Nell'ultimo bollettino settimanale epidemiologico dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO), si tracciano i confini del colera nel mondo. Dei 129.064 casi registrati ufficialmente nel 2013, quasi la metà, 56.329 casi sono stati registrati in Africa (in 22 diversi paesi). Considerato che degli altri casi, oltre 58 mila sono avvenuti ad Haiti, appare evidente che è ancora l'Africa "a tenere viva" una malattia delle più classiche del sottosviluppo. Nel 2001, per fare un esempio, il 94% dei casi di colera nel mondo erano in Africa.
L'OMS stima altresì che il numero complessivo dei casi di colera possa essere molto più ampio (tra il milione e i 4 milioni) e che problemi di diagnosi differenziale e i tentativi di occultare dei casi per paura dell'impatto sul turismo (soprattutto in Asia), portano a sottostimare, molto, la malattia.
Ma, partiamo dall'inizio.
Il colera è una malattia del tratto gastro-intestinale determinata da un batterio, Vibrio Cholerae, scoperto a metà del 1800 da un anatomo-patologo italiano. Nonostante la "lunga conoscenza" del vibrione e la sua quasi scomparsa dal nord del pianeta, ancora oggi non tutte le caratteristiche di trasmissione ed epidemiologiche sono perfettamente conosciute e non esiste un vaccino degno di questo nome.
E' certo che la trasmissione avviene esclusivamente per via oro-fecale attraverso acqua e cibi contaminati dalle feci. E' altrettanto vero che solo quando non trattato il colera uccide e che il trattamento consiste principalmente nell'idratazione (ovvero bere, o iniettare, acqua e sali minerali). Infatti le scariche di diarrea, abbondantissime, portano rapidamente alla disidratazione e alla conseguente morte. Perfino gli antibiotici hanno solo lo scopo di diminuire la durata della malattia.
Ecco che il problema principale diventano l'acqua (ancora poco accessibile quella potabile in molte zone del pianeta, ed in Africa in particolare) e i servizi igienici (ancora inesistenti in molte aeree).
Nel 2013, stando ai dati ufficiali, sono stati 47 i paesi che hanno registrato almeno un caso di colera. (erano 48 nel 2012). La mortalità ufficiale è molto bassa (1,6%).
Tra i paesi più colpiti (esclusa Haiti, la cui epidemia scoppiata nell'ottobre 2010 non si è ancora arrestata, sabbene i casi siano in netta diminuizione), figurano, nell'ordine, la Repubblica Democratica del Congo (26.944 casi), la Somalia (6.864 casi), l'Angola (6.655 casi), la Nigeria (6.600 casi), l'India (6.008 casi) e l'Afghanistan (3,957 casi).
Paesi che sono caratterizzati da aree di forte povertà e da assetti amministrativi-governativi difficili e non capaci di intervenire nei contesti epidemici.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità non ritiene necessario nessun tipo di azione per quanto riguarda immigrazione e viaggi, in quanto come si evince da quanto detto, nei nostri paesi i pericoli di epidemia sono assolutamente nulli. In Italia l'ultima epidemia degna di questo nome risale al 1973, mentre nel 1994 a Bari furono registrati, eccezionalmente, 10 casi. Nel 2013 vi sono stati in Europa 7 casi di colera "importato" (di cui uno in Italia) che sono stati facilmente circoscritti.
L'OMS sottolinea anche che sono in uso due vaccini, che non hanno un livello di protezione alto tale da giustificare campagne preventive.
Vi è un dato preoccupante: dopo una costante diminuzione dei casi dagli anni '90 e fino al 2005, i casi di colera sono ripresi a salire a causa di una sensibile vulnerabilità dei soggetti nei paesi che sembravano aver iniziato una lenta via di sviluppo. Questo dato è confermato anche dal recente rapporto UNDP sullo sviluppo.
Appare quindi evidente che l'eradicazione di una malattia come il colera passa attraverso due imperativi: acqua e servizi igienici. Una scommessa ancora difficile da vincere in Africa.
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