Pagine

venerdì 28 settembre 2012

Moussem di Tan-Tan

Foto dal sito UNESCO
Il Moussem di Tan Tan é un ritrovo annuale di tribù nomadi del deserto sahariano. Una trentina-quarantina di tribù si ritrovano spontaneamente ogni anno per dare vita a questa grande festa che vuole anche ricordare lo sceicco Mohammed Laghdaf (combattente contro l’occupazione franco-spagnola, morto nel 1960) che a Tan Tan é sepolto. Il Moussem appartiene alla tradizione della cultura nomade, come festa religiosa e culturale. Diventa anche il luogo ideale dove scambiarsi merce (mercato), idee e elementi che appartengono alla cultura nomade del deserto. Il primo Moussem di Tan Tan, cittadina del profondo sud-ovest del Marocco. (ve ne sono altri, che prendono il nome dai luoghi in cui si svolgono) ebbe luogo nel 1963. Originariamente ebbe luogo a maggio, ma l'ultima edizione, quella del 2012, si è svolta alla fine di marzo. Dal 1979 al 2003 l'incontro non si svolse per motivi di sicurezza (si trovava nel luogo di confine con il Sahara Occidentale, nel mezzo degli scontri tra l'esercito marocchino e i guerriglieri del Fronte Polisario) e solo nel 2004 fu ripristinato come luogo d'incontro della cultura nomade, infatti a giungere nella cittadina di Tan Tan sono tribù berbere che giungono anche dalla Mauritania e dal Niger.

Foto dal blog Blanee
Il festival dura tre giorni (giungono migliaia di persone e vengono montate centinaia di tende) ed è una vera e propria fiera, condita di feste che durano l'intera notte, di musica e danze, di giochi, di commerci di ogni genere di merce (in particolare quella del settore agro-pastorizio), di incontri e perfino di matrimoni e celebrazioni.
Allo stesso tempo l'incontro si configura anche come un incontro mistico, in cui tradizioni e religiosità, si fondono in una perfetta armonia che rende l'evento ancora più carico di tensione e magia.

Oggi le tribù del deserto sono concentrate nel tentativo di preservare il loro stile di vita e la loro cultura. L'urbanizzazione massiccia, la riduzione degli spazi culturali, oltre che fisici, rischia di far morire lentamente tradizioni che si tramandano di padre in figlio, di generazione in generazione, da secoli e secoli.

Per il suo grande valore culturale e con lo scopo di preservarne l'integrità, il Moussem di Tan Tan è stato proclamato nel 2005 (iscritto nel 2008) Patrimonio Immateriale dell'Umanità dall'UNESCO.

Ecco il link del video dell'UNESCO sul Moussem

Ecco un sito con tutte le informazioni sull'ultimo Moussem

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali UNESCO in Africa.


giovedì 27 settembre 2012

Bonga, il re del semba

Bonga Kwenda, nasce come Josè Adelino Barcelo de Carvalho, il 5 settembre 1942 a Porto Kipiri, nella provincia di Bengo in Angola. Presto assieme alla famiglia, composta da madre, padre e 8 fratelli, si trasferisce nel sobborgo di Marcal alla periferia di Luanda, dove cresce ascoltando la fisarmonica del padre e correndo, forte. La corsa infatti diventa il suo passaporto per l'Europa. Nel 1966, con il Clube atletico de Luanda, vince i 100, 200 e 400 metri ai campionati d'Angola, in poco tempo si ritrova in Portogallo, a Lisbona, dove ottiene anche il primato nazionale dei 400 metri piani. Ma parallelamente alla vita di sportivo cresceva la passione per la musica che fin dall'età di 15 anni aveva "rapito" Barcelo. La sua si configurava come una doppia vita, da un lato atleta che gareggiava con i colori del Portogallo (per un periodo giocherà anche a calcio nel Benfica) e dall'altro musicista impegnato per la lotta d'indipendenza. A Lisbona i suoi contatti oltre che il fondo della pista di atletica erano con la comunità artistica angolana, e non, della città portoghese. 
Nel 1972 la svolta. Lascia l'atletica, combia il suo nome portoghese in uno più africano - Bonga Kwenda -, si trasfreisce in Olanda e poi in Francia, incide il suo primo album a Rotterdam , chiamandolo "Angola 72" (subito censurato dai portoghesi) e intensifica il suo impegno per l'indipendenza dell'Angola.
Presto diventa un idolo nazionale musicale, la sua musica, frutto di di una base solida di semba angolana, con ritmi brasiliani, morna di capo Verde e  danza congolese, lo proiettano ben presto nel panorama dei grandi artisti africani di genere. 
Le semba e' un genere musicale che può essere tradotto come "un tocco di pancia" per un movimento tipico della danza e racconta elementi della vita quitidiana. Ha origini più antiche di alcuni generi più famosi come il samba e il kizomba.


Nel 1973 è negli Stati Uniti, dove con il gruppo Batuki, suona anche alle Nazioni Unite in occasione della dichiarazione d'indipendenza della Guinea Bissau.

Nel 1974, proprio dopo la caduta del regime portoghese a seguito della Rivoluzione dei Garofani, incide il suo secondo album "Angola 74". A seguito dell'indipedenza dell'Angola e lo scoppio della guerra civile (Bonga vivrà tra Lisbona, Parigi e l'Angola) sarà molto critico contro tutte le posizioni politiche della nuova Angola, invocando più volte la pace (nel 1991 inciderà anche un album chiamata Paz em Angola)

Nella sua vita ha inciso oltre una trentina di album. Il suo ultimo lavoro è del 2011 e si intitola Hora Kota.

Ecco un post del Blog T.P.Africa sull'album Bairro di Bonga

Vai alla pagina di Sancara sulla Musica dall'Africa



mercoledì 26 settembre 2012

Menghistu Hailè Mariam e il terrore rosso

Menghistu Hailè Mariam è stato un dittatore che ha guidato l'Etiopia dal 1977 fino alla sua deposizione avvenuta nel 1991. A partire dalla sua presa di potere scatenò una violenta repressione contro tutti gli oppositori . Tale periodo viene ricordato come il "terrore rosso" visto che Menghistu si spacciava per fervido assertore del comunismo.
Menghistu, figlio di un militare, è nato nel 1937 e nel 1966 si è diplomato all'Accademia Militare di Addis Abeba. Dal 1967 al 1971 è negli Stati Uniti a perfezionare i suoi studi miliari e viene in contatto con i movimenti radicali dei neri americani.
Tornato in Etiopia è posto al comando di un battaglione (diventerà poi colonnello) e come tale partecipa a partite dal 1974 (dopo il golpe che depone l'ultimo e il 225° imperatore etiope,  Haile Salassie, il 12 settembre 1974) al DERG, un Consiglio delle Forze Armate che detiene il potere nel paese. Diventa ben presto - grazie al suo radicalismo, alla sua determinazione e all'eliminazione fisica dei suoi superiori - l'uomo forte ed il 3 febbario 1977, alla morte del leader Tafari Bante avvenuta durante una riunione del Derg che si concluse con una sparatoria in cui morirono 58 persone, assunse il pieno controllo del Derg.
Da quel momento Menghistu ebbe come obbiettivo principale l'eliminazione dei suoi oppositori - accusati di contro-rivoluzione - cosa che avvenne nel biennio 1977-78. Ad uno ad uno membri del partito EPRP (Partito Rivoluzionario del Popolo Etiope), rappresentanti delle società civile, religiosi, oppositori e membri dei gruppi indipendentisti Eritrei caddero sotto le armi del regime. Anche l'imperatore Salassie e il Patriarca Ortodosso della chiesa Etiope fecero la stessa fine nelle carceri di Addis Abeba. Amnesty International ha stimato che oltre 500.000 persone furono eliminate durante la dittatura.
La politica interna di Menghistu era l'esasperazione (con eccessi in tutte le direzioni) del modello comunista-marxisita, destinato a soppiantare l'antica struttura feudale della società etiope, supportato sin dal 1977 (prima di allora erano gli Stati Uniti a supportare militarmente l'Etiopia) da forti aiuti militari da parte dell'Unione Sovietica (che finivano per aiutare la repressione interna piuttosto che la difesa da attacchi esterni - la Somalia aveva tentato l'invasione dell'Etiopia a partire dal luglio 1977).



Bisogna collocare la vicenda dell'Etiopia nel contesto storico adeguato. Il Paese, unico tra quelli africani, non aveva mai conosciuto l'umiliazione della colonizzazione (fatto salvo una breve -1936-41 - occupazione italiana durante la seconda guerra mondiale) e dopo aver rappresentato un riferimento per i nuovi stati africani (nel 1963 l'imperatore etiopico Salassie avevà fortemente stimolato la nascita dell'Organizzazione dell'Unità Africana, oggi Unione Africana) divenne importante luogo strategico per il controllo del continente durante gla fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, quando si combattavano ancora guerre d'indipendenza (il tutta l'area lusofona) e vi era necessità di controllare le risorse del continente. La cooperazione militare americana in Etiopia era alta.
Quanto il DERG salì al potere nel 1974 - facendo di fatto entrare l'Etiopia nella sfera socialista - le guerre in Angola, Mozambico e Guinea Bissau si erano concluse con la vittoria dei partiti assistiti da Cuba e Unione Sovietica. Con l'Etiopia una fetta importante del continente cadeva sotto il controllo sovietico. Questo certo non era tollerabile.

La situazione si aggravò in modo determinato durante la carestia del 1984-85 quando a fronte di una situazione esplosiva sotto il profilo alimentare (mentre i governi occidentali ignoravano le richieste di aiuto), la risposta del governo fu esclusivamente un calcolo politico (come il tentativo di spostare forzatamente intere popolazioni dalle zone colpite dalla siccità). Ecco come in questo pezzo del 1985, Angelo Del Boca sulle pagine di Nigrizia, vede la situazione del regime etiopico in occasione del decennale della "rivoluzione".

Solo il 21 maggio 1991, a seguito di un'azione congiunta tra la resistenza etiope e quella eritrea, Menghistu, oramai isolato internazionalemnete e privo degli aiuti sovietici, sarà costretto alla fuga nello Zimbabwe, dove ancora oggi vive prestando consulenza all'anziano capo di stato Mugabe. Nel 2008 è stato condannato, in contumacia, alla pena di morte per genocidio.

E' probabile che anche senza di lui, l'Africa oggi, sarebbe diversa.

Vai alla pagina di Sancara sulle Anime nere dell'Africa

martedì 25 settembre 2012

Una cannuccia per la vita

Stimolato dall'amico Marco Pugliese di African Voices, che ha pubblicato sul profilo Facebook una bella immagine di alcuni bambini che bevevano l'acqua di un fiume con delle cannucce blu, ho deciso di scrivere un post su questo interessante tema.  
L'acqua, fonte di vita, è in alcuni luoghi del pianeta, un incubo. Vi sono luoghi ove trovarla è un miracolo, in altri ancora comporta fatica e sacrificio. In alcune aree abbonda tanto da essere sprecata e inquinata. In altri ancora è pericolosa.
L'acqua - ovvero ciò che in essa è contenuto - è responsabile di un'enorme quantità di malattie che interessano - e spesso uccidono -  soprattutto bambini (più deboli immunologicamente) - in Africa, come in altri luoghi del pianeta. Sono decine le malattie la cui trasmissione avviene attraverso l'acqua, ma la cosa più far rischiare la vita ai bambini è la continua infezione da malattie, anche banali, del tratto gastrointestinale che aggravano situazioni già complesse di malnutrizione o di altre patologie.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità classifica appunto una generica Diarrhoeal Disease come la seconda causa di morte nel mondo per bambini sotto i 5 anni, con 1,5 milioni di morti e due miliardi di casi. 
Lifestraw
Una vera e propria strage che può essere evitata, perchè appunto la causa principale è quella dell'acqua potabile contaminata da feci.
Naturalmente il fenomeno deve essere combattuto in vari modi. L'accesso sicuro ad acqua potabile, l'aumento della prevenzione e delle cure, l'aumento dei servizi igienici, lo scavo di pozzi per approvigionare acqua più sicura.
Tra le tante strategie vi sono anche le cannucce.
Questi dispositivi, chiamati Lifestraw, brevettati dalla ditta svizzero-danese Vestergaard Frendsen nel 2005, sfruttano una tecnologia semplice e di vecchia data, ovvero la filtrazione fisica dell'acqua. Da sempre l'acqua viene filtrata da vari materiali inerti (ceramiche ad esempio) allo scopo di escludere inclusioni di vario genere (macroscopiche o miscroscopiche che siano). Con il tempo si è passati dal filtraggio macroscopico (i pozzi veneziani - in bella evidenza nei campi di Venezia- filtravano l'acqua piovana con ciotoli e ghiaia sempre più fini) a quello miscoscopico (i filtri in questione trattengono tutto ciò che è sopra ai 15 micron di grandezza).
Il Lifestrew è composto da resine alogenate e da carbone attivo ed è in grado (stando ai parametri riportati dall'azienda) di filtrare 1000 litri di acqua prima di "esaurirsi". E' stato sperimentato con buon successo a partire dal 2006 in Indonesia (durante le alluvioni) e poi in Africa a partire dall'Uganda. Il sapore resta accettabile.

Il quesito che tutti si pongono è: è veramente sicuro?

Bisogna in primo luogo stabilire un principio. Se si pretende che una cannuccia sia in grado di trasformare l'acqua della fogna di una baraccopoli di Nairobi in acqua cristallina delle montagne delle Dolomiti, allora la risposta è assolutamente no!
Se invece ci si chiede se la cannuccia può ridurre il numero di patologie più comuni derivate dall'uso di acque contaminate, allora la risposta è assolutamente si!

Ecco la foto pubblicata da African Voices
La cannuccia costa 3 dollari (qualcuno scrive che i vertici dell'azienza appartengono alla classe del "capitalismo etico") e dura un anno circa. E' chiaro che non è la panacea di tutti i mali del mondo e assolutamente non deve distrarre l'attenzione dagli sforzi necessari per aumentare i livelli di accesso all'acqua potabile e l'uso dei servizi igienici. Resta il fatto che può contribuire ad abbassare il numero di patologie legate all'uso dell'acqua contaminata, e questo è un obiettivo nobile e da perseguire.

Ecco i dati che l'azienda produce (a cura dell'Università dell'Arizona) sull'azione di filtraggio della cannuccia

lunedì 24 settembre 2012

Sabratha

Sabratha è un'antica città fondata nel VII secolo a.c. dai Fenici sulla costa dell'odierna Libia (non molto distante dal confine tunisino) come avanposto commerciale e caduta presto sotto la tutela di Cartagine e infine diventata parte dell'Impero Romano a partire dal 46 a.c.
Riprosperò sotto l'Impero Romano ed in particolare durante il regno di Settimo Severo, imperatore romano originario della vicina Leptis Magna, fu ricostruita ed abbellita, arrivando ad essere una città di oltre 20 mila abitanti. Il declino della città seguì (anche a seguito del forte terremoto del 365, in cui secondo gli studiosi la costa scivolò di un centinaio di metri) di pari passo quello dell'Impero Romano e dopo essere stata occupata dai Vandali e dai Bizantini, perse la sua importanza strategica con l'arrivo dei popoli arabi a partire dal VII secolo, che spostarono lentamente le maggiori attività sull'odierna Tripoli.
Fu poi intorno agli anni '20, durante la colonizzazione italiana, che gli archeologi iniziarono gli scavi che portarono alla luce i resti e le rovine  dell'antica città.

Teatro romano con scena a tre piani (dalla rete)
Gli scavi, affidati all'archeologi romano Renato Bartoccini, portarono alla luce un insieme di tempi e monumenti di epoca romana, alcuni dei quali ottimamente conservati, oltre ai resti dei primi insediamenti fenici.
In particolare l'elemento di maggior rilievo di Sabratha è il teatro romano, capace secondo gli studiosi di accogliere nelle sue gradinate 5000 persone. In particolare la scena a tre piani, con colonne di marmo sovrapposte rappresenta non solo un capolavoro dell'architettura romano, ma anche uno dei pezzi meglio conservati della presenza di Roma nelle coste mediterranee africane.
nel sito archeologico vi sono anche terme e anfiteatri romani oltre che mura di epoca bizantina. Inoltre in due distinti Musei, uno punico e uno rimano, vengono conservati gli oggetti ritrovati durante gli scavi. Altri oggetti sono nel Museo Nazionali di Tripoli.

Nel 1982 il sito è stato inserito tra i Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO per il suo alto valore culturale.

Immagini di Sabratha da un sito UNESCO

Linko anche questo interessantissimo studio di Nicola Bonacasa sulle Terme romane di Sabratha (sei secondo il Bonacasa), che ben sottolinea il rapporto - intenso e raffinato - che i romani avevano con le Terme.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

martedì 18 settembre 2012

18 settembre 1961 - La morte di Dag Hammarskjold in Zambia

I resti del velivolo (AP Photo, dalla rete)
La notte tra il 17 e il 18 settembre 1961 (stando ai rapporti alle 00.13 del 18 settembre) l'aereo che trasportava il Segretario Generale dell'ONU, Dag Hammarskjold, cadde in approcio all'aereoporto di Ndola (allora in Rhodesia del Nord, oggi Zambia), proveniente da Leopoldville. Nell'aereo, un quadrimotore Douglas DC-6 delle Nazioni Unite, viaggiavano oltre al segretario 6 membri dell'equipaggio (tutti svedesi) e altri 9 passeggeri tutti funzionari delle Nazioni Unite  (tre americani, i cecoslovacco, un francese, un irlandese, due svedesi e l'unica donna, una canadese). Morirono tutti.
Le inchieste ufficiali, che furono successivamente svolte, non hanno mai sciolto il dubbio sulla causa dell'incidente al punto tale che la conclusione dei periti è quella che sia un sabotaggio, sia un attacco da terra, sia un guasto meccanico, sia un errore umano,  hanno le stesse probabilità di essere la causa  dell'incidente.
Quel che si conosce è che la mattina del 17 settembre, l'aereo con a bordo Hammaskjold, decollò da Elisabethville (oggi Lubumbaschi) con destinazione Leopoldville (oggi Kinshasa), al decollo fu colpito dall'artiglieria di terra. Giunto a Leopoldville l'aereo fu ispezionato (fu trovato un solo proiettile in un motore) e riparato. Alle 16.04 del pomeriggio fu fatto decollare un DC-4 con ufficialmente a bordo il segretario (in realtà una sorta di esca) che giunse regolarmente a Ndola alle 22.35. Alle 16.51 decollò invece il DC-6 con a bordo Dag Hammarskjold. Questo accorgimento non ebbe l'effetto sperato. L'aereo sparì dai radar (era stato fatto volare per precauzione in silenzio radio) durante l'avvicinamento a Ndola.


Dag Hammarskjold, dalla rete
Dag Hammarskjold, svedese, classe 1905, dal 1953 Segretario Generale delle Nazioni Unite, era decisamente un uomo scomodo. Già nel 1956 si era fortemente opposto alla Guerra di Suez voluta dagli inglesi e dai francesi in seguito alla nazionalizzazione del canale. Inamicandosi le due maggiori potenze coloniali.
Dallo scoppio della Crisi Congolese determinata dalla secessione del Katanga (in cui il 17 gennaio fu ucciso anche l'uomo dell'indipendenza e primo ministro, Patrick Lumumba) aveva deciso di condannare l'intromissione delle altre nazioni nella questione congolese e successivamente di seguire personalmente le trattative. La sua convinzione era che l'indipendenza del Congo aveva un valore politico enorme e sul quel terreno si giocava la credibilità futura delle Nazioni Unite.
Secondo alcuni storici se le Nazioni Unite fossero riuscite a guidare quel processo di indipendenza e pacificare il paese, sarebbero diventate la terza forza mondiale nello scacchiere della Guerra Fredda.
Questa visione di Hammarskjold si scontrava anche con gli enormi interessi delle compagnia minerarie (inglesi e belghe) e di tutti coloro (soprattutto rhodesiani bianchi) che sfruttavano le ricchezze del sottosuolo del Congo. Ancora oggi quel sottosuolo immensamente ricco non lascia pace. Hammarskjold ne era fortemente consapevole, anche i suoi nemici.

Non vi è dubbio che quello che successe in Congo all'inizio degli anni '60 segnò fortemente il futuro dell'intera Africa. Da un punto di vista geopolitico quel vasto paese nel centro dell'Africa, scandalo geologico per le ricchezze del sottosuolo, governato per trent'anni da un uomo come Mobutu, incise - negativamente - molto di più di quello che si pensa, sulla politica e sugli sviluppi delle crisi dell'intera Africa. Hammarskojold l'aveva intuito.

Il birmano U Thant succedette a Dag Hammarskojold allla guida delle Nazioni Unite.

Vai alla pagina di Sancara sulle Date storiche per l'Africa

lunedì 17 settembre 2012

Oxfam International (1942)

Oxfam International è un'organizzazione (in realtà è una confederazione oggi di ONG di 17 paesi del mondo) nata in Gran Bretagna  all'interno dell'Università di  Oxford nel 1942 come Oxford Committee for Famine Relief, con lo scopo di trovare soluzione alla povertà e all'ingiustizia nel mondo.
Il gruppo fondatore era composto da Quaccheri (gruppo religioso protestante) e docenti universitari.
Il primo intervento fu caratterizzato dalla pressione verso il governo britannico per permettere agli alleati di portare cibo a favore delle popolazioni della Grecia affamata dall'occupazione bellica dell'esercito dell'Asse.

Nel 1963 nacque la prima sezione all'estero, quella del Canada.

Nel 1965 l'Organizzazione assunse l'attuale nome.

Oggi Oxfam opera in oltre 90 paesi attraverso, ed in partnership, con oltre 3000 organizzazioni locali.

Foto dal sito di Oxfam
L'approccio dell'intervento di Oxfam è integrato. Si interviene nelle emergenze, con programmi specifici in loco, si organizzano campagne di sensibilizzazione ai problemi della povertà, si intervenire nell'ambito dell'educazione e si cerca sempre il coinvolgimento delle popolazioni locali.

Il finanziamento dei Oxfam avviene oltre che con donazioni private e legami con manifestazioni musicali e sportive (la Maratona di Londra, ad esempio), attraverso un catena di negozi (il primo dei  quali aperto nel dicembre del 1947) che vendono libri, nuovi e usati, prodotti dell'artigianato e prodotti multimediali. Oggi nel mondo vi sono 1200 negozi Oxfam che hanno permesso nel 2010 di raccogliere circa 17,1 milioni di sterline.

Sono circa 20.000 i volontari impegnati con Oxfam.

Uno dei negozi di Oxfam, foto dalla rete
Nel 2006 Oxfam International ha aperto un contenzioso con la multinazionale del caffè Starbucks, nel tentativo di registrare il marchio del caffè a favore dei produttori etiopici

Nel 2008 Oxfam ha fatto nascere a Londra l'iniziativa The Circle che ha lo scopo di occuparsi in particolare delle donne. The Circle è una rete di donne della cultura, dello spettacolo, dell'arte, dell'imprenditoria e dello spettacolo) che si pongono come una sorta di "consulenti" di Oxfam per organizzare iniziative a favore delle donne nel mondo.

La sezione italiana è ufficialmente attiva dal 2010, quando l'Organizzazone non Governativa UCODEP (Unity and Cooperation for The Development of Peoples), nata ufficialmente nel 1976 ad Arezzo  aderisce al movimento internazionale di Oxfam. Da poco è guidata da Maurizia Iachino Leto di Priolo, che ha preso il posto di Francesco Petrelli.

Il Sito di Oxfam Italia

giovedì 13 settembre 2012

La danza Mbende (Jerusarema)

Dal sito UNESCO
La Mbende (Jerusarema) è una danza popolare praticata nell'est dello Zimbabwe dall'etnia Shona-Zezuru. Si trattava originariamente (pare sia nata come danza di guerra) di una danza acrobatica, ballata da uomini e donne, dai forti connotati sessuali. I ballerini sono accompagnati dal suono dei tamburi (mitumba) e dal battito delle mani e dal suono di pezzi di legno sbattuti tra di loro. La danza Mbende aveva un grande legame con la caccia, veniva infatti svolta come rito propiziatorio prima delle battute di caccia e dopo come ringraziamento per quanto la natura aveva offerto. Lentamente la danza ha iniziato ad essere praticata in ogni occasione, sia essa un matrimonio, un funerale, un evento religioso e perfino un accadimento politico.
Foto dal sito UNESCO
Fortemente osteggiata dai missionari cristiani (all'inizio del 1900 fu perfino proibita in alcune aree) - nell'occasione pare fu adottato il nome Jerusarema (da Gerusalemme) nel tentativo di darle una valenza religioso - oggi, dopo essere diventata una sorta di icona nazionale dello Zimbabwe, rischia di diventare una danza da uso turistico.

Per questa ragione nel 2008 (in realtà nel 2005 la prima proclamazione) la Danza Mbende è stata inscritta tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità dall'UNESCO, 
nel tentativo di salvaguardarne le caratteristiche originarie, per la sua unicità e per la sua antica tradizione. 

Le azioni coordinate dall'UNESCO tendono a favorire la pratica e la conoscenza tra le nuove generazioni, insegnando loro non solo la danza Mbende, ma la necessità di salvaguardarla per il futuro. Contemporanemente si favorisce lo studio e la raccolta di materiali al fine di permetterne lo studio e la ricerca.

Questo è il video dell'UNESCO su questa danza.

Si veda anche questo articolo di approfondimento di Jasmel Mataga dell'Università del Lesotho.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Umanità in Africa

mercoledì 12 settembre 2012

Il primo giorno di scuola

In alcune regioni italiane sono inziate oggi le scuole. Complessivamente circa 8 milioni di piccoli e medi italiani inizieranno, o proseguiranno, il loro cammino educativo e formativo, alcuni con grande entusiasmo altri, con meno. La scuola riparte con i soliti problemi e forse con qualcuno in più. Parte purtroppo anche con la consapevolezza che in Italia si investe sempre meno nella formazione e nel futuro delle nuove generazioni, con una miopia tipica di un paese destinato al declino. 
Foto dalla rete
Oggi accompagnando i miei figli a scuola mi sono venuti in mente alcuni ricordi e molti racconti su modi diversi di vivere la scuola.
Forse è superfluo ricordare che in oltre la metà del nostro mondo la scuola è un vero miraggio. Riuscire ad andarci è già una conquista, spesso faticosa. Si percorrono a volte chilometri a piedi,  per giungere in scuole dove manca tutto, a volte persino le penne e i quaderni. Lezioni fatte spesso all'ombra di un grande albero, in  numeri per noi inauditi, nella certezza che imparare a leggere e scrivere possa aiutare a vivere, quando non sopravvivere, in questo ingiusto mondo.

Foto dalla rete

In bocca al lupo bambini, quì come altrove. Non fatevi ingannare, il futuro lo state scrivendo voi, ora.

martedì 11 settembre 2012

Popoli d'Africa: Betammaribe

Ragazza somba, dalla rete
I Betammaribe (oTammari al singolare), conosciuti anche come Somba (sebbene il nome includa altri piccoli gruppi), sono un popolo che vive in Togo (nella regione del Koutammakou) e in alcune zone del Benin (in nord-est tra le città di Nikki e Kandi e alcune aree del nord-ovest). Parlano una lingua della grande famiglia linguistica del Niger-Congo, in particolare una del sottogruppo Gur. Si stima che la popolazione raggiunga le 150 mila unità. L'area che essi occupano è quella dell'antico Regno di Bariba (XVII secolo).
E' un popolo che ha avuto scarsi contatti con i colonizzatori e di conseguenza continua ad essere fortemente legato alle tradizioni, in particolari quelle religiose.
Foto di Michael Renaudeau, dalla rete
La loro caratteristica è quella di costruire dei villaggi e delle case unifamiliari fortificate - chiamate Tata Somba (letteralmente casa Somba) - che si sviluppano in due piani. Uno inferiore che di notte viene occupato dagli animali ed è il luogo dove si cucina e uno superiore dove si depositano i prodotti dell'agricoltura (granaio) e dove si dorme. I materiali di costruzione sono quelli che la loro terra offre, ovvero fango, argilla, sterco di bestiame e paglia. Nel passato furono costruiti anche edifici più grandi, comprendenti un terzo piano.
La fortificazione dei villaggi (qualcuno li ha definiti "castelli d'Africa" è servita a questo popolo per difendersi dai gruppi vicini e successivamente dalle rare incursioni interne dei tedeschi durante il periodo coloniale.
Donna Somba, Foto Creig Pershouse, dalla rete
Con il bestiame (soprattutto bovini) hanno un rapporto non solo economico, ma legato ai riti a al contatto con la terra.
La principale fonte di sussistenza dei Betammaribe è l'agricoltura, praticata esclusivamente ai fini della autosussistenza. Coltivano cereali (miglio, sorgo e granoturco) e tuberi, con la tecnica della rotazione delle colture.

La terra dei Somba si trova anche all'interno del territorio del Parco Nazionale del Pendjari, già riserva della biosfera dell'UNESCO.

La terra dei Batammaribe (Koutammakou) è stata inserita tra i Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO nel 2004 per la testimonianza di un popolo che vive in modo sostenibile il proprio territorio e per la tipologia di costruzioni a torre fortificate.

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli dell'Africa

lunedì 10 settembre 2012

Si sono concluse le Paralimpiadi di Londra: l'Africa c'è.

Con la cerimonia di chiusura di domenica sera si è conclusa la XV edizione dei Giochi Paralimpici di Londra. Un'edizione che ha avuto un grande risalto mediatico, grazie alle straordinarie imprese di atleti provenienti da ogni parte del mondo.
I Giochi Paralimpici, la cui prima edizione si tenne a Roma nel 1960 (in realtà in quell'occasione di associò alle Olimpiadi Estive la IX edizione dei Giochi Internazionali per Paraplegici) sebbene il riconoscimento ufficiale vi fu solo nel 1984.
Il movimento paralimpico cresce di anno in anno, consolidandosi come realtà sportiva di grande interesse, anche per gli sponsor. Del resto in alcune disciipline vi è anche un grande lavoro di ricerca nell'ambito dei materiali. Le protesi per la corsa o le handbike, ad esempio, sono il frutto di un'altissima tecnologia messa al servizio dello sport. Ma il vero salto qualitativo è stato fatto nella grande diffusione dello sport per diversamente abili, che in alcune discipline ha fatto (o è pronto per fare) il salto verso lo sport integrato, ovvero la possibilità di far gareggiare - e competere allo stesso livello - normodotati e diversamente abili. Il sudafricano Oscar Pisturius, che ha gareggiato alle Olimpiadi e alle Paraolimpiadi, ne è naturalmente la punta dell'iceberg.

Ma, tornando all'Africa, in questa edizione il continente ha vinto 106 medaglie (35 ori, 36 argenti e 35 bronzi). A Pechino 2008 erano state 92 (47 ori), ad Atene 2004 123 (51 ori) e a Sidney 2000 89 (32 ori).
Sono state 9 le nazioni africane ad andare a medaglia (a Pechino 8, ad Atene 11 e a Sidney 7). In testa la Tunisia (con 19 medaglie, 9 ori), seguita da Sudafrica (29, 8 ori), Nigeria (13, 6 ori), Algeria (19, 4 ori), Egitto (15, 4 ori), Kenya (6, 2 ori), Namibia (2, un oro), Angola (2, un oro) e Etiopia (1).
Le medaglie sono state vinte per oltre la metà nell'atletica leggera, seguita dal sollevamento pesi, dal nuoto, dal judo e dal ciclismo e dal tennis tavolo.

Ma, al di là dei meriti sportivi - che pure sono grandi - la diffusione dei paesi partecipanti (165) conferma un trend positivo dei giochi paralimpici (erano 156 a Pechino). Segno di un un'attenzione maggiore e diversa verso un movimento, quello paralimpico, che in alcune aree del pianeta ha ancora dei margini enormi di crescita. Non un caso che dei 16 paesi che per la prima volta nella loro storia hanno partecipato ai Giochi di Londra, 9 di essi sono africani.

L'angolano Josè Armando Sayovo, dalla rete
Vi è un atleta africano, l'angolano Armando Josè Sayovo, che merita decisamente l'attenzione. All'età di 39 anni Sayovo è riuscito a vincere l'ottava medaglia paralimpica, alla sua terza Olimpiade, nell'atletica leggera. Nel 2004 ad Atene di aggiudicò i 100, i 200 e i 400 metri. A Pechino non seppe ripetersi allo stesso modo e nelle stesse tre gare conquistò 3 medaglie d'argento.  A Londra è riuscito a vincere un bronzo nei 200 metri e a riprendersi l'oro nei 400, grazie anche alla sua migliore prestazione di sempre sulla distanza.
Armando Josè gareggia nella categoria T11, quella dei ciechi. La storia di Josè Armando, nato nel 1973, è comune, sotto alcuni aspetti, a molti altri. Fino al 1998 era nell'esercito angolano con il grado di sergente, destinato a combattere gli ultimi anni della sanguinosa guerra civile angolana. Quell'anno, lo scoppio di una mina anti-carro, lo rese cieco. La corsa faceva parte del suo percorso di recupero dopo l'incidente. Solo 5 anni dopo vinse il suo primo titolo mondiale. Oggi è un eroe nazionale.

sabato 8 settembre 2012

Il Gambia e le condanne a morte

Suscitano molta indignazione le notizie che provengono dal piccolo stato dell'Africa Occidentale. La storia della donna senegalese, Tabara Samba,  condannata a morte per l'omicidio del marito (avvenuto nel marzo 2007), violentata prima dell'esecuzione, avvenuta il 23 agosto scorso, e infine mutilata, ha generato orrore.
La notizia, pubblicata sul giornale online del Gambia, Freedomnewspaper, è stata ripresa da alcuni siti come Leggo e Il Giornale.
Jammeh con i coniugi Obama, dalla rete
I particolari sono agghiaccianti e naturalmente se confermati oltre a chiamare in causa lo stesso Presidente Jahya Jammeh (che avrebbe istigato la violenza irritato dagli appelli contro questa condanna a morte), i militari che hanno commesso il crimine, il Ministro dell'Interno Lamine Jobareth che ha fatto apologia del reato, coinvolgono, stando alle testimonianze anche due medici, probabilmente cubani, e un magistrato gambiano. Un caso che bisogna seguire. 
Vi sono però alcune cose che necessitano di essere approfondite, perchè come spesso accade dalle nostre parti, destano scalpore e fanno notizie eventi così orrendi, per poi, il giorno dopo dimenticare quasi tutto.
Tabara Samba è stata condannata a morte, dopo processo, nel settembre del 2007, nessuno fino ad oggi aveva scritto un trafiletto su questo fatto. Come lei erano, fino ai primi di settembre, 44 (47 secondo altri fonti) i detenuti del Gambia in attesa di essere giustiziati (vedi Rapporto 2012 di Amnesty International).

Il 27 agosto scorso, assieme a Tabara Samba, unica donna, sono stati giustiziati nove persone, tra cui tre militari responsabili del tentato golpe del 1997. I civili erano tutti condannati per omicidio.
Si trattava, contrariamente a quanto scritto da molti, della prima esecuzione dopo 31 anni (l'ultima - e unica dopo l'indipendenza proclamata nel 1965 - fu quella di Mustapha Danso, nel settembre 1981, colpevole di aver assassinato un ufficiale durante il tentato golpe del 1981). 
Fino al 30 giugno 2012 l'Associazione Nessuno Tocchi Caino, che si occupa della lotta alla pena di morte nel mondo, classificava il Gambia come paese "abolizionista di fatto". Purtroppo questa classificazione dovrà essere riveduta in negativo.

A fine agosto il Presidente Jahya Jammeh - che guida il paese da un golpe avvenuto nel 1994 -  aveva annunciato di voler eseguire tutte le condanne a morte entro la fine di settembre. Secondo alcuni il messaggio era un avvertimento alle opposizioni.
In questi 18 anni alla guida del Paese, Jammeh (era salito al potere che aveva 29 anni), ha via via ridotto gli spazi democratici e ad ha severamente censurato la stampa e la critica all'operato del suo governo. Nonostante questo è stato rieletto nel 1996 e nel 2006. 
Nel paese crescono le proteste contro quello che da più parti è definito un dittatore.

Se fossero confermati i fatti relativi a Tabara Samba - di fronte alle atrocità, come scriveva Silvana Arbia si spera sempre che non siano veri -  getterebbero una tale luce negativa nei confronti di Jammeh e dell'intero Gambia, che certamente imporrebbero una seria discussione, e condanna, della Comunità Internazionale. Del resto il Gambia, oltre ad ospitare la Commissione Africana dei Diritti dell'Uomo e dei Popoli, è anche la patria di Fatou Bensouda, da poco divenuta Procuratore Generale della Corte Penale Internazionazionale.
Al tempo stesso la barbara violenza su Tabara Samba, non deve far dimenticare la situazione dei diritti civili e delle condanne a morte, che sconvolge il Gambia e che necessità di una maggiore attenzione internazionale.

Per approfondire un post di Sancara, sulla Pena di morte in Africa

venerdì 7 settembre 2012

Save The Children (1919)

Save The Children è un'organizzazaione nata a Londra il 19 maggio 1919 con lo scopo di tutelare i minori. La sua origine si deve ad un'infermiera volontaria, Englantyne Jebb, che intendeva alleviare le sofferenze dei bambini europei al finire della Prima Guerra Mondiale.
La Jebb nella sua azione mise al centro i bambini, come titolari di diritti - concetto del tutto rivoluzionario all'epoca - e nel 1923 scrisse la prima Carta dei Diritti del Bambino, adottata successivamente dalle Nazioni Uniti e che in parte ispirò l'attuale Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza (ratificata dal mondo intero ad eccezione di Stati Uniti e Somalia).
Il primo vero intervento di Save The Children fu durante la carestia che si abbattè in Russia nel 1921, quando fu in grado di sfamare oltre 650 mila bambini.
La fondatrice Englantyne Jebb (dal sito STS)
L'azione dell'organizzazione è incentrata sull'attenzione ai bambini in risposte ad emergenze (naturali o "umane") e all'educazione e alla protezione dagli abusi e dallo sfruttamento dei bambini. La sua azione si svolge all'insegna dell'indipendenza, della laicità e della internazionalità.
Oggi Save The Children ha sedi in 30 paesi del mondo (in Italia dal 1998) opera in circa 120 paesi, ed impiega oltre 14 mila persone. La sede principale è a Londra.
L'organizzazione è riuscita nel corso del 2011 a raccogliere circa 1,6 miliardi di dollari (il 46% dai governi, il 28% da donazioni private, il 22% da fondazioni e organizzazioni e il 4% da altro). L'81% dei fondi raccolti vengono investiti nei progetti (il 37% dei quali sono in Africa).

L'organizzazione è divenuta da tempo un punto di riferimento mondiale sulla condizione dell'infanzia e sulle politiche ad essa dedicate.

Save the Children è guidata oggi da un Consiglio Internazionale (in cui siedono i presidenti di alcune delle 30 sedi territoriali, tra cui quella italiana) retto dall'inglese (con passaporto svizzero) Jasmine Whitbread (che proviene da un'esperienza decennale con Oxfam).

Save The Children Italia è guidata invece da Claudio Tesauro, avvocato e socio fondatore dello studio Bonelli Erede Pappalardo, nipote dell'ex rettore dell'Università Federico II di Napoli dove si è laureato. Il direttore, dal 2006,  è Valerio Neri già direttore del WWF Italia, poi di Telefono Azzurro e infine dell'ATAC di Roma (azienda pubblica del trasporto). Nel Consiglio di Amministrazione siedono "la crema" del managment italiano, espressione di alcuni dei maggiori gruppi industriali e della finanza italiani: Marco De Benedetti (figlio di Carlo e manager della Olivetti), Maria Patrizia Grieco (Amministratore Delegato di Olivetti), Andrea Guerra (Amministratore Delegato di Luxottica), Vittorio Meloni (manager di Banca Intesa San Paolo), Monica Mondardini (Amministratore Delegato del Gruppo L'Espresso), Silvio Ursini (manager di Bulgari) e Vito Varvaro (Presidente dell'Azienda Vinicola Planeta), tanto per citarne alcuni.

Insomma l'Italia bene che fa beneficienza........

Sito ufficiale di Save The Children 
Sito ufficiale di Save The Children Italia 
Vai alla pagina di Sancara su Organizzazioni non Governative che operano in Africa

giovedì 6 settembre 2012

Medici in Africa, alcuni pensieri e ricordi

E' stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il film di Carlo Mazzacurati "Medici con l'Africa" (vi rinvio a questo post su Bussole di Repubblica di Ilvo Diamanti) che racconta la straordinaria esperienza dell'Organizzazione non Governativa  CUAMM- Medici con l'Africa di Padova e dei molti volontari che hanno prestato e continuano a prestare la loro opera nei luoghi più sperduti del continente africano. Non ho visto il film - che mi dicono sia molto ben fatto e toccante per i suoi contenuti- ma leggendone le recensioni mi è venuto in mente qualcosa avvenuto una ventina di anni fa.

Bansang Hospital, foto dalla rete
All'epoca, era il 1992-1994, ero in Gambia, precisamente presso l'Ospedale Regionale di Bansang, ad oltre 350 chilometri dalla capitale del piccolo paese dell'Africa Occidentale, Banjul.
L'ospedale, costruito dalla cooperazione italiana negli anni '60, era ancora efficiente e ben organizzato. Un reparto di medicina generale, un maternità e un reparto di pediatria. Una sala operatoria attrezzata, un buon dipartimento per gli ambulatori (comprensivi di clinica dentistica e clinica oculistica), il dispensario per la tubercolosi e la lebbra, una sala radiografica, un piccolo laboratorio, una farmacia, una grande cucina e un generatore di corrente, piccolo, ma capace di sopperire alle frequenti mancanza di fornitura elettrica. Vicino una ben organizzata scuola infermieri e un grande compound per il personale. Insomma tutto (e molto di più) di quello che serve ad un ospedale africano post in un villaggio di poco più di 2000 persone e capace di servire un'area da circa 300 mila persone.

Mi occupavo di statistica sanitaria e di Primary Health Care per conto di una ONG italiana, che aveva inviato sul posto anche un medico e un'infermiera  presso il reparto di Pediatria.
Quando arrivai, a dirigere l'Ospedale vi era un medico della cooperazione olandese con grande esperienza manageriale, alla fine del suo contratto. 
Lo staff medico era composto da un medico nigeriano con un contratto di  cooperazione con il suo governo e un gruppo di medici cinesi che provenivano letteralmente da un'altro pianeta (scrivevano rigidamente le cartelle in cinese, usavano solo i loro farmaci e praticavano l'agopuntura e i massaggi ai pazienti).
Solo due mesi dopo, il medico olandese, finì il suo contratto e giunsero a Bansang altri due medici della cooperazione olandese, con una buona esperienza di chirurgia. Uno dei due assunse anche la direzione dell'Ospedale.
Ora lo staff medico era composto dal nostro medico di pediatria (ironia della sorte con specializzazione in geriatria!), dai due medici olandesi, dal medico nigeriano (per un periodo furono in due) e dai cinesi. I cinesi, in tutto una dozzina di persone, oltre a vivere in un compound isolato e protetto, erano pagati dal governo del Gambia attraverso l'ospedale. La prima cosa che scoprimmo fu che erano tutti pagati come medici, mentre in realtà vi erano due autisti, un interprete, un cuoco, una agopunturista, una massaggiatrice, una farmacista e due tecnici di radiologia e laboratorio. I medici erano solo quattro.
La paga di un medico - iniziai ad occuparmi delle questioni informatiche legate all'amministrazione dell'Ospedale - era la tempo tra i 1000 e i 1200 dalasi (circa 200-240 mila lire, oggi 100-120 euro). 

Mentre gli infermieri e le ostetriche dell'ospedale venivano inviati dalla capitale, per un periodo di due anni, obbligati a lavorare "in periferia". Altri frequentavano direttamente la scuola SEN a Bansang, mentre nessun medico del paese aveva mai solcato i corridoi dell'Ospedale di Bansang.
In Gambia nel 1993 vi erano 34 medici (quasi tutti laureati in Gran Bretagna). Alcuni (pochi, se la memoria non mi inganna, sette o otto) lavoravano nell'Ospedale della capitale, tre o quattro erano al Ministero della Salute e tutti gli altri (compresi gli ospedalieri) avevano studi privati dove curavano i ricchi e gli stranieri (turisti compresi) del paese.

A lungo discutemmo di quella strana situazione. A Bansang si praticavano oltre dieci interventi chirurgici al giorno (escludendo le urgenze, che non erano poche). Molti cesarei e un consistente numero di interventi di chirurgia minore (ernie e chirurgia ortopedica). Gli ambulatori scoppiavano letteralmente (vi era gente che trascorrava giorni prima di essere visitata), si assisteva ad una decina di parti al giorno e durante la stagione malarica la pediatria ospitava mediamente 3-4 bimbi per letto.
Senza i medici stranieri sarebbe stato un disastro. Ma, al tempo stesso, vie ra la consapevolezza che finchè vi erano i medici della cooperazione, nessun medico gambiano sarebbe mai giunto da queste parti.

Pochi mesi prima della nostra partenza, a dirigere l'Ospedale di Bansang, arrivò per la prima volta un medico gambiano. Aveva uno stipendio di quattro volte quello dei medici cinesi e forse, nella capitale, aveva pestato i piedi a qualcuno. Sembrava un uomo punito.
Spero che la situazione a Bansang (come altrove) sia cambiata. Resta sempre il grande quesito se sostitursi ad altri sia la soluzione giusta. Certo, anche il suo contrario.

mercoledì 5 settembre 2012

Suricato, l'angelo del sole

dalla rete
Il Suricato (nome scientifico Suricata suricatta) è un piccolo mammifero, simile alla mangusta, che vive in una zona molto ristretta dell'Africa meridionale occidentale.
In inglese il suo nome è Meerkat (nome dato, dal sanscrito,  dai commercianti olandesi convinti che si trattasse di una scimmia). Più in particolare vivono in una fascia di territorio che interessa l'Angola, la Namibia, il Botswana e il Sudafrica (talora è stato osservato anche in Lesotho). E' un abitante del deserto del Kalahari e del deserto della Namibia poichè preferisce le zone aride ed aperte a quelle boschive.
L'habitat del Suricato, da Wikipedia
Tra le sue caratteristiche, oltre quella di vivere in grandi gruppi (fino a 50 unità), vi è quella di stare in posizione eretta - sulle zampe posteriori e aiutato dalla coda che funge da terza gamba - scrutando in questo modo il territorio. Una sorta di posizione di avvistamento che consente di prevenire i pericoli, in particolare l'arrivo dei rapaci, e di rifugiarsi nelle tane scavate nel sottosuolo.
Vive mediamente intorno ai 12 anni e si nutre di tutto, in particolare insetti e piccoli animali.

Chiamato in alcune zone "angelo del sole" perchè nella cultura popolare si ritiene che protegga i villaggi dagli attacchi dei "lupi mannari" (chiamati diavoli della luna) che distruggono il bestiame. In realtà viene tenuto ad uso domestico per allontanare serpenti e scorpioni di cui si nutre.

Nonostante venga cacciato poichè portatore di rabbia, la specie non è assolutamente in pericolo ed infatti come tale la classifica l' lUCN (maggior organo mondiale per la protezione della natura).

Foto dalla rete
Il suricato è stato reso famoso nel 1994 dal film di animazione Re Leone, poichè uno dei personaggi, il simpatico Timon (amico del facocero Puumba), era appunto un suricato.
A seguito di questa notorietà è divenuto ricercato come animale domestico anche dalle nostre parti (allo stesso modo del furetto) ed è molto comune vederlo negli zoo.
Naturalmente molto meglio lasciarlo a casa sua!

Uno dei progetti di ricerca su questo simpatico animaletto (25-30 centimetri per un peso intorno al chilogrammo) è il Kalahari Meerkat Project, che si occupa di tutti gli aspetti riguardanti la vita, il comportamento e la protezione dei suricati.

Vai alla pagina sul Suricato della Lista Rossa dell'IUCN.
Ecco invece alcune belle immagini dal sito ARKive sui suricati.

Vai alla pagina di Sancara sugli Animali dell'Africa