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mercoledì 31 ottobre 2012

Riserva del Selous

foto dal sito Africa Travel Resource
Il Selous Game Reserve è uno dei più grandi parchi del mondo con i suoi 54.600 chilometri quadrati (l'equivalente delle aree di Lombardia, Piemonte e Liguria messe insieme). Situato in Tanzania, nel sud del paese. Deve il suo nome a Frederick Courtney Selous, capitano dei fucilieri dell'esercito britannico, oltre che esploratore e scrittore, morto nel 1917 durante i combattimenti con l'esercito coloniale tedesco.
Area protetta fin dal 1896, è divenuta riserva di caccia nel 1905 e nel 1922 è diventata un riserva protetta. negli anni 30 e 40 i confini sono stati più volte ritoccati seguendo le rotte di spostamento degli elefanti. Gli ritocchi di confini sono stati approvati solo pochi mesi fa (luglio 2012) al fine di limitare le vicine miniere di uranio.
Oggi la riserva è relativamente poco frequentata per una certa difficoltà di accesso (almeno rispetto ad altri grandi parchi della regione) e per la presenza massiccia della mosca tse-tse (vettore della tripanosomiasi umana o malattia del sonno), che scoraggia anche gli insediamenti nell'area. Nella riserva sono presenti, spesso in grande quantità, gli animali tipici della savana: elefanti (oltre 100 mila), ippopotami (oltre 18 mila), licaoni, leoni, coccodrilli, rinoceronti neri (oltre 2000), giraffe e leopardi, oltre ad oltre 350 specie di uccelli e un'incalcolabile patrimonio vegetale.
Il suo territorio comprende anche il bacino del fiume Rufiji, che forma laghi, lagune e rive che ben si adattano alla vita animale e vegetale, prima di sfociare di fronte all'isola di Mafia, dopo 250 kilometri di percorso.
Mentre la maggior parte delle strutture ricettive (lodge e camping) si trovano nei pressi della Gola di Stiegler (dal nome di un esploratore svizzero ucciso da un elefante),  profonda un centinaio di metri.
Nel parco sono possibili - cosa non frequente nei grandi parchi - le escursioni a piedi, inoltre è possibile visitarlo in canoa.

Nel 1982 è divenuto Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO per le sue caratteristiche di unicità del suo territorio e per l'assenza del "disturbo" umano dovuto a popolazioni residenti all'interno dell'area.

Ecco il sito di Africa Travel Resource dove è possibile trovare stupende immagini della riserva

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

martedì 30 ottobre 2012

Il vino, e non solo, dal Sudafrica

Dal sito dell'azienda vinicola Thandi
Quando si pensa al vino, raramente a qualcuno, anche tra gli adetti ai lavori, viene in mente l'Africa. In effetti la produzione di vino in Africa è del tutto marginale, se si esclude il Sudafrica.
L'Africa mediterranea (Egitto, Marocco e Algeria in particolare), qualcosa in Namibia e Zimbabwe e qualcosina negli altopiani della Tanzania e in Madagascar. Ecco più o meno, l'intera produzione africana.
Il Sudafrica invece è diventato negli ultimi anni uno dei maggiori produttori mondiali di vino (tra il 7° e l'8°posto) dopo la Francia, l'Italia, la Spagna, gli Stati Uniti, la Cina, la Turchia, l'Argentina, in competizione con Cile e Australia. La regione del Capo di Buona Speranza è da tempo una terra fertile e dedicata alla crescita dei vitigni. Tutte le uve coltivate in Sudafrica sono di origine francese, con alcune eccezioni come l'autoctona Pinotage (un incrocio tra Pinot nero e Cinsaut).
La storia vinicola del Sudafrica non è recente (come negli altri paesi africani), infatti da queste parti il vino si produce da oltre tre secoli, per l'esattezza, stando ad alcuni resoconti, l'inizio della porduzione può essere datata 1659. Da allora sono nate varie aziende, ma la svolta vi è stata nel 1918 quando nacque la KWV  (Kooperatiewe Wijinbouwers Vereeniging) che durante il periodo dell'apartheid raggiunse anche l'85% del controllo dell'uva del Sudafrica (ancora oggi, sebbene molte cose sono cambiate, la KWV controlla il 25% delle esportazioni).
Assieme alla produzione negli ultimi decenni è cresciuto in Sudafrica anche il consumo di vino.

Naturalmente non mancano storie di aziende che si sono caratterizzate, oltre che per la qualità del prodotto (a detta degli esperti il vino sidafricano è eccellente), anche per le loro storie umane, sociali ed economiche.
fota dalla rete
Tra le tante vi segnalo l'Azienda Vinicola Thandi, (thandi nella lingua Xhosa significa "coltivare l'amore") nella Elgin Valley, non distante da Città del Capo, che, nata nel 1995 è stata la prima azienda completamente in mano ai sudafricani neri all'interno del programma denominato Black Economic Enpowerment (BEE), varato ufficialmente nel 2007. Infatti essa è posseduta da 250 agricoltori sudafricani, ex dipendenti, che a partire dal 2009 hanno preso in mano le sorti dell'azienda. La storia di questa azienda, basata anche sulla sostenibilità ambientale della produzione, sta lentamente incidendo sull'intera comunità agricola dell'area e rappresenta una di quelle storie che meriterebbero maggior attenzione, anche dai nostri media e soprattutto in questo periodo storico. Un esempio di politica economica ed aziendale da studiare. Da una ricerca fatta, per ora, il vino dell'azienda, pur esportato in mezzo mondo, non è giunto ancora in Italia.

Ecco il sito dell'Azienda Vinicola Thandi

Ecco alcuni dati sulla produzione sudafricana di vino da i NumeridelVino
Ecco il sito di AfriWines sui vini africani (sudafricani)

venerdì 26 ottobre 2012

La cerimonia Gelede delle maschere

Foto dal sito UNESCO
Tra gli Yuruba della Nigeria (e in parte del Benin e in Togo) annualmente si svolge la celebrazione denominata Gelede, una festa mascherata che celebra la fine della stagione secca (tra marzo e maggio) e l'arrivo delle piogge. Le maschere Gelede, che prendono il  nome da una società segreta (che aveva il compito di tutelare la salute della comunità), sono un patrimonio ancestrale della cultura yuruba. Esse sono custodite in luoghi ritenuti sacri e mantenute in attesa di essere usate per dare forza alle "preghiere" della gente che accorre in massa (infatti le maschere vengono utilizzate anche in caso di gravi problemi come le epidemie al fine di favorire il benessere della comunità). Altre maschere vengono costruite di anno in anno. La cerimonia è dedicata "alla madre" intesa come "elemento vitale primordiale da cui tutto ha origine"; le maschere, femminili, sono indossate dagli uomini. Alcuni studi segnalano come all'origine, il XVIII secolo, le maschere fossero indossate dagli uomini e questo elemento sembra essere originato dalla trasformazione della società da un modello matriarcale ad uno patriarcale. Le feste sono accompagnate da musiche, canti e danze.

Le maschere, in legno, hanno diverse forme e colori, ispirate al volto umano senza i fori per gli occhi e possono avere ornamenti, anche molto vistori, di vario genere.
Nel 2005 il rito tradizione delle Gelede è stato inserito (nella lista a partire dal 2008) tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità, tuteli dall'UNESCO,al fine di tutelarne gli  aspetti tradizionali. Nel programma di salvaguardia sono compresi campagne atte a sensibilizzare le popolazioni sulla necessità di tutelare le antiche tradizioni, seminari e workshops dedicati ai giovani, studi delle coreografie, sulle tecniche costruttive di maschere e dei costumi e la conservazione della documentazione e dei materiali su questo tema. Il governo del Benin ha anche dato vita ad una Casa Internazionale del Gelede. Questi interventi sembrano aver ridato fiato alle celebrazioni.

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Oggi molte maschere Gelede sono custodite nei musei di arte africane di mezzo mondo, tra cui al British Museum o la Metropolitan Museum.

Vi segnalo, per chi ha voglia di approfondire, anche questo post sul tema dal blog Jambo Africa oppure dal blog Transafrica questo altro post.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Umanità in Africa

giovedì 25 ottobre 2012

CIRMF, la ricerca d'avanguardia in terra d'Africa

Quando si parla di ricerca scientifica, di grandi e attrezzati laboratori, raramente si pensa all'Africa. Poichè, nonostante tutto si ha ancora la convinzione del continente come il luogo ove si prova a conservare la natura (e le tradizioni), dove i conflitti sono all'ordine del giorno e dove, al massimo, qualcuno saccheggia qualcosa. Eppure in Africa vi sono straordinari istituti di ricerca che quotidianamente contribuiscono ad arricchire la conoscenza umana, semmai come già altre volte sottolineato, anche in ambienti scientifici vi è una certa difficoltà a dare visibilità alla stessa ricerca. Nel 2009 nasceva infatti in Sudafrica un programma, denominato Africa Science Trackers (AST) che aveva lo scopo di indicizzare tutte le ricerche di scienziati africani pubblicate a partire dal 2000 al fine di aumentare la visibilità negli indici internazionali.
Molti degli istituiti di ricerca presenti in Africa sono emanazioni di istituzioni europee, americane e asiatiche che hanno aperto delle sedi operative "overseas". 
Vi sono però delle brillanti eccezioni, tra queste sicuramente il CIRMF (Centre International de Recherces Medicales de Franceville o in inglese International Centre for Medical Research in Franceville) in Gabon.
Il CIRMF è stato inaugurato il 5 dicembre 1979, frutto di un'idea - quanto mai illuminata - dell'allora Presidente Omar Bongo, che coinvolse la compagnia petrolifera francese ELF (oggi Total Gabon). La ELF al tempo estraeva l'85% del petrolio gabonese con 59 milioni di barili all'anno (oggi è al 24% con 21 milioni di barili annui) ed era in una condizione di monopolio nella ricerca di nuovi giacimenti petroliferi. Originariamente (a metà degli anni'70), la ELF fu coinvolta in studi sulla fertilità e il CIRMF nasceva proprio allo scopo di continuare - richiamando esperti da tutto il mondo - gli studi in merito alla fertilità e alle malattie sessualmente trasmissibili. Sorto nella cittadina di Franceville nella zona sud orientale, si sviluppava inizialmente su 2000 metri quadrati su di un terreno di 45 ettari. Da lì il passaggio è stato breve: un centro di primatologia, le nuove malattie sessualmente (AIDS in testa), retrovirus, parassitologia e infine Ebola.
Oggi il CIRMF, che dal 1997 (a seguito della prima epidemia di Ebola nel paese) dispone di un laboratorio ad alta sicurezza, è il centro all'avanguardia sullo studio di Ebola e delle sue modalità di trasmissione, oltre che di altre malattie virali emergenti, di retrovirus, di parassitologia, di malattie ematologiche e di rischi ambientali.
Nel 2008 è stato costruito un nuovo laboratoria ad altissima sicurezza, dove è possibile manipolare agenti biologici di 4 livello (i più pericolosi per l'uomo).

Il futuro della capacità umana di difendersi da malattie sempre più aggressive è legata agli sviluppi della ricerca scientifica in questi campi e l'Africa è in prima fila.

Ecco un articolo recente su Viruses che descrive gli studi, e la storia, sul virus Ebola effettuati dal CIRMF

mercoledì 24 ottobre 2012

Noi popoli delle Nazioni Unite......

Ricorre oggi, 24 ottobre, la Giornata Mondiale delle Nazioni Unite, un evento nato per celebrare l'entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite. La Carta (ovvero lo statuto) fu approvata a San Francisco il 26 giugno 1945 da 50 dei 51 stati membri (la Polonia, non presente a San Francisco, firmerà in ottobre) ed entrò in vigore appunto il 24 ottobre 1945 con la ratifica del 29° stato e dei 5 stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (che, in quanto vincitori della seconda guerra mondiale, ad eccezione della Cina, conservano ancora oggi il diritto di veto), a norma dell'articolo 110, comma 3.

Nel gruppo originario vi erano anche 4 paesi africani (gli unici che nel 1945 godevano di uno status di paesi indipendenti). Di essi, l'Egitto fu l'unico a ratificare il trattato entro il 24 ottobre, mentre Liberia (2 novembre), Sudafrica (7 novembre) e Etiopia (13 novembre) lo fecero nei giorni successivi.

Oggi il mondo intero dei paesi sovrani aderisce alle Nazioni Unite (193 paesi), con due uniche eccezioni: il Vaticano, che per scelta è osservatore permanente (vi è un altro osservatore permanente, tra gli stati non membri, che è l'Autorità Palestinese) e Taiwan (che dal 1949 al 1971 ha tenuto il seggio della Cina). L'ultimo paese ad entrare nelle Nazioni Unite è stato il Sud Sudan il 14 luglio 2011.

Le Nazioni Unite nascevano come tentativo di prevenire le guerre che avevano - come recita il preambolo - colpito ben due volte nel corso di un'unica generazione. Già in precedenza vi era stato un analogo tentativo, poi naufragato, che tra il 1926 e il 1946 aveva visto la nascita delle Società delle Nazioni.

Le Nazioni Unite si sono subito poste anche il problema della fame nel mondo (del resto alla fine della seconda guerra mondiale la situazione era pressochè disperata) facendo nascere subito (1945) uno dei suoi più importanti bracci operativi (agenzie) ovvero la FAO, che si occupa di cibo e agricoltura.

Le Nazioni Unite - con le loro mille difficoltà, qualche fallimento e talora inadeguatezza - (più volte sottolineate in questo blog) rappresentano ancora oggi, a quasi 70 anni dalla nascita, una scommessa per il futuro. Non vi è dubbio che l'obiettivo del mantenimento della pace nel mondo è complesso e forse irrealizzabile, così come il tentativo di stabilire principi e norme che devono essere rispettate dagli Stati membri, ma solo un'organismo intergovernativo può porsi simili obiettivi. Certo le Nazioni Unite devono essere riformate, garantendo un maggior pluralismo, ad esempio con una maggior capacità di intervento nelle situazioni complesse, una maggior tempestività nelle risposte alle crisi, l'eliminazione del diritto di veto (anacronistico oggi), un maggior coinvolgimento dei paesi emergenti e un dialogo stretto e efficace con le organizzazioni non governative.

Oggi però celebriamo un organismo che in alcuni momenti è stato determinante, in altri forse inadeguato, in altri ancora si è dovuto arrendere agli interessi degli uni o degli altri. Ma questo organismo è fatto sicuramente del lavoro diplomatico (a volte perfino esagerato) ma, e soprattutto, di tante persone che ogni giorno operano sul campo, e non negli uffici con l'aria condizionata, a favore della pace, della giustizia, dei diritti, della salute, della cultura e contro la fame e la povertà. A loro deve essere rivolto il nostro pensiero.

Tra i post di Sancara che riguardano le Nazioni Unite, vi segnalo:




 


martedì 23 ottobre 2012

Popoli d'Africa: Wolof

donna wolof, foto dalla rete
L'etnia Wolof rappresenta la popolazione maggioritaria in Senegal con il 43% del totale. I wolof sono presenti anche in Gambia (circa 16% della popolazione) e in Mauritania (meno del 10%). Complessivamente si parla di circa 6 milioni di individui. Il nome sembra derivi da  Lof (ovvero l'area geografica in cui ha avuto origine la popolazione). Waa-lof appunto significa "gente di Lof". I wolof hanno dato origine ad un antico e stabile regno chiamato impero Jolof, con capitale Linguere, che da metà del 1300 al 1890, ha dominato sulla stessa area attuale, ovvero quella degli odierni Senegal e Gambia. Solo nel periodo 1870-1890 l'impero si è dissolto grazie (o per colpa) all'avvento dei colonizzatori francesi.
Tradizionalmente agricoltori (coltivano miglio, sorgo e arachidi), sono diventati poi abili commercianti. Tra le "merce" trattate nel passato vi erano anche gli schiavi.
L'area dei wolof
Parlano la lingua wolof, lingua atlantica della grande famiglia delle lingue del Niger-Congo che a partire dal XVIII secolo si inizia, grazie ai primi esploratori, a scrivere (con i caratteri romani, sebbene alcuni vecchi lo scrivano ancora con caratteri arabi). Il Wolof è oggi una sorta di lingua franca in Senegal, a fianco del francese, che rappresenta la lingua ufficiale.
La maggioranza dei wolof è di religione mussulmana sunnita, la cui conversione è iniziata già intorno all'XI secolo. Tra di loro è molto diffuso il sufismo.Nonostante una antica storia con l'islam, quella dei wolofi resta una società libera, poco influenzata nei comportamenti soprattutto verso le donne. La poligamia è di fatto scomparsa nelle giovani generazioni.

Popolo fiero, dai portamenti regali (le donne sono ammirate per la loro eleganza) sono conosciuti per la loro ospitalità (teranga) che è al centro della loro cultura.
Tipici cesti wolof
Tradizionalmente sono divisi in tre "caste" (oggi nelle città queste divisioni sono pressoché scomparse): i nati liberi, i discendenti degli schiavi e gli artigiani (sono conosciuti in tutta l'area per i loro lavori con il ferro, l'oro e l'argento). Le donne intrecciano dei magnifici cesti, molto ricercati per la precisione del lavoro. I primi sono al vertice della scala gerarchica e guidano spesso i villaggi.
Come accade per altri popoli del West Africa, la tradizione orale dei wolof è raccolta e tramandata dai griot, una sorta di cantastorie e musicisti, che da secoli e attraverso l'eredità familiare consentono di conservare una cultura altrimenti a rischio di estinzione.

Oggi l'etnia wolof svolge un ruolo chiave nel Senegal moderno, sia sotto il profilo politico, che culturale ed economico.

Ecco il link a Janga Wolof, un blog sulla linguea (e sulla cultura) wolof.

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa

venerdì 19 ottobre 2012

19 ottobre 1986, la morte di Samora Machel

E' sera, un bireattore Tupolev TU 134A3 della Mozambique Air, aereo di fabbricazione sovietica varato nel 1980, è nel corridoio di atterraggio verso Maputo. A bordo vi sono il presidente del Mozambico Samora Machel, Fernando Honwana (da molti ritenuto il candidato alla successione di Machel) e altre 42 persone, di cui 9 membri dell'equipaggio, composto da tecnici russi, due medici cubani e gli ambasciatori di Zambia e Zaire. L'aereo proviene da Mbala, l'attuale Zambia, dove vi è stato un importante summit. Alle 21.21, a 65 chilometri a ovest di Maputo, l'aereo impatta una collina a 666 metri di altitudine. L'impatto avviene in territorio sudafricano, 150 metri dal confine con il Mozambico. Machel muore sul colpo. Dieci saranno i sopravvissuti, tra cui un membro dell'equipaggio.

Così, il 19 ottobre 1986, finì, a soli 53 anni, l'esistenza di uno dei più attivi leader del rinascimento africano. L'uomo che aveva guidato, fin dal 1969, la lotta del Frelimo, che aveva contribuito a fondare nel 1963, contro i portoghesi. Nel 1975 era divenuto il primo presidente del Mozambico e aveva dovuto affrontare l'amara realtà della guerra civile, scoppiata all'indomani dell'indipendenza. Una guerra civile che si inseriva nel contesto della guerra fredda e del controllo geopolitico di tutta l'Africa centrale e meridionale, piuttosto che per questioni interne.

I mozambicani non credettero all'incidente e sospettarono subito dei sudafricani. Il Mozambico ospitava la guerriglia dell'ANC contro l'apartheid e inoltre era una spina nel fianco (ovvero un paese comunista) che incitava i neri sudafricani a ribellarsi. Il 28 ottobre, durante i funerali, la vedova di Samora, Graca (oggi moglie di Nelson Mandela, che ha sposato nel 1998) accusò duramente il Sudafrica di aver eliminato il marito.
L'inchiesta ufficiale, conclusa nel 1987, incolpò l'equipaggio di aver sbagliato le procedure di avvicinamento all'aereoporto di Maputo, in assenza di contatto radio e in assenza di visibilità adeguata. Neppure la commissione d'inchiesta, voluta da Nelson Mandela all'indomani della sua elezione a Presidente del Sudafrica nel 1994, riuscì a sciogliere tutti i dubbi. Vi sono state, anche recentemente delle ammissioni di risponsabilità da parte di persone delle forze armate sudafricane. Da più parti si sostiene (ecco uno studio approfondito) che furono manomessi i sistemi di controllo della navigazione strumentale che portarono l'aereo ad impattare contro le colline, così come sono state anche sospettate delle complicità all'interno dello stesso Frelimo e dei servizi segreti sovietici.


Samora Machel e Edoardo Modlane in Tanzania
Samora Machel ha incarnato il classico esempio dell'uomo di lotta, giunto al potere attraverso le proprie esperienze di vita e ad determinazione derivata da un forte credo politico. Nato a Madragoa nel 1933 da una povera famiglia di etnia Shangana (Tsonga) costretta dai portoghesi a lavorare nelle piantagioni di cotone, riuscì a studiare nelle scuole cattoliche diplomandosi come infermiere (una delle poche professioni a cui potevano accedere i neri) a metà degli anni '50. Trovò lavoro in Ospedale, continuando la sua formazione alle scuole serali, mentre la sua famiglia fu costretta ad emigrare in Sudafrica per lavorare nelle miniere, dove suo fratello perse la vita.
Durante il lavoro ospedaliero prese coscienza della necessità della lotta di classe e razziale. I salari dei bianchi erano più alti dei neri. Si interessò alle teorie marxiste e all'inizio degli anni '60 fu costertto, assieme ad altri nazionalisti a rifugiarsi in tanzania, dove nel giugno 1962 contribuì a fondare il FRELIMO. Addestrato militarmente in Algeria fu tra i protagonisti del lancio della lotta armata a partire dal 1964. Nel febbraio 1969, quando il leader del Frelimo Edoardo Modlane venne assassinato, emerse come l'uomo forte del movimento e nel 1970 ne divenne comandante in capo. Nel 1975 sposò in seconde nozze (la prima moglie, anch'essa membro del Frelimo e oggi considerata un'eroina nazionale, era morta nel 1971 di malattia) Graca Simbine, che nel primo governo divenne Ministro dell'Educazione. Il 25 giugno 1975, quando il Frelimo ottenne l'indipendenza, fu il primo Presidente del Monzambico. Centrò la sua politica sulla nazionalizzazione delle coltivazioni e sulla costruzione di scuole, ospedali e ferrovie per la popolazione. Convinto internazionalista, ebbe un'intensa attività diplomatica non solo all'interno dell'area centro-sud africana, sebbene da dipendenza dall'Unione Sovietica, anche a causa della guerra civile, fu sempre molto forte. Mise la questione morale in testa ai suoi obiettivi e forse anche per questo si fece più di qualche nemico all'interno del suo partito e dell'amministrazione statale.  

Nel luogo dell'impatto dell'aereo è strato costruito un mausoleo, inaugurato nel 1999 da Nelson Mandela, dalla moglie Graca (vedova di Samora) e da Joaquim Chiassano (che aveva sostituito Machel alla guida del Mozambico). Nel mausoleo oltre ai 35 tubi simboleggianti le 35 persone decedute, sono contenuti anche alcuni resti dell'aereo.


Vai alla pagina di Sancara sulle Date storiche per l'Africa

giovedì 18 ottobre 2012

Biocarburanti: una sciagura per alcuni.

foto dalla rete
Sono dovute intervenire le Nazioni Unite per chiedere a Stati Uniti e Europa, in particolare, di ridurre la quota di biocarburanti derivanti da alimenti. Infatti ad oggi sia gli Stati Uniti che l'Europa erogano maggiori sussidi per la produzione di biocarburanti (secondo il rapporto dell'IEA, l'Agenzia Internazionale per l'Energia, 20 miliardi di dollari nel solo 2009) che di cereali agricoli. In Europa l'obiettivo è il 10% nel 2020 (le Nazioni Unite chiedono di scendere al 5%), sebbene si era già annunciata la riduzione al 5%.
Il risultato di una politica che nelle intenzioni aveva una valenza ecologica ed ambientale, riducendo le emissioni di gas serra, si è trasformata in una sciagura per i Paesi più poveri del nostro pianeta. Infatti la produzione di biocarburanti richiede una grande quantità di terreni (e di acqua) che non sono disponibili nei paesi ricchi e che vengono acquistati (meglio, razziati) nei paesi in via di sviluppo. Questo fenomeno, noto come land grabbing, si traduce in una riduzione delle derrate alimentari (terreni agricoli vengono convertiti in terreni per la produzione di biocarburanti), nella distruzione di intere comunità locali e nell'uso indiscriminato delle acque (per produrre un litro di biodisel occorrono circa 4000 litri di acqua) e, in definitiva, nella riduzione della quantità di alimenti disponibili e nell'aumento del loro prezzo (già nel 2008 la Banca Mondiale - quindi non qualcuno di estraneo al disastro - incolpava la produzione dei biocarburanti del 75% degli aumenti del prezzo degli alimenti).

Ma, facciamo un piccolo passo indietro. Cosa sono i biocarburanti? Sono prodotti derivati dalle biomasse che si prestano ad essere usati per produrre energia termica e per l'autotrazione. Sono ricavati essenzialmente da due tipologie di prodotti: olii vegetali ottenuti piante oleaginose (colza, girasole, soia, palma o dalla non commestibile jatropha) e alcol etilico prodotto da colture zuccherine (canna da zucchero, mais, sorgo, frumento). Sono fonti di energia rinnovabili, contrariamente alle fonti fossili come il petrolio. I biocarburanti permettono di ridurre del 70% le emissioni di anidride carbonica e di altri gas che agiscono sull'effetto serra, di ridurre l'emissione di monossodo di carbonio e di eliminare l'emissione in atmosfera di sostanze nocive come lo zolfo o gli idrocarburi aromatici. Ma, la cosa che politicamente più interessa, è che i biocarburanti riducono la dipendenza dei paesi occidentali dal petrolio, il quale come è noto, viene estratto in paesi che stanno fuori dagli Stati Uniti e dall'Europa. La nuova frontiera dei biocarburanti sono le alghe.
Tutto bene? No, assolutamente. Perchè come giustamente (e molto tardivamente) richiamano le Nazioni Unite, un grande vantaggio per noi, si traduce in un saccheggio in altre parti del pianeta.
Infatti per ora le discussioni sui biocarburanti sono state tutte incentrate su questioni ambientali relative alle emissioni, sulla resa dei motori, sulle quote di miscelazione possibile con combustibili classici e sul rilancio dell'agricoltura europea (o americana), ignorando volutamente qualsiasi valutazione sulle questioni relative alla produzione delle piante da cui si ottengono i biocarburanti. L'ultimo rapporto disponibile dell'Agenzia Internazionale dell'Energia, quello del 2011, nelle oltre 30 pagine dedicate ai biocarburanti, non accenna minimamente a qualsiasi problema riguardante la produzione.
Produzione di biocarburanti (mil. ton.di petrolio eq)
Infatti, al di là delle più o meno modeste produzioni nei nostri paesi (ecco il sito dei produttori italiani di biocarburanti), le multinazionali (la quasi totalità americane) hanno spostato le coltivazioni in paesi che dispongono di grande aree "incolte", di legislature più morbide e di governi corrotti. Hanno acquistato (spesso per la classica "pipa di tabacco") terre fertili soprattutto in Africa. Nell'ultimo rapporto di Oxfam International si parla di un'area complessiva vasta 7 volte l'Italia, di cui quasi il 70% adibita alla produzione di biocarburanti.  Il risultato è stato quello di creare grandi produzioni di prodotti non alimentari in luoghi dove mangiare molte volte è difficile, di consumare quantità enormi di acqua, dove la siccità è una costante, di far crescere enormemente i costi delle derrate alimentari, dove il denaro non è di casa.
Oggi i paesi che producono, e utilizzano, maggiormente i biocarburanti sono gli Stati Uniti, il Brasile, il Canada, la Cina e l'India.
Da anni associazioni del mondo intero chiedono un'azione decisa delle agenzie internazionali e dei governi per bloccare l'accaparramento di terre che impoverisce paesi e popolazioni già molto colpite da problemi alimentari.Qualsiasi tentativo di moratoria sull'acquisto delle terre è stato bocciato dagli stessi organisimi che da una parte indicano le politiche ai governi in via di sviluppo e dall'altra finianziano i grandi investimenti fondiari.

Il fenomeno del land grabbing, come più volte sottolineato, non riguarda solo gli ultimi del pianeta. E' un sistema - messo in piedi dalle grandi multinazionali - che se non adeguatamente controllato e regolato rischia di affamare e distruggere intere popolazioni. E' impensabile che mentre qualcuno ricava enormi guadagni dalla produzione di biocarburanti, a poca distanza si investano milioni di euro per far fronte a povertà, carestie e siccità. 
Ecco una scheda sui biocarburanti che ne analizza esclusivamente i vantaggi
Ecco un articolo, datato 2011, di Jean Ziegler e Silv O'Neall sugli effetti negativi dei biocarburanti

mercoledì 17 ottobre 2012

Mantella dorata, verso l'estinzione

Foto dalla rete
La Mantella dorata (nome scientifico Mantella aurantica) è una piccola rana terrestre e diurna (2-3 centimetri le sue dimensioni) che vive esclusivamente in una ristretta area del Madagascar.
La sua caratteristica è una colorazione del manto che varia dal giallo all'arancione (nei giovani è invece verde oliva e nera). Questa colorazione degli esemplari adulti è ritenuta aposematica (ovvero una forma di avvertimento verso possibili predatori) anche in considerazione della tossicità della sua pelle. La famiglia delle Mantellidi (che sono Anuri, ovvero il nome scientifico di rane, rospi e raganelle) è composta da oltre 130 specie tutte endemiche del Madagascar (e purtroppo quasi tutte minacciate di estinzione). Sono tutte "rane" colorate, di cui la Mantella dorata è una delle più belle e, suo malgrado,  la più prossima all'estinzione.
Foto da Wikipedia
Vive in una ristrettissima area della zona centro-orientale del Madagascar, tra la palude di Toratorofotsy e la foresta di Andranomena, ad un'altitudine intorno ai 900 metri. 
L'area del suo habitat è estremamente limitata, infatti gli studiosi la stimano intorno ai 10 chilometri quadrati. Per questa ragione, sin dal 2004, l'IUCN, il maggior organismo internazionale per la conservazione della natura, l'ha inserita nella Lista Rossa delle specie in pericolo, classificandola come in pericolo critico di estinzione.
Infatti il suo habitat naturale è andato via via diminuendo a causa dell'azione antropica (tra cui il fuoco dato alle foreste), mentre la specie è ricercata dai collezionisti di animali esotici del mondo intero. Già da tempo si è provveduto a limitarne, di molto, il commercio legale.
Ufficialmente l'animale è conservato anche in una trentina di zoo del mondo e in molte collezioni private.

Ecco una ricca collezione fotografica nel sito ArKive
Questa invece è la scheda della Lista Rossa dell'IUCN

Vai alla pagina di Sancara sugli Animali dell'Africa

martedì 16 ottobre 2012

ActionAid International (1972)

ActionAid nasce in Gran Bretagna nel 1972. Sin dalla sua nascita l'organizzazione si è interessata alla lotta alla povertà e all'ingiustizia, basando la propria politica sul rispetto dei diritti umani come elemento centrale della ricerca della giustizia globale.
Oggi è presente in 66 paesi del mondo ed opera, a stretto contatto con le comunità locali, in 40 paesi. Il rapporto con le comunità locali, responsabilizzate e attive, capaci di lottare per difendere i propri diritti - è l'altro elemento caratteristico dell'azione di ActionAid.
Infine, ultimo cardine del lavoro di Action Aid sono le donne, che come spesso accade nelle realtà rurali africane, sono il tassello debole, ma anche gli elementi da cui partono le azioni concrete che incidono sul cambiamento.
Nel 2003 Action Aid ha deciso di stabilire la sua sede principale (sede del Secretariato Internazionale) in Sudafrica, a Johannesburg, divenendo la prima (e per ora unica) grande organizzazione umanitaria internazionale ad avere sede in Africa.
L'organizzazione è retta da Joanna Kerr che ha recentemente dichiarato che il maggior impegno di ActionAid è di "affrontare problemi vecchi con metodi e azioni nuove". Questo punto sembra del tutto condivisibile, visto che decenni di politiche per lo sviluppo hanno portato a dei risultati decisamente scadenti.

Action Aid Italia nasce nel 1989 come Azione Aiuto, divenendo poi parte dell'Action Aid Alliance nel 1999. Oggi presieduta dall'imprenditrice marchigiana Orietta Maria Varnelli (omonime distillerie).
Il manifesto della campagna di ActionAid
Action Aid Italia vive grazie ai contributi (donazioni dei privati) che rappresentano il 91% delle entrate. Le entrate (circa 48,6 milioni di euro nel 2011) sono costituite per il 40% dalle adozioni a distanza.
Il 58% dei fondi raccolti viene investito nei progetti di cooperazione allo sviluppo, mentre circa il 4% in programmi di sensibilizzazione in Italia.

Oggi 16 ottobre 2012, in occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione Action Aid (assieme a Simply Food) ha lanciato una campagna denominata "la nostra ricetta contro la fame" in cui si sottolineano gli aspetti essenziali della lotta alla fame nel mondo che coinvolge, stando agli ultimi dati, circa 1 milione di abitanti del nostro pianeta.

Il sito ufficiale di Action Aid International
Il sito ufficiale di ActionAid Italia

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lunedì 15 ottobre 2012

Ancora Land Grabbing....per non dimenticare

immagine dalla rete
E' di questi giorni la notizia (ringrazio il blog Elmoamf per la segnalazione) che la Banca Mondiale, riunita nel meeting annuale a Tokyo (12-14 ottobre), ha liquidato, senza grande risalto e senza eccessivi approfondimenti la richiesta di Oxfam International di una moratoria sull'acquisto (e la vendita) di terre agricole, ritenendola inapplicabile.
La questione della moratoria non è nuova. Se è vero che Oxfam e altre ONG l'hanno chiesta insistentemente, è altrettanto vero che da anni le organizzazioni, a più livelli, la chiedono, senza ottenere risposte. Gia' due anni fa, in questo post, ricordavo come decisioni internazionali  in merito a questo preoccupante fenomeno non vengono prese, mentre continua la caccia, quasi senza regole, alle terre.
Il 4 ottobre Oxfam aveva pubblicato un rapporto (qui la versione in italiano) sulla situazione,con lo slogan "chi ci prende la terra, ci prende la vita" denunciando come nell'ultima decade un territorio vasto come 10 volte la Gran Bretagna sia stato venduto (o 7 volte l'Italia).
L'acquisto di terre (naturalmente sempre da paesi poveri e spesso attraverso governi corrotti, di cui il 70% in Africa) non affronta il tema della povertà, anzi ne aggrava la situazione, costituisce una vera e propria rapina (le terre vengono vendute molto al di sotto del loro reale valore) e vengono fatte senza nessuna consultazione con le comunità locali che subisco decisioni dall'alto che rischiano di compromettere la loro stessa esistenza.

La Banca Mondiale, nonostante continui a far finta di vivere in un'altro pianeta, ha delle responsabilità enormi. Sia perchè finanzia direttamente gli investimenti fondiari (dal 2008 gli investimenti sono aumentati del 200%) sia perchè agisce da consulente (quando non determina) sulle politiche agricole ed economiche di paesi in via di sviluppo.

Certo - come afferma la stessa Banca Mondiale - nel 2050 il pianeta avrà bisogno di un aumento del 70% della produzione agricola mondiale - ma molti delle nuove acquisizioni di terre serve a fornire terra alla produzione di biocarburanti (per far fronte al caro petrolio), tagliando fuori intere aree dalla produzione agricola alimentare. 

Di Land Grabbing bisogna continuare a parlarne. Il fatto che questo post sia pubblicato nel giorno del 25° anniversario dell'assassinio di Thomas Sankara, un uomo che aveva fatto del rapporto con le comunità locali e dell'autosufficienza alimentare la bandiera della sua rivoluzione, deve far riflettere su di un'altra Africa possibile.

Un buon punto di partenza per studiare il fenomeno è il libro-inchiesta di Stefano Liberti, Land Grabbing (MinimumFax, 2011)

giovedì 11 ottobre 2012

L'atollo Aldabra

L'atollo corallino di Aldabra, nelle isole Seychelles, è il secondo atollo più esteso al mondo dopo quello dell'isola di Christmas (Kiribati). Ha una superficie complessiva di 155,4 chilometri quadrati, si estende per una lunghezza di 34 chilometri, una larghezza di 14,5 chilometri ed è mediamente alto 8 metri sul livello del mare (mentre la parte immersa dell'isola, di origine vulcanica, pare sia oltre i 4000 metri) La laguna interna dell'isola (creata dalle 4 isole maggiori che compongono l'atollo) occupa circa 224 chilometri quadrati. Dista 352 km dalle isole Comore, 424 km dal Madagascar e ben 1150 Km dalla capitale delle Seychelles, Mahè. Insomma, un'isola nel bel mezzo dell'oceano Indiano.
E' oggi un paradiso quasi incontaminato (non vi sono abitanti, un tempo, vi erano alcuni residenti, a partire dalla fine del 1800, nell'insediamento di Picard) ma solo un centro di ricerca e un ufficio di gestione dell'atollo, con rangers e personale addetto alla conservazione. Grazie a questo isolamento e alla scarsa presenza antropica, l'atollo conserva oggi la più grande popolazione di tartarughe giganti (Dipsochelys dussumieri) al mondo (oltre 100 mila), oltre che di tartarughe marine come le tartarughe verdi e la tartaruga imbricata. Oltre alle tartarughe l'atollo è un paradiso ornitologico, grazie alla presenza di colonie indisturbate di uccelli marini come le fregate, fetonti, sule e sterne. Infine giungono sull'isola anche molti uccelli migratori come i fenicotteri e gli ibis. Ad Aldabra vive anche l'ultima specie di uccello dell'Oceano, incapace di volare, il Rallo di Cuvier (parate del più famoso e oramai estinto dodo). Qualcuno ha chiamato questo atollo "le Galapagos dell'Oceano indiano".
Dal 1982 - proprio per la straordinarietà del suo contesto, per le caratteristiche geomorfologiche e per l'unicità delle specie viventi esistenti - l'atollo di Aldebra è stato inserito all'intero dei Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO.

L'isola fu visitata dai portoghesi nel 1511, bensì fosse già conosciuta dagli arabi, i quali gli diedero l'attuale nome (probabilmente da al-Khadra, la verde). A metà del XVIII sec. fu sotto il protettorato francese e nel 1810 passò agli inglesi. Le tartarughe furono quasi sterminate (per le navi di passaggio si trattava di facili riserve di carne, da imbarcare), al punto tale che agli inizi del 1900 si parlava di una specie a rischio di estinzione.

L'isola è visitabile (non vi è la possibilità di pernottare) con un servizio di crociera su yatch dall'isola di Assumption (circa 4 ore di navigazione), a sua volta a due ore di aereo da Mahè. Il periodo migliore è tra aprile e ottobre (per le condizioni del mare).

L'isola è gestita dalla Seychelles Islands Foundation

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mercoledì 10 ottobre 2012

10° Giornata Mondiale contro la Pena di Morte

Si celebra oggi la 10° edizione della Giornata Mondiale contro la Pena di Morte, nata nel 2003, indirizzata a sensibilizzare l'opinione pubblica per convincere i governi ad abolire definitivamente la pena capitale.
Ad oggi sono 43 i paesi che ancora mantengono in vigore la pena di morte (erano 54 nel 2005), 36 dei quali sono paesi autoritari o comunque illiberali. Di questi nel corso del biennio 2011-2012 sono 21 quelli che l'hanno applicata, portando nel solo 2011 a 5000 le esecuzioni.

Nel 2011 in testa a questa speciale classifica dell'orrore è la Cina che con circa 4000 esecuzioni (i dati sono poco attendibili) continua - nonostante la costante diminuzione - ad essere il luogo del mondo ove si muore maggiormente per i crimini commessi. Dietro alla Cina si classifica l'Iran, con 676 esecuzioni nel 2011 (in netto aumento, 546, rispetto al 2010).
Al terzo posto l'Arabia Saudita, con 76 esecuzioni nel 2011 (nel 2012 a giugno erano già 45).
Al quarto posto tra gli stati-boia vi sono gli Stati Uniti , uno dei 7 paesi democratici del mondo a mantenere in vigore la pena capitale, che nel 2011 ha mandato al patibolo 43 persone ( nei primi 6 mesi del 2012 sono già 23, mentre oltre 3100 i detenuti in attesa nel braccio della morte).

Tra i paesi africani (vedi il posto di Sancara sulla pena di morte in Africa) che hanno eseguito esecuzioni nel corso del 2011 vi è la Somalia (almeno 11), il Sudan (almeno 7), il Sud Sudan (5), l'Egitto e il Botswana (1).

Ha stupito molto, nel corso degli ultimi mesi, quello che è avvenuto in Gambia, un paese che da oltre 31 non eseguiva condanne a morte e da tutti era considerato come abolizionista di fatto. Il 27 agosto scorso il Gambia ha eseguito 9 condanne a morte, sebbene la cosa che ha più sconvolto sono state le dichiarazioni del Presidente e dei Ministri e le torture precedenti alle condanne.

In Africa si registrano anche alcuni tiepidi segnali positivi, come l'abolizione recente (luglio 2012) della pena di morte in Benin e le moratorie e gli impegni contro la pena di morte attuata da alcuni paesi come la Nigeria, la Liberia, il Ghana, l'Etiopia, l'Uganda, il Marocco e lo Zambia.

Naturalmente quando si parla di pena di morte bisogna essere chiari. Non si tratta di proteggere o solidarizzare con chi ha commesso crimini a volte efferati, ma di stabilire il principio che nessuno, nemmeno chi giudica, ha diritto di disporre della vita di un altro individuo. Questo non significa che la pena (detenzione) non debba essere certa.
Lottare contro la pena di morte significa però anche proteggere (in questo caso sì) chi è condannato in modo sbrigativo e arbitrario alla pena di morte senza aver commesso in realtà crimini. E' il caso delle adultere, degli omosessuali, degli oppositori politici o dei "diversi etnicamente" che in alcuni paesi del mondo ancora vengono perseguitati e giustiziati.


martedì 9 ottobre 2012

Baba Sissoko, una voce griot

Baba Sissoko è un polistrumentista del Mali, nato a Bamako l'8 marzo 1963. Discendete da una famiglia di griot, poeti, musicisti e cantastorie a cui è affidato tradizionalmente il compito di tramandare la cultura orale nelle popolazioni dell'Africa Occidentale, in particolare all'interno delle etnie mandinka, bambara e fulana.
Oggi rappresenta una delle massime espressioni  della musica tradizionale maliana che si è fusa nell'ambito della ricerca jazz. La sua avventura musicale inizia in ambito familiare, quando impara a suonare il tamani (chiamato tamburo parlante) un tamburo che viene tenuto sotto l'ascella e percosso con un un'unica bacchetta ricurva. Il braccio comprime le corde che tendono la membrana del tamburo, alterando la tonalità del suono. Si ottengono suoni che ricordano appunto la voce umana. Con il tamani Baba Sissoko accompagna i griot durante le celebrazioni rituali. Nel 1985 è in tournè con l'orchesta Instrumental Ensamble of  Mali con cui collabora fino al 1990. Impara a suonare anche altri strumenti della tradizione dell'Africa occidentale come lo ngoni (ritenuto da molti un antico parente del banjo), il kamalengoni, il balafon, il calabasse e il sildrum.
Nel 1991 fonda il gruppo Taman Kan che ancora oggi l'accompagna nelle sue turnè. E' del 1995 il suo primo album intitolato appunto Taman Kan.


Fin dal 1999 Baba Sissoko frequenta molto l'Italia, ed in particolare la Calabria dove stabilisce anche la residenza della sua famiglia tra un tour e un'altro. La sua attività su sviluppa da una parte sulla ricerca delle tradizioni e degli strumenti musicali ad essa collegata e dall'altra alle collaborazioni con grandi personaggi della musica africana e mondiale tra cui Youssur N'Dour, Rokia Traorè, l'Art Ensamble of Chicago, Santana e Buena Vista Social Club, tanto per citare i nomi più noti.  Tra le collaborazioni particolarmente produttive è stata senz'altro quella con la cantante Dee Dee Bridgewater. A partire dal 2003, Sissoko accompagna la cantante durante una ricerca musicale in Africa e in particolare in Mali, successivamente è con lei in un tour mondiale e per cui scrive il brano Dee Dee.

Oggi è sicuramente un apprezzato musicista, capace di coniugare la musica con il racconto dell'esperienza dei griot, che lo spinge ad affermare che tutta la musica nera da noi conosciuta (il jazz, il blues e il soul) traggono origine da queste tradizioni portate oltre oceano dagli schiavi.

Il suo ultimo lavoro, del 2012, è con un gruppo di strumentisti, proveniente da ogni parte dell'Africa chiamato African Griot Groove.

Ecco il sito ufficiale di Baba Sissoko

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giovedì 4 ottobre 2012

Fronte di Liberazione del Mozambico -Frelimo (1962)

Il logo originario del Frelimo
Il Fronte di Liberazione del Mozambico (Frente de Libertacao de Mocambique) - FRELIMO - nasce il 25 giugno 1962 come movimento indipendentista e di ispirazione socialista, dalla fusione di tre gruppi nazionalisti minori (MANU, UDENAMO e UNAMI). A guidare la nuova formazione, che ha la sua sede, a partire dal 1963, a Dar el Salam in Tanzania,  è chiamato l'antropologo Eduardo Modlane, docente alla Syracuse University di New York.
Modlane, di etnia Tsonga, dopo aver lavorato come pastore ed aver studiato nell'Africa dell'Est Portoghese (oggi Mozambico), si trasferì in Sudafrica, da dove fu espulso a causa dell'apartheid nel 1949. Dopo un breve periodo in Portogallo si trasferì negli Stati Uniti dove continuò gli studi e si laureò in Antropologia. Negli Stati Uniti si sposò, nel 1956, con la bianca Janet Rea Johnson, con cui avrà tre figli. Janet parteciperà attivamente alla causa del Frelimo, anche dopo la morte di Modlane.
La necessità di far nascer un nuovo movimento fu dettata dalla consapevolezza che lo scontro doveva trasferirsi sul piano della lotta armata, infatti nel settembre 1964 il Frelimo lanciò il primo attacco contro i portoghesi a partire dal nord del paese. Da subito il Frelimo potè contare sull'appoggio dell'Unione Sovietica, della Cina, di alcuni paesi dell'area scandinava e da parte della sinistra Italiana (in particolare il Frelimo intrattenne straordinari rapporti con la città di Reggio Emilia). Il Frelimo strinse subito solidi legami con le altre formazioni politiche africane in lotta contro i portoghesi: l'MPLA in Angola e il PAIGCV in Guinea Bissau.
Nel luglio 1968 il II Congresso del partito aderì all'ideologia socialista.
Il 23 febbraio 1969, a Modlane verrà recapitato un libro, al cui interno era contenuta una bomba. Morirà dilaniato dall'esplosione.
Samora Machel con la moglie Graca
Il partito sarà retto da un triunvirato composto dall'infermiere Samora Machel, dal poeta Marcelino Dos Santos e dal ministro presbiteriano Uria Simango. Simango, già vicepresidente del Frelimo, successe di fatto alla morte di Modlane, ma già in aprile 1969 la sua leadership fu messa in discussione dall'ala più spiccatamente marxista del partito e di fatto affiancanto alla presidenza. Nel novembre 1969 fu espulso dal partito e si rifugiò in Egitto dove assieme ad altri fuoriusciti, come Paulo Guramo, fondò il COREMO (una piccola formazione). Simago rientrò in Mozambico nel 1974 e formando una nuova formazione politica (PCN - National Coalition Party) tentò di contestare il ruolo del Frelimo. Incarcerato pochi giorni prima dell'indipendenza, "costretto" a confessare complotti, fu giustiziato tra il 1977 e il 1980, assieme ad altri dissidenti. A prendere in mano il partito fu dunque Samora Machel che nell'aprile 1974 guidò il Frelimo alla presa di Maputo (anche a seguito della dissoluzione della dittatura portoghese con la Rivoluzione dei Garofani) e il 25 giugno 1975 divenne Presidente del Mozambico indipendente.
Con l'indipendenza scoppiò di fatto la guerra civile, perchè la RENAMO (Resistencia Nacional Mocambicana), gruppo fondato in vista dell'indipendenza nel marzo 1974 da un fuoriuscito del Frelimo, Andrè Matsangaissa, sostenuto della Rhodesia in chiave anti-comunista, iniziò l'azione di guerriglia contro il governo.
Sin da subito l'azione della Renamo - che pur contava mediamente di oltre 20 mila combattenti -  fu caratterizzata da un'esagerata violenza, da nessun appoggio delle masse popolari e dal mancato riconoscimento internazionale (perfino gli Stati Uniti riconobbero la legittimità del Frelimo). La sua presenza, e il suo sostegno, erano dettate più da questioni locali (appoggio del Sudafrica e della Rhodesia) e da interessi dei servizi segreti in chiave anticomunista, che da reali questioni politiche o geopolitiche.
Nel febbraio 1977, il III Congresso del Partito abbracciò l'ideologia marxista-leninista.

Il 19 ottobre 1986, mentre il Tupolev TU-134 di Machel rientrava dallo Zambia, cadde al confine tra lo Swaziland e il Sudafrica. Nonostante non vi furono mai prove certe, le colpe ricaddero sui servizi segreti sudafricani, che volevano punire chi ospitava gli uomini dell'African National Congress (ANC) (nonostante la firma di un accordo nel 1984). Nemmeno la Commissione di Verità e Riconciliazione, voluta da Nelson Mandela all'indomani della sua elezione a Presidente del Sudafrica riuscì a stabilire con precisione le cause. Per la cronaca, la vedova di Samora Machel, Graca Machel nel 1998 ha sposato Nelson Mandela, divenendo l'unica donna al mondo ad essere stata first-lady di due paesi. A Samora successe Joachim Chissano (già Ministro degli Esteri, fu presidente del paese fino al 2005).
Nel 1989, il V° Congresso del Partito, ripudierà l'ideologia marxista-leninista e il 30 novembre 1990, la nuova Costituzione abolirà il ruolo del Frelimo come partito unico.
Nel 1990 grazie al lavoro incessante della Comunità di Sant'Egidio (l'ONU di Trastevere come fu in seguito chiamata) e alle mutate situazione internazionali (caduta del muro di Berlino, fine della guerra fredda, collasso del sistema razziale in Sudafrica e fine dei finanziamenti militari americani nell'area) iniziarono i colloqui di pace tra Frelimo e Renamo, che il 4 ottobre 1992 portaro alla fine della lunga guerra civile (quasi 18 anni).
La pace in Mozambico è stata un successo delle diplomazia, ma anche la dimostrazione che senza grandi interessi economici in gioco, le distanze sono minori e più facilmente conciliabili.

Alle prime elezioni dell'ottobre 1994 il Frelimo vinse con il 44,3% dei voti. La Renamo sorprendentemente raggiunse il 37,7%. Chissano fu confermato presidente con il 53% dei voti. Le elezioni a cui parteciparano l'87,7% degli aventi diritto, si svolsero in modo sereno e corretto.
Il 3-5 dicembre 1999 il Mozambico votò per la seconda volta nella sua storia e nuovamente vince il Frelimo con il 48,5%, contro il 38,8% della Ranamo e il 2,7% del Partito laburista. Chissano è ancora rieletto con il 52,3% contro Aberrahmane Tlili che ottiene il 47,7%.
Nel dicembre 2004 si rivotò, ma Chissano annunciò la sua non volontà di ricandidarsi (cosa quasi unica la mondo) e il Frelimo presentò Armando Guebuza, nel Frelimo dal 1963, rappresentante alla firma degli accordi di Pace di Roma, divenuto poi un industriale, che venne eletto con il 62% dei voti contro il 29,73% della Renamo. il candidato della Renamo Afonso Dhlakawa (31,7%). Il Frelimo ottenne il 63,7% dei voti, contro Nel febbraio 2005, Armando Guebuza divenne il terzo presidente del Mozambico.
Le ultime elezioni si sono tenute il 28 ottobre 2009, quando Guebuza è stato riconfermato con il 75,1% dei voti, mentre il Frelimo ha ottenuto il 75,76% dei voti contro la Renamo che si ferma al 17,7%. Vi è da dire che a votare fu solo il 44% degli aventi diritto.
Dal 23 al 28 settembre scorso si è svolto il X° Congresso del partito in occasione del 50° anniversario della sua fondazione.

La lotta di liberazione del Mozambico ha dato speranza ad un popolo. La lunga guerra civile, ha impoverito un paese, che contrariamente ad altri, non gode di grandi ricchezze del sottosuolo. Vent'anni di pace non hanno ancora garantito il miglioramento generale della vita quotidiana. Il Mozambico resta uno dei paesi più poveri dell'Africa.

Vi linko, per eventuali approfondimenti, a questo quadro storico scritto da Antonella Cervelli, del Dipartimento di Storia di Firenze.

Ecco il sito ufficiale del Frelimo

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