre a scrivere reportarges soprattutto sull'Africa, ha girato documentari in vari paesi del mondo.
Ha anche, da poco, un Blog che si chiama Buongiorno Africa (come il suo ultimo libro del 2011).

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