lunedì 29 dicembre 2014

La falconeria

Per un appassionato di birdwatching (ovvero l'atto di osservare gli uccelli nel loro habitat) il volo e la cattura di una preda da parte di un rapace rappresenta uno spettacolo unico, quasi commovente. Il volo di perlustrazione di un rapace, che con la sua vista acuta osserva dall'alto le possibili prede, è una immagine che difficilmente si dimentica una volta osservata. Così come la potenza e la velocità con cui il rapace si fionda sulla preda, senza lasciarle scampo. Sono l'espressione di una natura che non ha lasciato nulla al caso.



Di questo l'uomo ne è stato sempre consapevole.

L'arte di utilizzare i rapaci (ed in particolare i falchi) per la caccia di altri uccelli (o di piccoli mammiferi), è infatti conosciuta fin dai tempi antichissimi. Tracce di tale pratica si trovano già tra i Sumeri e gli Assiri. Si colloca quindi in area medio-orientale l'origine della Falconeria, che solo a partire dal VII secolo a.c. fu diffusa in estremo Oriente. Attraverso i Barbari, infine, giunse, nel Medioevo, in Europa.

Oggi nei luoghi in cui i rapaci non vengono più utilizzati per la caccia, la falconeria ha trovato nuovi e importanti utilizzi. In primo luogo quello negli aeroporti, dove il volo guidato dei rapaci impedisce il formarsi di stormi di uccelli  al fine di evitare quel pericoloso fenomeno del bird strike (ovvero l'aspirazione di numerosi volatili da parte dei motori con grande pericolo per il volo). Da oltre 15 anni un grande aeroporto come è quello di Venezia utilizza i falchi per allontanare gli uccelli (soprattutto gabbiani e piccioni).
Inoltre sono frequenti gli usi amatoriali (caccia) e ricreativi della falconeria.
Oltre naturalmente ai falchi, vengono utilizzate anche altri rapaci quali poiane, aquile, gheppi, gufi e qualche non rapace come il corvo.

Infatti la falconeria non è il semplice addestramento di un rapace, bensì un intenso e intimo rapporto con l'animale, il quale deve, da un lato rispondere a dei "comandi" e dall'altro rimanere libero e "aggressivo" come in natura.
Non a caso nelle culture più rurali la falconeria è un'antica tradizione, tramandata da padre in figlio, fatta di conoscenze e di riti, che appartengono all'intera sfera sociale del vivere. Nulla è lasciato al caso, dall'addestramento  alla preparazione dell'addestratore e fino alle bardature dell'animale. E' un insieme di conoscenze che nel passato ha spaziato anche nel campo della spiritualità e dell'ascetismo.

Nel 2012, infatti, la Falconeria è stata inserita all'interno della lista dei Patrimoni Immateriali dell'Umanità dall'UNESCO, come bene culturale da salvaguardare. Tra i 13 paesi in cui questa tradizione è tutelata vi è anche il Marocco. Gli altri sono: Emirati Arabi Uniti, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria Corea del Sud, Mongolia, Qatar, Arabia Saudita, Spagna e Siria. Come si vede un'area che dall'estremo oriente giunge fino all'Oceano Atlantico.

Ecco un possibile approfondimento sul portale italiano della falconeria

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa


domenica 21 dicembre 2014

Produrre acqua, un impegno possibile

Per noi l'acqua appartiene al quotidiano. Spesso ci lamentiamo perché è abbondante e crea problemi, la sprechiamo senza chiederci da dove venga e se è sufficiente per tutti. Apriamo i nostri rubinetti, la nostra doccia e, quello che per la vita è l'elemento più importante, sgorga senza soluzioni di continuità. Più volte Sancara ha affrontato questo tema, in occasione della Giornata Mondiale dell'acqua e non solo (a fondo pagina tutti i link),  perché invece, in altri luoghi del pianeta l'acqua è un miraggio

foto dalla rete
Trovare l'acqua, semplicemente per bere quel minimo necessario a sopravvivere, in alcune aree dell'Africa (ma non solo) è un faticoso impegno quotidiano. Si percorrono chilometri ogni giorno, si scava faticosamente, spesso per decine di metri, sotto il sole cocente e a mani nude e a volte si è costretti a lasciare tutto alla ricerca di luoghi più adatti alla vita.

Ma l'uomo, che nonostante queste difficoltà, vive in un pianeta composto prevalentemente da acqua, si è sempre posto il problema di recuperare quell'acqua non potabile (salata, inquinata, sporca o ghiacciata) che è la maggioranza di quella esistente nel nostro pianeta (circa il 99,5%) e renderla adatta all'uomo.

Le tecniche per trasformare l'acqua sono molto costose (desalinizzazione o potabilizzazione) e naturalmente richiedono l'accesso a grandi quantità di acqua (la resa è bassissima) siano essi il mare o un fiume con grandi portate.

Ma, queste condizioni (economiche e geografiche), non si realizzano ovunque.

In Africa la ricerca dell'acqua attraverso lo scavo di pozzi ha impegnato e impegna molto la cooperazione internazionale. Nonostante gli sforzi, in alcune aree (tutto il Sahel, alcune area del Corno d'Africa) trovare l'acqua richiede sempre maggiori tecnologie che ne aumentano, di molto, i costi. Dove un tempo bastava scavare pochi metri oggi bisogna scendere, molto.

Il mondo dell'innovazione tecnologica da anni lavora nell'ambito della possibilità di ricavare acqua potabile (certo quantità adatte poco più che ad una famiglia) sfruttando l'evaporazione forzata di acqua non potabile (è il caso del progetto Solwa, di cui Sancara aveva già parlato) oppure le escursioni termiche (notte-giorno) di alcune aree aride e ricavare acqua dalla rugiada. Quest'ultimo progetto prende il nome di Warka Water.

Il principio in se è molto semplice e attinge da antiche tradizioni. I Boscimani del deserto del Kalahari hanno sempre sfruttato questa tecnica per ricavare piccole quantità di acqua nel corso dei lunghi e faticosi spostamenti nel deserto (tecniche raccontate nei particolari anche da Wilbur Smith nel ciclo dei Courtney).

Attraverso una struttura, realizzata in bambù e materiali fibrosi naturali, si raccoglie la rugiada generata dalle escursioni termiche notturne, ricavando mediamente 90 litri di acqua al giorno. La struttura che ha appunto la "forma" di un albero, ideata da due italiani (Arturo Vittori e Andrea Vogler), prende il nome da un albero di fico (Warka) che nella cultura etiope simboleggia la vita e la generosità.
E' un progetto che oltre a raggiungere lo scopo prefisso, ha anche tenuto conto delle realtà locali, delle disponibilità dei materiali, delle capacità costruttive e perfino del suo inserimento all'interno del contesto.

Il progetto è ancora in una fase sperimentale (che come sempre in questi casi richiede fondi per essere prodotto e testato) e come è anche per le altre possibilità di "produrre acqua" ha delle potenzialità limitate al contesto rurale (per questo, purtroppo, poco appetibile dal mondo economico).

I post di Sancara dedicati all'acqua:

Il giorno dell'Acqua - 22 marzo 2012
- Una cannuccia per la vita - 25 settembre 2012
- Solwa: l'acqua potabile dal sole - 20 novembre 2012

martedì 16 dicembre 2014

La medina di Susa

Susa (o Sousse), antica città del nord-est della Tunisia, era chiamata, per il suo splendore e per la sua posizione strategica, la perla del Sahel. L'antica Hadrumete, fondata dai fenici nel IX secolo a.c., fu conquistata dai cartaginesi, dai romani e infine dai vandali. Saccheggiata una prima volta nel 310 a.c., fu completamente distrutta dai vandali nel V secolo. Furono infine gli Aghlabidi (800-909) a farla rinascere, con il nome attuale e a renderla un polo centrale per il commercio e la cultura del nord-Africa. Porto protetto sul Mediterraneo, fu al centro di commerci e traffici di ogni genere, oltre che punto nevralgico delle strategie militari (da Susa partirono le navi che giunsero in Sicilia). Oggi con quasi 200 mila abitanti è la terza città della Tunisia.
Il suo centro antico, denominato secondo la cultura islamica,  medina (città, appunto, spesso fortificata) è divenuta nel 1988 Patrimonio dell'Umanità UNESCO. 
Essa rappresenta una testimonianza, giunta fino a noi ben conservata, delle civiltà dei primi secoli che hanno popolato il nord-Africa e rappresenta un prezioso esempio di urbanistica arabo-islamica.
Oggi la medina si presenta come i classici quartieri delle città del maghreb; un intreccio di stradine e mercati (souks), di piccoli luoghi e di angoli che miscelano l'antico con il nuovo. Vi sono poi significativi monumenti, tra tutti il grande Ribat, una fortezza del VIII secolo che fu costruita per osservare (e difendere) il mare. La fortezza è stata completamente restaurata nel 1968. Vi è poi la Grande Moschea, costruita da Abou El Abbas Mohammed nell'850 e giunta anch'essa fino ad oggi in ottimo stato di conservazione. Interessante è anche il faro cittadino, alto 30 metri e costruito nell'859 e che rappresenta un ottimo punto di osservazione sull'intera città e, naturalmente, verso il mare.

Nel nord-Africa si trovano quasi tutte le medine ancora esistenti (altre, in Spagna come in Sicilia sono state distrutte o modificate),  tutte salvaguardate dall'UNESCO. In Marocco, in Tunisia, in Libia, in Algeria, con alcune eccesioni come Dakar, Smirne o Istanbul. Esse rappresentano un patrimonio, storico e culturale, di indubbio valore, capaci come sono di farci conoscere e capire le dinamiche di vita di un passato che a volte sembra sfuggirci di mano.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

giovedì 11 dicembre 2014

Popoli d'Africa: Bamileke

I Bamileke sono un gruppo etnico bantu del Camerun distribuito nella zona nord e ovest, lungo il bacino del fiume Cross. Il loro nome significa letteralmente "quelli che stanno in basso" (nel senso geografico), derivante dall'affermaziione mbale-keo.
Sono stimati essere intorno agli 8 milioni di individui.
Originari del Nord (secondo alcuni sono state trovate tracce nell'area dell'Egitto), nel XVII secolo infatti i Bamileke migrarono verso sud per sfuggire all'islamizzazione.
Oggi sono divisi in diversi gruppi e clan, parlano una lingua semi-bantu e, secondo gli etnolinguisti, possono essere riconosciuti ben 11 dialetti diversi. L'organizzazione sociale prevede una scala gerarchica molto rigida, che a partire dal re, giunge fino al capofamiglia.
Popolo primitivamente di agricoltori (sia gli uomini che le donne lavoravano i campi) e abili cacciatori, sono oggi più dediti al commercio e in generale al mondo del business con grande dinamicità e intraprendenza.
Divisi tra il cristianesimo e l'islam, hanno mantenuto molti legami con un ricco e complesso mondo di rituali che sono sempre accompagnati da maschere, statue (in legno e bronzo, molte di figure animali, tra le quali l'elefante, il bufalo e il leopardo sono rappresentati in modo particolare), musiche e danze. In particolare la presenza di società segrete consentono di preservare e mantenere l'ordine sociale nel regno. Tra le società segrete più attive vi è la Kwifo, letteralmente la notte, intimamente legata al re.
Tra le cerimonie rituali quella legata al culto dei defunti (cerimonia dei teschi) è sicuramente la più sentita dal popolo bemileke.

I villaggi sono costituiti da edifici di forma quadrata con tetto conico, in raffia e bambu.

Tra gli antropologi che maggiormente hanno studiato il popolo bamileke segnalo il camerunense Dieudannè Toukam, autore di un importante testo storico-antropologico.

Ecco un ottimo approfondimento su questo popolo dal blog Trip Down Memory Lane

Ecco alcuni esempi di maschere rappresentanti l'elefante e manufatti bamileke

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli d'Africa


mercoledì 3 dicembre 2014

Corruzione, senza limiti

Proprio nei giorni in cui scoppia l'ennesimo scandalo di corruzione in Italia, che vede coinvolti politici, imprenditori, affaristi e perfino ex terroristi neri, l'organizzazione Transparency International pubblica, anche nella capitale italiana protagonista dell'ultima inchiesta giudiziaria, il suo ultimo rapporto (il 20° da quando esiste) sulla corruzione nella pubblica amministrazione nel mondo.

Una fotografia spietata che racconta di un mondo dove la legalità sembra una chimera. Dove l'economia, quella che conta e determina le politiche statali e internazionali, viaggia su di un binario che quasi sempre sfiora e a volte si sovrappone a quello della illegalità e della corruzione.

Certo vi sono delle eccezioni. In Danimarca e in Nuova Zelanda, che risultano essere in testa alla classifica della "non corruzione" le cose non vanno affatto male. Così come i paesi nordici, l'Olanda, Singapore e il Canada.  Bene anche la Germania, l'Australia, il Regno Unito e perfino gli Stati Uniti.

Il primo paese africano è il Botswana al 31° posto, seguito da Capo Verde al 42°, poi dalle Seicelle e Maurizio, poi dal Lesotho, Namibia e Ruanda al 55° posto.

Di contro (ma non sembra essere una novità) a chiudere la classifica (o a guidarla se si preferisce) è la Somalia, il paese più corrotto al mondo (che definirlo in questo momento uno Stato, appare difficile) seguita dalla Corea del Nord, dal Sudan, dal Sud Sudan e da paesi come Afghanistan, Libia, Eritrea, Iraq e Turkmenistan.

Paesi alla deriva sono il luogo ove la corruzione dilaga, ove i cittadini percepiscono lo stato (e la pubblica amministrazione) come un concentrato di potere, privilegi e appunto corruzione, tali da renderli distanti e impenetrabili. Ove i diritti sono carta straccia, ove solo il denaro può permettere di vivere una vita decente e degna di questo nome.

E l'Italia? Il nostro paese si trova al 69° posto (quindi molto messo male), in compagnia di Bulgaria, Brasile, Grecia, Senegal e Romania.

La corruzione non è un fatto che riguarda "gli altri", una cosa che appartiene genericamente alla classe politica e che sembra un male incurabile. E' un freno allo sviluppo (quello vero), è un ostacolo alla giustizia ed è un sistema lesivo dei diritti, anche di quelli elementari.
Un sistema che si auto-mantiene, creando emergenze e problemi che necessitano di soldi per essere risolti, alimentando così un perverso circuito che colpisce i normali cittadini. Il lavoro dei magistrati permette di evidenziare solo una parte dei reati e di farci conoscere come ci si arricchisce su tutto. Sulla pelle degli immigrati e degli ultimi (creando continui allarmi sociali), sulla vita di chi scappa dalle guerre, sulle cure dei malati, sullo sfruttamento degli uomini o sul commercio (quello lecito e quello illecito).

Lottare contro la corruzione, in ogni angolo del pianeta, equivale a contribuire a creare un mondo di maggiore giustizia.

Vedi post di Sancara sul Rapporto del 2012

lunedì 1 dicembre 2014

Giornata Mondiale sull'AIDS, un motivo di riflessione

foto dalla rete
Il 1 dicembre, si celebra sin dal 1988, la Giornata Mondiale della lotta all'AIDS che l'UNAIDS (l'Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di AIDS), ha voluto  quest'anno titolare, non senza polemiche, "Close the Gap". 
La giornata vuol far riflettere su di un dato preoccupante e che attiene alle ingiustizie che attraversano il nostro  mondo nel silenzio di  molti.
Dei circa 35 milioni di sieropositivi al virus HIV, solo 12 milioni risultano essere in trattamento farmacologico, lasciando così milioni di persone prive di qualsiasi possibilità di accedere alle cure.
Non serve specificare - appare superfluo - in quali aree del pianeta vivono le persone trattate.

Il 70% dei malati vive invece in Africa Sub-Sahariana (circa 24,7 milioni).

E' evidente che il diritto universale di accesso ai farmaci si scontra con i miliardari interessi delle industrie del farmaco (vedi questo post), con le ristrettezze dei bilanci statali dedicati alla salute e con una gestione delle politiche mondiali sulla salute a dir poco fallimentari.
E' così che la stragrande maggioranza dei morti del 2013 (circa 1,5 milioni)  legati al virus HIV (così come dei quasi 40 milioni di morti dal 1981) sono africani e di giovane età. Una vera e propria mattanza.

Inutile negare che l'attenzione che nell'ultimo anno viene dedicata ad Ebola, ha distratto l'attenzione (e purtroppo anche le risorse) alla lotta all'AIDS in Africa e soprattutto ai trattamenti. Rendendo così la situazione (in alcuni paesi) perfino peggiore del passato.

Nonostante tutto (ovvero tralasciando l'Africa!), i nuovi casi registrati di AIDS nel mondo sono in diminuzione: nel 2013 sono stati 2,1 milioni i nuovi casi, contro i 3,5 milioni del 2005.

In Italia, siamo di fronte a 3.806 nuovi casi registrati nel 2013, di cui il 72,2% erano uomini. La cosa drammatica è che l'83,9% dei nuovi casi hanno all'origine rapporti sessuali non protetti (molti tra uomini e uomini) con partner occasionali. La necessità di attività di prevenzione al contagio risultano naturalmente prioritarie. 

Ecco il post di Sancara sulla Giornata del 2011 (con un'interessante storia)