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La mattina di quel 7 agosto 1998 è ricordata da molti. Alle ore 10.45, quasi simultaneamente, due autobombe esplosero nelle ambasciate statunitensi a Dar El Salam e Nairobi. In particolare a Nairobi l'esplosione fu molto forte e fu udita distintamente a decine di chilometri di distanza. I morti furono 213 e i feriti 4000. A Dar el Salam, dove l'esplosione fu "più leggera", i morti accertati furono 11 e i feriti 85. L'obiettivo erano le ambasciate americane nella giornata e nell'ora che ricordavano l'arrivo (ottavo anniversario) delle truppe statunitensi in Arabia Saudita durante la prima guerra del Golfo (7 agosto 1990).
Dei complessivi 224 morti, le vittime statunitensi furono 12, di cui due agenti della CIA.
L'attentato, rivendicato e subito attribuito alla rete terroristica Al-Qaeda di Bin Laden, è ancora oggi considerato dagli americani il peggior attacco contro gli interessi degli Stati Uniti, dopo l'11 settembre. Secondo alcuni gli attentati segnarono il passaggio del gruppo terroristico di Bin Laden ad una nuova forma di lotta che colpiva direttamente gli americani e che culminerà nell'attentato alle Torri dell'11 settembre. Naturalmente la scelta di Nairobi ha anche delle diverse implicazioni, è infatti da quella città, fedele agli americani, che gli Stati Uniti (e non solo) hanno gestito molte delle crisi africane (Somalia, genocidio del Ruanda, questione Sudan-Sud Sudan) e sotto molti aspetti perfino molte questioni strategiche e segrete che riguardavano il Medio-Oriente e l'antiterrorismo. In realtà se l'obiettivo degli attentatori era la politica estera americana, a morire furono esclusivamente innocenti africani.
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La risposta americana non si fece attendere. Il 20 agosto l'amministrazione Clinton lanciò alcuni missili da crociera Cruise diretti verso una base di addestramento in Afghanistan (con lo scopo dichiarato di uccidere Bin Laden) e verso la fabbrica di farmaci Al Shifa alla periferia di Khartoum in Sudan (da dove Bin Laden era stato "espulso" solo 2 anni prima). La distruzione della grande industria farmaceutica sudanese (costruita nel 1992 anche con materiali americani e che produceva il 50% del fabbisogno farmaceutico sudanese) fu dettata dal sospetto - mai verificato - che si producessero anche armi chimiche. In realtà questa scelta- molto criticata da ogni parte del mondo - fu solo una prova di forza che l'amministrazione Clinton volle intraprendere. Le Nazioni Unite, come spesso è accaduto, non ebbero alcun ruolo, se non una risoluzione di condanna per le bombe alle ambasciate (1189), ma nulla fu detto sulla distruzione della fabbrica di medicinali, che aggravò la già precaria situazione sanitaria del Sudan.
Gli Stati Uniti inserirono un ventina di persone nella lista dei sospetti (alcune furono subito imprigionate). Nel 2001 una sentenza condannò al carcere a vita alcuni dei colpevoli.Altri sono ancora oggi ricercati (come l'egiziano Saif al Adel), mentre molti sono morti.
Nel suo libro Guerra alla verità (Fazi, 2002), l'analista politico di origine bangladese, Nefeez Mosaddeq Ahmed, racconta di come nonostante alti funzionari americani segnalavano l'ambasciata di Nairobi come un edificio insicuro e a rischio e ne chiedessero l'aumento della sicurezza fin dal 1996, furono totalmente ignorati dal Dipartimento di Stato americano.
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