Il commercio Equo Solidale ha una lunga tradizione. Si tratta di una cosa seria, che vede in gioco molti protagonisti in particolare nella filiera agro-alimentare. Persone competenti che lavorano nei paesi di produzione (paesi che una volta erano chiamati in via di sviluppo) e poi nella catena della distribuzione (ovvero dove il prodotto si vende). E' un meccanismo che sottrae forza lavoro e terreni (e quindi potere) alle multinazionali e allo sfruttamento intensivo delle terre e degli uomini (in senso di genere umano).
Nulla da eccepire, anzi.
Vi sono straordinarie esperienze e, soprattutto in altri paesi europei, questa tipologia di produzione e vendita, conquista terreno in modo molto positivo. E' un lavoro complesso che coinvolge le comunità locali e le politiche di interi paesi.
Tra le tante attività vi è quella dei meloni prodotti in Senegal e commercializzati dalla Coop. Lascio ad altri la questione relativa al chilometraggio dei meloni!
Quel che invece mi ha fatto indignare (e non solo a me - la foto al lato è tratta da Facebook) e l'utilizzo dell'immagine di una bambina sul prodotto.
Ma serviva proprio?
Ritorniamo purtroppo, anche per una cooperativa attenta e sensibile, alla solita questione relativa all'immagine dell'Africa.
Un immagine che sempre attinge da luoghi comuni e sfrutta quel senso di pietà e di compassione che, evidentemente per alcuni, solo i bambini poveri (e neri) sanno dare.
Un'operazione che sa di quel pietismo ammuffito, sicuramente capace di far spendere qualche euro in più ad una vecchietta, ma che continua a riproporre uno schema vecchio e oggi controproducente.
Lasciamo stare i bambini (che già sono "usati", loro malgrado, per mille altre cose) e inventiamoci altro. Il "care-farming" va benissimo, ma usare questi squallidi trucchi, rischia di vanificare un ottimo lavoro.
Peraltro i meloni, sono buonissimi.
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