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giovedì 10 ottobre 2013

La merce umana

Sono 302 i morti accertati del naufragio a Lampedusa. Essi si aggiungono agli altri 19.142 che, dal 1988 a oggi, hanno perso la vita nei mari che circondano la nostra penisola. Un numero impressionante, un disastro che periodicamente si ripete, scatenando le ire di molti e smuovendo le coscienze addormentate di tanti, per poi essere dimenticato e tornare ad essere un fatto di pochi. Lo scrivevo nel mio post, già giorni addietro.

foto dalla rete
Gli uomini sono sempre stati merce. Gli africani ancora più di altri, una merce pregiata. Quasi 20 milioni furono portati con le catene nel nuovo continente. Schiavi che hanno permesso lo sviluppo economico e la ricchezza a chi li trasportava e a chi li usava.

Oggi sono merce pregiata per chi organizza questa ignobile tratta. Dal Corno d'Africa, dove massiccia è la miseria e quindi la necessità di fuggire, alla Libia  e infine alle coste italiane, il percorso è lungo e quanto più severe sono le leggi di contenimento dell'immigrazione (e quindi la possibilità di giungere nei paesi) tanto maggiori sono i guadagni. Si chiama mercato. illegale, ma pur sempre mercato.

Una storia che si ripete. La tratta degli schiavi ha contribuito alla nostra ricchezza, la tratta di esseri umani (sia quelli ai fini migratori, si quelli sfruttati per lavoro, prostituzione e commercio di organi) arricchisce un'altra parte del mondo, spesso gli stessi che commericano altre prelibatezze di questo pianeta (droga, armi e esseri umani) Differenze? Se fossimo onesti, no.
Su questo tema, quello della filiera della tratta e delle atroci peripezie di questi disperati torna oggi anche Raffaele Mastro nel suo blog Buongiorno Africa.

Con sdegno e disapprovazione ho letto commenti e perfino battute, non solo tra esponenti politici (molti dei quali hanno enormi responsabilità in quello che è successo e che succederà) anche tra amici virtuali che mi hanno addolorato. Come se i disperati del pianeta (perchè di questi che stiamo parlando) avessero colpa della loro povertà, della loro precarietà o delle guerre in corso, da decenni, nei loro paesi. Come se imbarcarsi con i propri figli piccoli (dopo aver fatto un viaggio di 4000 chilometri in balia di criminali) alla ricerca (o forse solo nella speranza) di una vita migliore, sia un reato.

Il vero reato è pensare che emigrare sia un reato. Che essere sfruttati sia una colpa. Oppure che tutti quelli che sbarcano siano criminali. Oppure gridare all'invasione quando dei 332 mila profughi giunti in Europa nel 2012 sono 13 mila quelli giunti sulle coste italiane! Numeri sicuramente gestibili.

Vi è qualcuno che da anni getta benzina sul fuoco creando allarmismi e inutili paure. Queste persone hanno una responsabilità enorme, loro si che devono avere sulla coscienza queste morti. Questi esseri umani, dopo aver passati di mano in mano di criminali, giungono in Europa (di cui alcuni hanno solo sentito parlare) per essere sbattuti per mesi in un centro di identificazione indegno per qualsiasi paese.

Ma è questa l'Europa per cui i nostri nonni e i nostri padri hanno combattuto? Quell'Europa che è stata culla del sapere, della cultura e dell'arte. Che ha saputo favorire il benessere della sua gente. E' questo il mondo che vogliamo, dove il rispetto per gli altri avviene solo quando vediamo una fila di bare in bell'ordine?

Leggete il reportage di Fabrizio Gatti su questi uomini in fuga

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