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giovedì 19 giugno 2014

Le voci dall'Africa

Raccontare e parlare dell'Africa è un esercizio difficile. In primo luogo e' un continente vasto, con situazioni, storie, vissuti e persone molto differenti tra di loro; l'immagine che si ha dell'Africa è quindi frutto della complessità, di secoli di storia e di decenni di comunicazione, inevitabilmente sintetica, approssimativa e finalizzata. L'Africa è diventata il luogo, marginale e lontano, di mali infiniti e di tragedie immani, che, raccontate, avevano principalmente il compito di sensibilizzare, quando con traumatizzare, l'opinione pubblica per renderla più propensa agli aiuti, alla carità e all'elemosina. 
Un'immagine che dovendo far risaltare elementi negativi (che sia chiaro, i drammi ci sono stati e continuano ad esserci), ignorava  bellezze e ricchezze, umane e culturali, che caratterizzano in  modo peculiare il continente nero. 

Dal 2010 quando è nata African Voices (di cui Sancara aveva parlato in questo post), una multipiattaforma che parla d'Africa curata da Marco Pugliese, la situazione ha assunto, per i lettori italiani e non solo, una dimensione diversa.

L'obiettivo di AF è stato sempre quello di raccontare un'altra Africa, quella del quotidiano africano (sempre con informazioni di prima mano e quasi sempre dal posto) e quelle che difficilmente trovano spazio nei media. Un approcio sensibile e critico, che ha coinvolto una comunità sempre più vasta (oggi sono oltre 112 mila gli iscritti alla pagina Facebook, con una crescita di 10-12 mila nuovi fans al mese), desiderosa di  raccontare, conoscere e condividere la realtà africana. Una comunità fatta di giornalisti, blogger, operatori umanitari, imprenditori, fotografi e lettori, che si allarga e accresce la sua capacità di incidere nelle scelte di altri. Emblematico è stato il caso della trasmissione televisiva Mission (una sorta di reality show condotta nei campi profughi, che spettacolarizzava la miseria, prodotta dalla Rai nel 2013), su cui African Voices ha condotto una dura campagna contro, sempre documentata e puntuale, e che ha determinato il fallimento dello show.

Dal 1 giugno 2014 il vulcanico Marco Pugliese ha lanciato una nuova e straordinaria sfida, quella di African Voices Web Tv. Un "canale televisvo" su web che attraverso un gruppo di una quindicina (per ora) di giornalisti e blogger sparsi nel continente (dal Camerun all'Uganda, dal Kenya all'Egitto) produce in proprio materiali video su fatti africani, sempre con l'attenzione alla sensibilizzazione, alle inchieste, ai diritti umani e al mondo meno conosciuto, anche del turismo responsabile, che difficilmente trova spazio nelle comunicazioni ufficiali.

Una piattaforma che raggiungerà non solo l'oramai vasta comunità di Africa Voices, ma che ha l'ambizione di dialogare con un pubblico qualificato italiano e non solo, per informare e per mettere in moto sinergie e relazioni tra i mondi culturali e imprenditoriali africani e europei. I filmati, in inglese, francese e italiano, vogliono mostrare un'Africa diversa e contribuire a creare quella nuova immagine che il continente reclama a grande voce.

Un contributo che da più parti (soprattutto nel mondo dell'imprenditoria sostenibile) si chiede come cardine centrale di un nuovo modello di sviluppo capace di coniugare, arricchendoli e salvaguardandoli, tradizione e modernità.

Sancara seguirà con grande attenzione African Voices WebTv, sicuro che gli sviluppo di questa piattaforma saranno interessanti e stimolanti.

Tra i primi contributi di Africa Voices Web Tv, questa intervista ad una donna egiziana sulle violenze e sugli abusi, inviata dalla blogger egiziana Jasmin Isam.
Oppure la singolare storia di un bambino di Kampala nato con otto arti in un video del giornalista Marvis Birungi



giovedì 12 giugno 2014

Megatte Wade: l'Africa che decolla

"My personal goal is for Africans to be respected around the world before I die"

La rivista americana Forbes colloca la sengalese Magatte Wade, 38 anni, tra i giovani più influenti per la costruzione dell'Africa di domani. Un riconoscimento che, se da un lato premia l'imprenditorialità, originale e creativa, di questa giovane e bella donna africana, dall'altro lato ci fa capire la velocità e il dinamismo con cui oggi l'Africa si muove.
La Wade, dopo essersi trasferita in Francia, ed esserci formata in Francia, Germania e infine negli Stati Uniti, nel 2004 fa nascere l'Adina World Beverages, un'azienda frutto dell'attività di start-up della Silicon Valley. Adina, in wolof, lingua natale della Wade, significa vita.
L'idea è quella di lanciare sull'ampio mercato nord-americano, e non solo, una bevanda tradizionale senegalese, ricavata dall'ibisco, tentando di scardinare un monopolio tipico delle multinazionali delle bevande (che in Africa hanno già ampiamente superato le bevande locali). L'idea funziona. Quella bevanda rossa, che in ogni angolo del Senegal (e non solo) si vende in sacchetti di plastica (fredda o addirittura congelata a modi ghiacciolo) divenda il traino di un'impresa su cui pochi avevano scommesso. Adina, poi svilupperà una serie di altri prodotti ricavati da essenze e aromi tipici delle culture tradizionali, dal caffè organico al the, attraverso la continua ricerca di un'economia sostenibile e compatibile con le produzioni locali.

Nel giro di poco l'Adina diventa un'azienda da 30 milioni di dollari. Nel 2009 la Wade, la lascia (pare in disaccordo sulla gestione) e poco dopo fonda, a Dakar, la Tiossan, un'azienda che sempre usando prodotti della tradizione senegalese, si occupa di profumi e prodotti naturali per la pelle. Anche questa un'operazione imprenditoriale riuscita alla grande.

La Wade, la cui storia è quasi del tutto ignota in Italia,  però non è solo una semplice, e vincente, imprenditrice. E' una giovane leader - il cui sorriso è contagioso - che può influenzare, con le sue azioni, il futuro dell'Africa. Le sue idee sono chiare e tendono a far ricredere molti "occidentali" su quelle immagini, un po' approssimative e confuse, che hanno del continente nero. L'Africa non è solo il luogo dei disastri, degli orrori e delle miserie. E' un continente vivo, dinamico dove è possibile fare impresa e dalle cui tradizioni si possono trarre idee e straordinarie oppurtunità.

Il suo blog è una finestra sull'Africa, attraverso i suoi post e i commenti di coloro che la seguono. Lei, non fa mistero, di avere in Nelson Mandela il suo grande eroe africano.

Un pensiero che che questo blog ha sempre sostenuto (come del resto altri più autorevoli, come Immagine dell'Africa o African Voices), convinto che solo diffondendo un pensiero diverso sull'Africa, differente da quel senso di "superiorità" che da secoli ha caratterizzato la comunicazione sull'Africa, possono emergere quelle eccellenze e quelle storie, che guideranno il continente, e forse il pianeta, verso il futuro.

Ecco una sua intervista su Forbes
Ecco una sua intervista del settembre 2013

Ecco il blog di Magatte Wade

martedì 10 giugno 2014

L'Africa ai mondiali di calcio del Brasile

L'obiettivo delle squadre africane è sempre lo stesso, superare lo storico limite dei Quarti di finale ai Mondiali di Calcio. Le cinque squadre africane (Algeria, Camerun, Costa d'Avorio, Ghana e Nigeria) non fanno mistero di puntare a portare più in alto possibile il continente. L'impresa, che è stata sfiorata nell'edizione africana dei mondiali (Sudafrica 2010) dal Ghana, è alla loro portata. Le squadre africane hanno sempre fatto ai mondiali molto più delle loro aspettative e in Brasile, il caldo umido e gli orari di gara, saranno a loro "favorevoli".

Ma, andiamo per ordine. I i leoni indomabili del Camerun, , che sono i veterani con sette presenze della 13 nazionali africane che hanno partecipato almeno ad un mondiale (dietro di lei Nigeria con 5, Tunisia, Marocco e Algeria con 4 e Sudafrica, Ghana e Costa d'Avorio con 3), sono stati anche anche i primi, nel 1990, a raggiungere i quarti di finale, cedendo ai supplementari per 3-2 all'Inghilterra. Allora, a parte due o tre giocatori conosciuti, tra cui il fortissimo Roger Milla, la squadra era composta da calciatori quasi sconosciuti.
Oggi si presenta con una squadra di cui solo 2 giocatori giocano in Camerun, mentre gli altri principalmente nel campionato francese (7), turco (6) e spagnolo (4). Una squadra non proprio giovanissima, che vede nei veterani Eto'o (Chelsea), Webo (Fenerbahce), Song (Barcellona), Makoun (Stade Rennais) e Mbia (Sevilla) le sue punte di diamante, assieme al giovane difensore Nkoulou (Olympique Marsiglia).
Il Camerun, nel girone A, dovrà vedersela con Brasile, Croazia e Messico. Direi con molte probabilità di passare al secondo posto.

Le stelle nere del  Ghana è stata l'altra squadra che ha raggiunto i Quarti di Finale (Sudafrica 2010) e forse più di tutte ha avvicinato la storica impresa. Perse ai rigori contro l'Uruguay, dopo essere stata in vantaggio e aver fallito un rigore nei tempi supplementari. La squadre del 2014, anch'essa non giovanissima, ha un'unico giocatore che milita in un campionato locale, mentre gli altri giocano un pò ovunque in Europa  e non solo. Tra i veterani Gyan (Al Ain), i milanisti Muntari e Essien, lo juventino Asamoah, Prince Boateng (Schalke 04) assieme ai più giovani Andre Ayew (Olimpique Marseille) e Wakaso (Rubin Kazan).
Il Ghana, ha un difficile compito. Nel girone G si ritrova con Germania, Portogallo  e Stati Uniti. Un'impresa decisamente difficile, la qualificazione, ma attenzione alle sorprese.

Gli elefanti della Costa d'Avorio, vedono nella stella (prossima alla caduta, ha ormai 36 anni) Drogba (Galataseray) il loro faro. Assieme ai lui alcuni quasi suoi coetanei come Zokora (Trabzonspor), Kolo Tourè (Liverpool) e Yaya Tourè (Mancherster City). Tra i sicuri protagonisti di questo mondiale il romanista Gervinho. La Costa d'Avorio ha sulla carta il compito più facile: nel girone C affronterà la Colombia, la Grecia e il Giappone. Come spesso capita ai mondiali, il girone senza squadre che prevalgono nettamente sulle altre, rischia di trasformarsi in una sorpresa.

Le Super Aquile della Nigeria, hanno solo tre giocatori che militano nel campionato nigeriano, gli altri quasi tutti in Europa. E' una squadra più giovane, con alcuni trentenni come Yobo (Norwich City), Enyeama (Lille) e Odemwingie (Stoke City).Assieme a loro alcuni giovani come Moses (Liverpool) ee il laziale Onazi. La Nigeria è nel girone F con Argentina, Bosnia e Iran. Il secondo posto è ampiamente alla sua portata.

Infine le volpi del deserto dell'Algeria, sulla carta la più debole delle squadre africane (anche se nel ranking mondiale non l'ultima delle africane),  che ha solo due giocatori che giocano nel loro paese. Tra i militanti nei campionati europei troviamo 4 "italiani" (tra cui il napoletano Ghoulam, il livornese Mesbah e l'interista Taider).Da tenere d'occhio Feghouli, che giova nel Porto. L'Algeria, è nel girone H con Belgio, Russia e Corea del Sud. Sulla carta non è cosa semplice, ma ....

Per la cronaca la terza squadra ad arrivare ai Quarti fu nel 2002 un sorprendente Senegal, che alla sua prima (e unica) apparizione al Mondiale, seppe giungere ai quarti cedendo di misura (1-0) alla Turchia.

Oggi nessuno ipotizza una squadra africana in semifinale e perfino una nei quarti viene  ritenuto improbabile. Ma, l'esperienza insegna, le squadre africane al mondiale venderanno la pelle cara, molto cara.
Di una cosa però possiamo essere certi, qualsiasi squadra africana supererà il turno e andrà avanti nel torneo, godrà del tifo e della spinta emotiva dell'intero continente.

lunedì 9 giugno 2014

Libri: Memorie di un soldato bambino

"Mai avrei pensato di sopravvivere fino ad oggi, ancor meno di scrivere un libro"

Memorie di un soldato bambino è un racconto autobiografico di Ishmael Beah, che raccoglie la drammatica e cruda esperienza dell'autore, che nel 1993, all'estendesi della guerra civile in Sierra Leone (scoppiata nel 1991), a soli 13 anni, si ritrova prima a scappare assieme ad alcuni coetanei, poi ad essere crudele soldato nelle truppe governative e infine ad essere riabilitato.
Pubblicato nel 2007 da Neri Pozza, rappresenta un'opera di "letteratura di guerra" forte, toccante e scritta bene.
E' la storia di un'infanzia strappata alla vita, come quella spensierata e felice, di molti bambini e adolescenti del nostro mondo, e  scaraventata, con estrema durezza, alla cruda realtà della fuga, della guerra e della violenza.
La fuga per eludere gli attacchi dei ribelli, tra la diffidenza della popolazione (impaurita dalle violenze di cui i ribelli erano capaci), il rifugio tra le truppe governative e infine l'addestramento alla violenza e alla crudeltà.

Certo quella di Ishmael è una storia dall'epilogo fortunato. Egli sopravvive a tutto. Agli scontri armati in cui ci si ferma solo quando tutti sono morti, alle droghe, che in grandi quantità vengono assunte per sopportare qualsiasi violenza e infine alla riabilitazione, che come la guerra, corre lungo una sottile lama, pronta a colpire.
L'autore dopo essere stato scelto per una conferenza delle Nazioni Unite sull'infanzia violata, riesce poi, quando la guerra giunge a Freetown a uscire dal paese e a ritornare in America, dove ancora oggi vive e lavora.

L'uso delle droghe e dei farmaci è una costante del racconto di Ishmael, dall'immancabile marijuana alla cocaina, fino alla terribile brown brown, una miscela di cocaina e polvere infume (una polvere da sparo che produce gas). La polvere infume, funge e vasodilatatore ed ha il compito di favorire una più rapida penetrazione della cocaina negli organi.

La guerra civile della Sierra Leone è durata dal 1991, quando si costituì il Fronte Patriottico Unito (RUF) fino al gennaio 2002. Il RUF era guidato da un ex-caporale dell'esercito, Foday Sankoh, morto nel 2003, un criminale che assieme al liberiano Charles Taylor, ha fomentato la terribile guerra civile. I suoi guerriglieri, la maggior parte bambini, venivano addestrati e spesso costretti ad amputare mani e piedi ad interi villaggi, rei di aver collaborato con i governativi. Il risultato finale saranno oltre 120 mila morti e centinaia di migliaia di amputati.


Ishmael Beah, nato nel 1980, vive l'esperienza del racconto dal 1993 (momento in cui è costretto a lasciare il suo villaggio natale per l'arrivo dei ribelli) al 1997, anno in cui si trasferisce, grazie all'UNICEF negli Stati Uniti. 
Negli Stati Uniti studia alla scuola internazionale delle nazioni Unite e nel 2004 si laurea in Scienze Politiche.

Sui bambini soldato vi consiglio di leggere il lavoro di Giuseppe Carrisi, Kalami va alla guerra

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martedì 3 giugno 2014

Popoli d'Africa: Akan, il popolo d'oro

Gli Akan costituiscono un grande gruppo (oltre 27 milioni di individui) che vivono in Africa Occidentale ed in particolare in Ghana (il 47,5% della popolazione) e in Costa d'Avorio (il 42,1% della popolazione). In entrambi i paesi sono la principale etnia.
In realtà gli Akan sono costituiti da una grande numero di sottogruppi i maggiori dei quali sono gli Asante (Ashanti) che con quasi 10 milioni di individui rappresentano la metà degli Akan, gli Akyem (circa 4 milioni), i Fante (circa 3 milioni), gli Anyi (2 milioni), gli Abbe, gli Ahanta e i Nzema (con circa mezzo milione di persone ognuno) e poi una serie di altri gruppi minori numericamente come i Wassa, gli Ebrie, gli Akuapem, i Boulè e i Denkyra.
Questi popoli hanno alcune caratteristiche comuni, tra cui la lingua (meglio le lingue) tutte di derivazione Kwa, del ceppo Congo-Niger, la centralità nella loro storia dell'oro e il riconoscimento comune di una figura monarchica.
Il re Akan infatti riveste e raccoglie tutti i poteri: economico (simboleggiato dal tesoro), politico (simboleggiato dalla sciabola) e religioso (simboleggiato dal trono).
Gli storici hanno evidenziato la provenienza degli Akan dalle regioni del Sahara e del Sahel, migrati verso l'Africa Occidentale intorno al X-XII secolo. Essi costituirono dei grandi imperi (il primo fu l'impero di Bonoman intorno al XI secolo) e l'ultimo fu il più importante Impero Ashanti (1570-1896) che fu distrutto dagli inglesi guidati da colui che poi diventerà il fondatore del movimento Scout, Robert Baden Powell.

Abitanti delle foreste e delle savane, la loro economia è basata sull'agricoltura (originariamente utilizzavano le tecniche di agricoltura di foresta itinerante) e oggi sulle piantagioni di cacao, gomma e palme. Sono abiti pescatori e artigiani (oltre all'oro, sono abili produttori di ceramiche, materiali in legno e tessuti).

L'oro aveva (e ancora oggi ha) una grande importanza nella cultura tradizionale akan. Esso è considerato un vero e proprio essere vivente dallo spirito molto forte e il solo fatto di cercarlo, toccarlo o forgiarlo richiede uno spirito purificato. Essi producono oggetti e gioielli di grande valore artistico, che vengono gelosamente conservati dalle famiglie e mostrati in occasione di cerimonie solenni. Storicamente gli akan commerciavano oro in cambio di sale e schiavi, i quali erano scambiati, assieme all'oro, con gli europei (prima portoghesi - che nel 1500 inziarono ascambiare oro per armi, poi olandesi e infine inglesi) in cambio di armi. Non a caso la zona fu chiamata Costa d'Oro.
Gli storici non hanno ancora trovato una risposta su quando le popolazioni locali iniziarono a cercare (e scavare) l'oro. Le testomonianze dei primi viaggiatori portoghesi (all'inizio del 1500) parlano di oro scambiato con il sale nei mercati e di oggetti in oro. Del resto pochi o nulli sonso stai gli scavi archeologici nell'area della Costa d'Oro. Questo commercio, che intorno al 1700-1800 portarono gli akan ad essere il popolo più potente dell'Africa Occidentale e naturalmente li portarono a competere con gli europei, desiderosi di controllare il commercio di oro. 

Circa un terzo degli akan sono di religione cristiana, mentre oltre il 10% è mussulmana. La maggioranza resta animista con riti sincretisti. Oramai molti vivono nelle città (sebbene le tradizioni permangono molto forti nelle aree rurali) e costituiscono sia la classe economica e politica dominante in entrambi gli stati, sia la povertà che affolla le bidonville delle metropoli.

Gli edifici tradizionali degli ashanti, ancora oggi esistenti, sono divenuti nel 1980 Patrimonio dell'Umanità.

Ecco un approfondimento sulla cultura dell'oro degli Akan
Ecco un approfondimento sull'oro degli Akan, scritto da Giovanni Franco Scanzi, che nel 2006 ha anche curato a Genova una mostra sul tema.

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