E' grazie alla casa editrice Il Canneto di Genova, che questa toccante testimonianza si può leggere anche in italiano. Il libro, scritto dal protagonista della vicenda, Paul Rusesabagina (assieme al gionalista Tom Zoellner), è stato pubblicato nel 2006, ma solo nel 2013 tradotto in italiano.
Hotel Rwanda è la storia vera di Paul Rusesabagina, un ruandese, direttore d'albergo per conto della Sabena (allora compagnia aerea di bandiera belga), che durante i giorni del genocidio ruandese salvò oltre 1200 persone dalla carneficina.
Il libro è una testimonianza, accurata e commovente, non solo di quei terribili 100 giorni, all'interno dell'Hotel Mille Collines, mentre all'esterno aveva luogo una vera e propria mattanza che porterà alla morte di oltre 800 mila ruandesi, ma di tutto ciò che avvenne prima e dopo. Rusesabagina ci conduce in un viaggio attraverso "il suo amato paese", un percorso storico visto da un cittadino attento e curioso, che descrive le bellezze, non solo paesaggistiche, di quella terra che per decenni fu chiamata la "Svizzera d'Africa". Le tradizioni e i costumi di un popolo meraviglioso e operoso. Ma, al tempo stesso, quello di Rusesabagina, è un atto di accusa contro chi ha creato e sostenuto la rivalità tra tutsi e hutu (il colonialismo europeo), contro chi ha visto preparare e pianificare il genocidio nel silenzio, contro chi ha tollerato che un'emittente radio incitasse a "schiacciare i scarafaggi", contro chi poteva intervenire e non l'ha fatto (Nazioni Unite e Stati Uniti) e perfino contro chi, dopo, ha gestito il potere e ha condotto le indagini contro i criminali (molti dei quali ancora impuniti).
Il tratto sconvolgente del racconto è appunto quello dei segnali evidenti, già mesi prima, che qualcosa stava succedendo (l'incitazione all'odio che giungeva dall'etere, l'arrivo di forniture straordinarie ed insolite di machete, la nascita di milizie di autodifesa, il doppio gioco dei francesi), tanto che Rusesabagina scrive " ho detto che quei primi mesi del 1994 furono come guardare al rallentatore una macchina che a tutta velocità puntava contro un bambino".
Inizia, con l'assassinio del presidente Habyarimana (abbattuto sul suo aereo il 6 aprile 1994) il massacro. La comunità internazionale ignora qualsiasi richiesta di aiuto (all'inizio sarebbe bastato poco per fermare la carneficina), perfino quando giunge dal capo missione militare ONU, il generale canadese Romeo Dallaire. Anzi, le Nazioni Unite (su ordine del capo missione diplomatico, l'africano Kofi Annan) ridussero il contingente e restarono semplicemente a guardare.
Oramai sappiamo tutti cosa successe poi.
Rusesabagina usò le uniche cose che aveva per impedire che il suo albergo, dove si erano rifugiate oltre 1200 persone, venisse attaccato. La parola in primo luogo. Parlava con tutti: con i giovani miliziani armati di machete, con i militari ruandesi, con i generali che davano ordini, con i politici che proteggevano gli assassini, con le forze di pace inermi, con gli uffici della Sabena e perfino con la Casa Bianca. Sfruttava un'agendina di nomi e contatti, frutto di anni di lavoro, nell'albergo di lusso della capitale del Ruanda.
Sfruttò bottiglie di vino e di liquori contenuti nelle stanza segrete dell'albergo e i soldi che erano rimasti.
Una strategia atta a cercare il punto debole dell'avversario, davanti ad un bicchiere di cognac. Anche con quello, che era, per sua ammissione, arrivato per uccidere tutti.
Paul Rusesabagina è stato per molti un eroe. Lo è stato sicuramente per gli ospiti improvvisati dell'albergo, che gli devono la vita.
Un eroe che ha poi pagato il suo tributo, costretto ad abbandonare un paese che amava e in cui non credeva più.
E' un libro che vi invito a leggere, per comprendere parti nascoste e inesplorate dell'animo umano, per assaporare il gusto di un paese prima di essere dilaniato dall'odio, per capire come è stato possibile uccidere con il machete 8 persone al minuto per 100 giorni, sotto gli occhi del mondo intero.
Sulla storia di Rusesabagina e del suo Hotel, è stato anche girato, nel 2004, un film, Hotel Rwanda, che egli ha definito una fedele ricostruzione al netto di alcune "infiorettature drammatiche".
Vi segnalo anche, che come spesso accade, la figura di Paul Rusesabagina è stata anche criticata. Vi sono alcune fonti che sostengono che si sia inventato molte cose e che abbia approfittato della sua situazione. Alcune di queste fonti sono vicine all'attuale governo ruandese.
Il tratto sconvolgente del racconto è appunto quello dei segnali evidenti, già mesi prima, che qualcosa stava succedendo (l'incitazione all'odio che giungeva dall'etere, l'arrivo di forniture straordinarie ed insolite di machete, la nascita di milizie di autodifesa, il doppio gioco dei francesi), tanto che Rusesabagina scrive " ho detto che quei primi mesi del 1994 furono come guardare al rallentatore una macchina che a tutta velocità puntava contro un bambino".
Inizia, con l'assassinio del presidente Habyarimana (abbattuto sul suo aereo il 6 aprile 1994) il massacro. La comunità internazionale ignora qualsiasi richiesta di aiuto (all'inizio sarebbe bastato poco per fermare la carneficina), perfino quando giunge dal capo missione militare ONU, il generale canadese Romeo Dallaire. Anzi, le Nazioni Unite (su ordine del capo missione diplomatico, l'africano Kofi Annan) ridussero il contingente e restarono semplicemente a guardare.
Oramai sappiamo tutti cosa successe poi.
Rusesabagina usò le uniche cose che aveva per impedire che il suo albergo, dove si erano rifugiate oltre 1200 persone, venisse attaccato. La parola in primo luogo. Parlava con tutti: con i giovani miliziani armati di machete, con i militari ruandesi, con i generali che davano ordini, con i politici che proteggevano gli assassini, con le forze di pace inermi, con gli uffici della Sabena e perfino con la Casa Bianca. Sfruttava un'agendina di nomi e contatti, frutto di anni di lavoro, nell'albergo di lusso della capitale del Ruanda.
Sfruttò bottiglie di vino e di liquori contenuti nelle stanza segrete dell'albergo e i soldi che erano rimasti.
Una strategia atta a cercare il punto debole dell'avversario, davanti ad un bicchiere di cognac. Anche con quello, che era, per sua ammissione, arrivato per uccidere tutti.
Paul Rusesabagina è stato per molti un eroe. Lo è stato sicuramente per gli ospiti improvvisati dell'albergo, che gli devono la vita.
Un eroe che ha poi pagato il suo tributo, costretto ad abbandonare un paese che amava e in cui non credeva più.
E' un libro che vi invito a leggere, per comprendere parti nascoste e inesplorate dell'animo umano, per assaporare il gusto di un paese prima di essere dilaniato dall'odio, per capire come è stato possibile uccidere con il machete 8 persone al minuto per 100 giorni, sotto gli occhi del mondo intero.
Sulla storia di Rusesabagina e del suo Hotel, è stato anche girato, nel 2004, un film, Hotel Rwanda, che egli ha definito una fedele ricostruzione al netto di alcune "infiorettature drammatiche".
Vi segnalo anche, che come spesso accade, la figura di Paul Rusesabagina è stata anche criticata. Vi sono alcune fonti che sostengono che si sia inventato molte cose e che abbia approfittato della sua situazione. Alcune di queste fonti sono vicine all'attuale governo ruandese.
Sulle indagini avviate dal Tribunale Internazionale vi segnalo questo grande contributo di Silvana Arbia, nel suo libro (2011) dal titolo eloquente "Mentre il mondo stava a guardare".
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