La storia del Grande Hotel de Beira è senz'altro singolare e forse emblematica di alcune realtà africane. Negli anni '50 il Mozambico era una colonia portoghese e Beira la sua seconda città per grandezza. Importante porto commerciale (ancora oggi serve i paesi limitrofi senza sbocco al mare come il Malawi, lo Zambia e lo Zimbabwe con cui è collegata da una ferrovia e da un oleodotto). La Companhia de Mocambique, guidata da Artur Brandao, concessionaria per conto del Portogallo del territorio, decise di costruire un lussuoso albergo a Beira.
foto dalla rete |
Nel 1954 fu inaugurato, proprio sulla costa, il lussuosissimo Hotel (sicuramente il più lussuoso, al tempo, di tutta l'Africa Orientale, in stile art decò). L'albergo aveva 116 camere finemente arredate, una piscina olimpionica e un enorme giardino sul retro. Era costato 3 volte il budget preventivato.
Solo 9 anni dopo, nel 1963, l'albergo chiuse (troppo alti erano i costi di gestione e fino ad allora aveva attratto soprattutto la classe media bianca del vicino Zimbabwe). Restò chiuso, salvo qualche rispolvero alla fine degli anni '60 in occasione della visita del membri del Congresso americano o nel 1971 in occasione del matrimonio della figlia di un Ministro.
Inoltre restò aperta la piscina, al pubblico e alla squadra olimpica di nuoto del Mozambico, per alcuni anni.
Già alla fine della guerra di liberazione, l'Hotel divenne il quartier generale degli uomini del Frelimo e successivamente, dopo l'indipendenza (1975), mantenne questo ruolo aggiungendo quello di prigione (nei suoi sotterranei) e di campo profughi per uomini e donne in fuga dalla guerra civile. Per poter sopravvivere si iniziarono a vendere mobili, infissi, piastrelle, sanitari. L'albergo fu completamente spogliato, ma la popolazione all'interno cresceva, fino agli attuali 3000 occupanti.
foto dalla rete |
Dopo la fine della guerra civile (1992), l'albergo continuò a popolarsi (i militari mantennero il controllo degli "affitti" fino agli anni 2000, quando divenne proprietà del governo).
Oggi nell'albergo, oramai ridotto ad uno scheletro, vive una comunità di profughi (e ex tali) che ha anche stabilito una sorta di autogoverno, al fine di limitare le violenze e l'anarchia interna. Vi è un consiglio che decide le questioni comuni, vi è una vigilanza volontaria e vi sono delle regole di convivenza. E' stata organizzata una scuola, un laboratorio di sartoria e perfino un cineforum.
Certo stiamo parlando di una comunità di disperati.
la ex-piscina, foto della rete |
L'albergo ha attirato recentemente l'attenzione del mondo intero. Per la sua gestione, per l'impatto fotografico che esso ha, per una certa voglia di raccontare le sorti dei poveri del pianeta. Il fotografo spagnolo Hector Mediaville ne ha ricavato stupende immagini e un documentario nel 2012, la regista belga Lotte Stoops nel 2010 ne ha ricavato uno splendido documentario, mentre il giornalista Sebastian Perez ne ha ricavato una puntata del suo programma "L'arte di arrangiarsi".
Nella rete è possibile trovare numerose immagini.
L'albergo è ufficialmente in demolizione, sebbene nessuno ha ancora trovato una soluzione per i suoi occupanti. Le condizioni strutturali sono molto precarie, così come quelle igieniche.
E' una storia altamente simbolica che racchiude le follie del lusso di un'epoca coloniale e la decadenza che essa ha inevitabilmente prodotto, il dramma della guerra e dei profughi, la tristezza della povertà estrema e della precarietà della vita.
Certo anche quella capacità di arrangiarsi, quello spirito di adattamento anche a situazioni difficili, che in Africa è molto comune e che si declina nella straordinaria allegria dei suoi popoli.
Ecco il link su alcune foto del fotografo Hector Mediaville
Ecco il link con il trailer del documentario di Lotte Stoops
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