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venerdì 18 gennaio 2013

Il Mali, e il Nord Africa, che esplodono.

Solo due anni fa, il mondo fu trovato impreparato da quella che poi è stata definita la Primavera Araba. Giovani e donne in particolare, a partire dalla Tunisia, misero in ginocchio vecchi e corrotti regimi, alleati dell'Europa e non solo, e decretarono la fine di un sistema che aveva retto per oltre 30 anni. Assieme a loro ripresero forza gruppi ben organizzati, di matrice islamica, che per anni erano stati tenuti a bada, spesso con la forza, nella logica di un patto scellerato tra governanti e potenze straniere. In cambio della repressione e del contenimento di tutto ciò che aveva a che fare con l'islam (il cattivo, ma anche il buono) si garantiva la sopravvivenza di regimi che delapidavano i patrimoni derivanti dalle risorse (petrolio, gas, minerali) affamando la maggioranza della popolazione.
Questa apparente calma, che in realtà era la chiusura di un coperchio su di una pentola a pressione in ebollizione, esplode ora con tutte le sue pericolose contraddizioni.

I gruppi islamici - anche quelli estremisti - sono stati usati nel passato, come lo sono ancora oggi, all'occorrenza. Armati fino ai denti, quando dovevano destituire (e uccidere) lo scomodo Gheddafi o appoggiati quando ancora oggi lottano in prima fila contro il regime di Assad in Siria. Insomma, le geometrie delle alleanze, quelle scomode, sono variabili e, quasi mai, rispecchiano i canoni e le politiche che alla luce del sole si professano nei palazzi dei governi. Osama bin Laden fu usato contro i sovietici e non solo, prima di diventare il nemico giurato.

Quello che succederà nel futuro è difficile da pronosticare. Dalle macerie della guerra di Libia, oggi si raccolgono solo veleni. Finita la fase militare (che ha lasciato sul campo armi di tutti i tipi e ha fatto riversare in Mali e in Algeria i gruppi filo-Gheddafi sconfitti, ma anche dei vincitori oggi non graditi in Libia) è mancata, e manca tutt'oggi, quella politica. Raggiunto lo scopo della riapertura dei gasdotti (e della fine dello sterminio della popolazione civile), vitali per l'Europa, l'impegno è venuto meno.
In Mali si è aspettato quasi un anno, dalla fine della guerra della Libia e dal successivo colpo di stato a Bamako, per decidere di fare qualcosa. Si è aspettato che i vari gruppi si organizzassero e stringessero alleanze malsane. 
Il territorio dell'Azawad, il nord del Mali, è conteso da decenni, ed ha sempre rappresentato "uno stato nello stato" o meglio la periferia dell'impero. E' dal 6 aprile 2012 che l'Azawad ha proclamato unilateralmente l'indipendenza.
Da anni infatti il Movimento di Liberazione dell'Azawad (MNLA), composto soprattutto da tuareg di tendenza laica o moderata nato nel 1990, lotta per l'indipendenza (per la cronaca nel 2006 nell'area è stato scoperto il petrolio). L'isolamento e la miopia politica, non solo dei francesi (da sempre veri "padroni" dell'area), hanno portato l'MNLA ad allearsi con i gruppi islamici (più potenti militarmente e organizzativamente) con obiettivi che solo parzialmente convergevano e che già oggi sono diversi. L'MNLA ha tra i sui programmi la lotta all'estremismo islamico.
Con l'iniziativa militare francese nel nord del Mali (almeno si poteva coinvolgere qualche africano!), ufficialmente contro il terrorismo, si colpiscono anche, e soprattutto, i gruppi indipendentisti spingendoli nuovamente, e pericolosamente nelle braccia dei jihadisti.
Il primo risultato dell'attacco armato è stato la ritorsione in territorio algerino (l'Algeria è ritenuta colpevole di aver concesso lo spazio aereo alla Francia) con l'attacco agli impianti petroliferi ai confini con la Libia, che ha già causato oltre 40 morti.

La sensazione è che dietro alla lotta al terrorismo, che oramai da anni è diventata l'etichetta da attaccare per giustificare qualsiasi azione militare nel mondo, si nascondano strategie e obiettivi, meno nobili e più legati ad interessi strategici ed economici. Tali motivazioni renderebbero più comprensibili (non giustificabili) alcune scelte del passato e del presente, che altrimenti risulterebbero dei gravissimi e banali errori di strategia che poco si adattano a paesi che avrebbero il compito di guidare il mondo.

Infine, vale la pena ricordare, senza distrarre troppo dalle questioni militari, tanto care ai quotidiani del mondo intero, che nei luoghi in cui oggi i militari francesi combattono, il Sahel, è in corso una delle più gravi carestie della storia, dove oltre 18 milioni di persone (di cui un milione di bambini) rischiano di non arrivare a fine anno (Sancara ne ha parlato anche recentemente a supporto della campagna "La carestia non è una dieta" promossa dalla LVIA).

2 commenti:

tubabù ha detto...

Non credo proprio che ci sia "una delle più gravi carestie della storia".
Le piogge sono state più che abbondanti ed i raccolti abbastanza buoni. Il miglio tardivo ad ottobre già era alto circa un metro a sud di NDjamena ed a est verso Ati. In più oltre ai raccolti più che soddisfacenti, a detta di tutti gli abitanti, il PAM a distribuito a Ati quasi 4.000 tonnellate di cereali...e su, andiamo.
LVIA deve mostrare dati e non soltanto: al lupo!!!!
Roberto Aiello, proveniente poco fa dal Ciad dopo due anni di lavoro.

Gianfranco Della Valle ha detto...

Naturalmente non credo che la LVIA debba giustificare nulla. La crisi del Sahel (e la sua gravità) è cosa nota. Lo confermano le agezie internazionali (http://www.fao.org/crisis/sahel/the-sahel-crisis/2012-crisis-in-the-sahel-region/en/). Poi che la situazione in Ciad sia diversa (La LVIA opera in Burkina Faso) e più rassicurante non vi sono dubbi (le tue osservazioni fanno fede). Resta il fatto che il Sahel nel 2012 ha vissuto una drammatica crisi alimentare (su cui sono intervenute le agenzie internazionali e el ONG), che aggrava una situazione che in alcuni paesi è già molto complessa.
Grazie dell'intervento.
Gianfranco Della Valle, Sancara

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