foto Reuters, dalla rete |
La tensione in Egitto cresce di ora in ora. Le cancellerie di mezzo mondo timidamente invitano alla calma e al dialogo, così come le autorità egiziane, mentre il Paese rischia di addentrarsi in una spirale di violenza, senza via d'uscita. Ufficialmente i punti che hanno portato la gente (non la stessa che aveva defenestrato il regime di Mubarak) in piazza sono due: un decreto varato il 22 novembre scorso in cui si accrescono in modo esagerato i poteri del Presidente e che già molti hanno bollato come "colpo di stato istituzionale" (si veda questo articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera) e una bozza di Costituzione, che sarà sottoposta a referendum popolare il 15 dicembre prossimo e che secondo molti ha un'impostazione eccessivamente "religiosa". In realtà leggendola, non mi pare così male e comunque molto, molto più evoluta di quella che fino a ieri era in vigore in Egitto, senza destare grandi proteste in occidente.
In realtà, dietro alle dichiarazioni dei manifestanti, sia quelli che sostengono il Presidente Morsi (eletto solo pochi mesi fa) sia quelli che protestano contro le decisioni del suo governo (che sono circa una ventina di movimenti di opposizione che si riuniscono nel Fronte di Salvezza Nazionale e che hanno nominato come coordinatore l'ex direttore dell'Agenzia ONU per l'Energia, Al Baradei), si nascondono questioni più complesse e forse non tutte interne all'Egitto.
La prima questione è relativa alla stessa natura dell'islam al potere. Siamo onesti: chi aveva visto nel diffondersi di quella che è stata definita la "primavera araba" una forte democratizzazione di stile occidentale e laico è stato fortemente deluso. Le società arabe hanno un forte legame con l'islam che, non dimentichiamolo, durante i lunghi anni delle dittature, appoggiate senza se e e senza ma dall'Occidente, ha saputo stare dalla parte del popolo e delle tradizioni, ovvero con quella fascia di popolazione più debole e meno disposta ad "occidentalizzarsi". Questi movimenti - i Fratelli Mussulmani sono tra questi - spesso repressi, hanno raccolto oggi quel consenso accumulato negli anni (l'esperienza delle elezioni in Egitto insegna).
La seconda questione è legata a quella che è "la madre" di tutti i problemi del Medio-Oriente, ovvero la questione israelo-palestinese. L'Egitto di Morsi e dei Fratelli Mussulmani ha decisamente un atteggiamento diverso nei confronti dei movimenti palestinesi e in particolare di Hamas. Del resto vi è una comune matrice e una condivisione diversa delle instanze di quella striscia di terra martoriata da decenni. I fatti accaduti recentemente nei Territori Palestinesi e in seno alle Nazioni Unite confermano pienamente questo diverso atteggiamento egiziano, che a molti non piace, mentre altri, forse in modo pragmatico (Stati Uniti in testa), vedono come una possibilità per scardinare antiche e forse oggi scomode alleanze di ferro.
Certo è che senza nessun passo aventi in Palestina nulla può evolvere positivamente in tutta l'area Medio-Orientale.
Inutile sottolineare ancora che chi ha pensato che l'effetto delle "rivoluzioni arabe" poteva servire a contenere l'islam, non solo si sbagliava di grosso, ma è stato smentito dai fatti. Chi credeva che era possibile "esportare" in questi paesi la democrazia occidentale (oggi, diciamolo chiaramente, in forte crisi ideologica) ha dovuto fare i conti con il modo in cui erano vissuti (o sopravvissuti) interi paesi tenuti sotto una cappa contenitiva fatta di repressione, ideologia e alleanze interessate e spesso di tipo neo-coloniali.
I disordini di questi giorni in Egitto è frutto di una contrapposizione forte tra un governo legittimamente eletto che intraprende azioni assolutamente non condivisibili e un'opposizione pienamente legittimata a protestare, scioperare e chiedere l'annullamento del decreto. Questo scontro si salda con chi ha tutto l'interesse a destabilizzare il paese, con i nostalgici di Mubarak (vi era un fattore non trascurabile legato al controllo dell'economia, la cui buona parte era in mano ai militari) e con chi per anni è rimasto in silenzio.
Dalla nostra parte si legge il conflitto con occhi non imparziali, dettati forse da una presunta superiorità culturale (qualcuno dovrà spiegare il significato di occidentalizzazione della società), da una paura, forse costruita ad arte, verso l'islam (ancora oggi qualcuno vuol far credere che la sharia equivalga alla legge della tagliola) e verso un nuovo assetto, diverso dai nostri desideri, in Medio Oriente.
Speriamo che il popolo egiziano, sappia trovare la propria strada.
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