Con questo slogan, Bring Back Our Girls, le madri (e i padri) delle circa 300 ragazze rapite in Nigeria da settimane protestano, chiedendo l'intervento del governo e della comunità internazionale. La notte tra il 14 e il 15 aprile, un gruppo armato, vestiti dal militari dell'esercito regolare, sequestra un numero imprecisato di ragazze, tra i 15 e 18 anni, dal dormitorio scolastico della città di Chibok. Le caricano su di un camion e partono. Alcune ragazze durante una sosta riescono a fuggire.
foto dalla rete |
Indiziati sono il gruppo estremista islamico di Boko Haram (letteralmente "l'educazione occidentale è falsa"), che dal 2010 (sebbene è nato tra il 2001 e il 2002) contribuisce, con attentati e violenze, a fomentare l'odio tra gruppi religiosi ed etnici in Nigeria.
L'ipotesi più probabile è che le ragazze siano state "sequestrate" per essere usate a modi schiave (sessuali e non) dagli stessi guerriglieri. Altre ipotesi vanno dalla vendita ai fini matrimoniali al di fuori della Nigeria fino alla tratta della prostituzione verso l'Europa.
Le accuse dei parenti vanno al governo Nigeriano, che ha prima dato per risolto il caso, poi ha ammesso che alcune ragazze erano ancora nelle mani di Boko Haram, fino all'ammissione di non sapere dove rintracciare, pare 234, ragazze.
I fatti, come spesso accade in Africa, sono coperti da mistero e non sempre raccontati correttamente. Si parla di cifre (pochi euro) per cui sono state vendute le ragazze oppure di scelta degli estremisti di colpire le studentesse per rafforzare il loro credo per cui le donne "sono esseri inferiori" che devono essere a disposizione degli uomini e non studiare.
Non sarebbe la prima volta che gruppi di guerriglieri, di qualsiasi colore o credo, rapiscono donne per farne oggetto dei loro appetiti sessuali. La storia, fin dall'antichità, è piena di questi ignobili gesti, giustificati dalla vita in continuo spostamento e in fuga degli uomini di guerra. In Africa i racconti in Sierra Leone, in Uganda, in Liberia come in Angola o nell'ex-Zaire, sono intrisi del sangue versato da giovani donne.
E' di oggi la notizia che la giovane attivista pakistana Malala, presa di mira dai talebani, diventata il simbolo della lotta delle donne e delle bambine islamiche e candidata a Premio Nobel per la Pace lo scorso anno, ha lanciato una campagna di sensibilizzazione su Twitter chiamata appunto "BrigBackOurGirls".
Una sensibilizzazione necessaria per stimolare le autorità della Nigeria a non interrompere le ricerche e a non lasciare nulla di intentato perchè le giovani possano riabbracciare i loro cari. Una sensibilizzazione che deve coinvolgere tutti noi, perchè episodi di questo tipo non siano nè tollerati nè sottovalutati mai, e ovunque.
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