Foto Corriere.it |
I minatori della miniera di platino di Marikana - oltre 3000 - erano in sciopero, da oltre una settimana, per una rivendicazione salariale e contro l'annunciato taglio della manodopera. Le trattative tra i sindacati (due e in netto contrasto tra di loro) e la multinazionale inglese Lomlin (leader nel settore dell'estrazione del platino) erano in corso, senza risultati e progressi significati. Oggi i minatori guadagnano l'equivalente di 400 euro al mese.
La dinamica esatta della strage sarà appurata dall'inevitabile inchiesta, sebbene ai fini delle vittime e della questione generale, interessa poco.
Vi sono degli elementi che devono far riflettere, su questa questione. La prima attiene al commento che molti giornalisti hanno fatto ovvero che era dai tempi dell'apartheid che non si vedevano simili atti di repressione. Ovvero dal 21 marzo 1960 a Sheperville o dal 16 giugno 1976 a Soweto, quando la polizia sudafricana fece un'azione paragonabile a quella di ieri (a dire il vero molto peggiore). Con una grande differenza: allora a protestare erano i neri e a sparare i bianchi, oggi a protestare sono stati i neri ed a sparare quasi tutti neri.
Se è vero che la storia si ripete, a volte i protagonisti non sono gli stessi.
E' giusto analizzare questo episodio alla luce di un incompleto (e molto difficile) processo di trasformazione, democratico e multirazziale, della società sudafricana. Una situazione che ancora vede la popolazione nera marginalizzata e isolata nei suoi ghetti (sebbene con eccezioni sempre più numerose). A questo proposito vi segnalo il post Il tramonto di un sogno dal blog Buongiorno Africa.
Però vale la pena soffermarsi su di un principio molto più vasto.
Quello per cui protestavano i minatori sudafricani è del tutto simile alle rivendicazioni dei lavoratori di mezzo mondo. Richiesta di aumento del salario, migliori condizioni del lavoro e la paura (annunciata) di perdere anche quel poco che guadagnano.
Perdere quel lavoro significa fare quel salto - mai attuale anche dalle nostre parti - tra una vita dignitosa di stenti e la povertà.
La risposta del datore di lavoro è analoga lì come altrove. La crisi. La crisi mondiale che investe soprattutto la classe media, riduce i consumi (stando alla tesi delle multinazionali) quindi bisogna ridurre i costi della produzione (spesso non la quantità della stessa).
Naturalmente i lavoratori - in Sudafrica come da noi - sottolineano come la forbice tra i ricchi e i poveri aumenti in modo vistoso. I manager delle nostre aziende che riducono la manodopera, così come quelli delle multinazionali dell'estrazione sudafricane, continuano a guadagnare, molto e sempre di più in relazione ai lavoratori. Mentre i lavoratori faticano a vivere.
La risposta della polizia (e quindi dei governi) è quella di reprimere le proteste dei lavoratori. I governi oramai sono retti, quasi ovunque dalla grande economia (quando non ne sono espressione diretta) capace di farli rimanere in sella o di farli saltare in qualsiasi momento. In luoghi ove la vita vale davvero poco, il passaggio tra le manganellate e i proiettili è purtroppo sottile.
Così come è lieve il salto dalla protesta ferma, ma democratica e pacifica, e l'escalation della violenza (in Sudafrica nei giorni scorsi erano stati uccisi dai protestanti due vigilantes), soprattutto quando non si ha nulla da perdere (nel senso letterale, perchè nulla si ha).
Vale la pena sottolineare che per quanto sembri assurdo a molti, la situazione dei minatori sudafricani non è dissimile da molti lavoratori del nostro continente. Vi sono regolari contratti di lavoro (certo ancora lontani dai nostri standards) e dei sindacati forti e con una lunga tradizione. Nella maggior parte delle miniere estrattive dell'Africa (per fare un esempio nella Repubblica Democratica del Congo, ma anche in Niger o in Zambia) i lavoratori entrano e escono senza che nessuno sappia neppure il loro nome.
In questo senso l'episodio del Sudafrica deve essere un monito per tutti.
La dinamica esatta della strage sarà appurata dall'inevitabile inchiesta, sebbene ai fini delle vittime e della questione generale, interessa poco.
Vi sono degli elementi che devono far riflettere, su questa questione. La prima attiene al commento che molti giornalisti hanno fatto ovvero che era dai tempi dell'apartheid che non si vedevano simili atti di repressione. Ovvero dal 21 marzo 1960 a Sheperville o dal 16 giugno 1976 a Soweto, quando la polizia sudafricana fece un'azione paragonabile a quella di ieri (a dire il vero molto peggiore). Con una grande differenza: allora a protestare erano i neri e a sparare i bianchi, oggi a protestare sono stati i neri ed a sparare quasi tutti neri.
Se è vero che la storia si ripete, a volte i protagonisti non sono gli stessi.
E' giusto analizzare questo episodio alla luce di un incompleto (e molto difficile) processo di trasformazione, democratico e multirazziale, della società sudafricana. Una situazione che ancora vede la popolazione nera marginalizzata e isolata nei suoi ghetti (sebbene con eccezioni sempre più numerose). A questo proposito vi segnalo il post Il tramonto di un sogno dal blog Buongiorno Africa.
Però vale la pena soffermarsi su di un principio molto più vasto.
Quello per cui protestavano i minatori sudafricani è del tutto simile alle rivendicazioni dei lavoratori di mezzo mondo. Richiesta di aumento del salario, migliori condizioni del lavoro e la paura (annunciata) di perdere anche quel poco che guadagnano.
Perdere quel lavoro significa fare quel salto - mai attuale anche dalle nostre parti - tra una vita dignitosa di stenti e la povertà.
La risposta del datore di lavoro è analoga lì come altrove. La crisi. La crisi mondiale che investe soprattutto la classe media, riduce i consumi (stando alla tesi delle multinazionali) quindi bisogna ridurre i costi della produzione (spesso non la quantità della stessa).
Naturalmente i lavoratori - in Sudafrica come da noi - sottolineano come la forbice tra i ricchi e i poveri aumenti in modo vistoso. I manager delle nostre aziende che riducono la manodopera, così come quelli delle multinazionali dell'estrazione sudafricane, continuano a guadagnare, molto e sempre di più in relazione ai lavoratori. Mentre i lavoratori faticano a vivere.
La risposta della polizia (e quindi dei governi) è quella di reprimere le proteste dei lavoratori. I governi oramai sono retti, quasi ovunque dalla grande economia (quando non ne sono espressione diretta) capace di farli rimanere in sella o di farli saltare in qualsiasi momento. In luoghi ove la vita vale davvero poco, il passaggio tra le manganellate e i proiettili è purtroppo sottile.
Così come è lieve il salto dalla protesta ferma, ma democratica e pacifica, e l'escalation della violenza (in Sudafrica nei giorni scorsi erano stati uccisi dai protestanti due vigilantes), soprattutto quando non si ha nulla da perdere (nel senso letterale, perchè nulla si ha).
Vale la pena sottolineare che per quanto sembri assurdo a molti, la situazione dei minatori sudafricani non è dissimile da molti lavoratori del nostro continente. Vi sono regolari contratti di lavoro (certo ancora lontani dai nostri standards) e dei sindacati forti e con una lunga tradizione. Nella maggior parte delle miniere estrattive dell'Africa (per fare un esempio nella Repubblica Democratica del Congo, ma anche in Niger o in Zambia) i lavoratori entrano e escono senza che nessuno sappia neppure il loro nome.
In questo senso l'episodio del Sudafrica deve essere un monito per tutti.
3 commenti:
Posto, affichè sia patrimonio di tutti, quanto via Facebook mi ha inviato Raffaele Masto in merito a questo post.
Trovo molto lucida questa analisi. In Sudafrica si scontrano le logiche che ormai in tutto il mondo sono contrapposte. Entrambe rientrano in una logica economica che non può che stritolare chi possiede meno potere. Ma ci sarà qualcuno, in questo pantheon di economisti infallibili che tutti i giorni ci ammaestrano sul fatto che non ci sono risorse, che abbia una visione diversa? Per esempio qualcuno che riesca a dire che il welfare non è necessariamente un costo, ma un investimento. E che in Sudafrica (ma in tutto il mondo) se qualche politico decidesse di dare a quei minatori un vero potere d'acquisto (direttamente in salario o, appunto, in Welfare) avvenimenti come quello di Marikana probabilmente non si verificheranno più.
Cmq grazie per le tue analisi. Per me sono sempre fonte di riflessione. Raffaele Masto.
Permettetemi di dire la mia, fino a dicembre scorso ho vissuto in Sudafrica per 5 anni, lo premetto cosicché quello che scriverò non venga preso come un'idea o un'impressione da vacanziera. Il problema del Sudafrica è la corruzione dilagante all'interno dell'ANC e del maggior sindacato COSATU che governa il Paese, quell'ANC che a noi piace pensare sia Nelson Mandela come icona, non è così, gli uomini non sono tutti uguali e di Mandela c'e' né uno solo. I suoi successori si sono distinti per incompetenza il primo (Mbeki) facendo morire milioni di persone di AIDS rinunciando ai retrovirali adducendo come scusa che gli occidentali volevano avvelenare i neri; il secondo ed attuale (Zuma) è un populista, corrotto e arrivista, prima della sua elezione nel 2009 era sotto processo per vendita di armi illegali, corruzione e violenza sessuale, naturalmente tutto archiviato. E' allucinante pensare che solo due anni fa la miniera Aurora, di proprietà dei nipoti di Zuma e Mandela, è stata commissariata per la 3 volta e ha lasciato più di 2000 mozambicani e zimbabweani senza stipendio per 8 mesi, nessuno se ne è preso carico neppure i sindacati, ci sono stati dei suicidi ma il resto del mondo non se ne è accorto!!!!!!
Qui non si tratta di occidente, welfare o crisi, qui si tratta di incompetenza, razzismo, menefreghismo e tribalismo, perché nessuno si lamenta della manodopera che viene portata direttamente dalla Cina quando gli Africani si muoiono di fame????? Perché ai governi dell'Africa non importa del proprio popolo ma del proprio conto in banca!!!!!
cara Marinella, la tua testimonianza - lucida e precisa - conferma ancora una volta il mio pensiero. Il Sudafrica - da un punto di vista socio-politico - è molto simile ai nostri paesi. La degenerazione politica del partito di maggioranza (nel mio blog trovi nella sezione Partito Politici, un post sull'ANC, in cui sottolineo le stesse cose che dici tu)è simile a quello che avviene da noi (corruzione, affarismo, conflitto di interesse, perdita di ideologia, interessi personali). Ovunque nel mondo i lavoratori perdono il loro potere di acquisto anche perchè la politica non li rappresenta ed è interssata più al proprio tornaconto che alla collettività. Le tensioni aumenteranno, ovunque. La classe politica che ha scritto la storia del novecento, non è più in grado di guidare i popoli verso il futuro e per ora una nuova generazione (salvo alcune eccezioni) non è ancora pronta.
Ciao e grande per il tuo commento
Gianfranco, Sancara
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