Dal Burundi arrivano sempre poche e scarne notizie. Il piccolo paese della regione dei Grandi Laghi vive una situazione di grande difficoltà sociale ed economica. La crisi democratica, che ha portato il paese vicino alla guerra civile, ha avuto inizio ad aprile (Sancara aveva dato notizia), quando il presidente in carica, l'ex guerrigliero hutu, Pierre Nkurunziza ha annunciato la sua volontà di ricandidarsi per un terzo mandato ignorando la costituzione che pone il limite a due i mandati.
La gente è scesa in piazza a protestare, in particolare nella capitale Bunjumbura ed immediata è scattata la repressione della polizia e dell'esercito. Da allora la situazione si è evoluta in senso negativo: il 13 maggio vi è stato un tentato colpo di stato, a giugno si sono svolte le lezioni politiche (che hanno dato ampia maggioranza al partito del Presidente) e il 21 luglio Nkurunziza è stato rieletto con quasi il 70% dei voti. Le elezioni, a detta degli osservatori internazionali, sono state una farsa. L'Unione Africa come quella Europea, non hanno riconosciuto il risultato elettorale.
Il secondo votato alle elezioni (quasi 20%), Agathon Rwasa, leader del FNL (altra forza Hutu che aveva giurato guerra al regime di Nkurunziza) ha stretto un'allenza di governo (accettando la carica di vice-presidente del Parlamento) che ha inasprito ancora di più gli animi.
Agli inizi di agosto è stato ucciso il generale Adolphe Nshimirimana, capo dei servizi segreti e autore delle repressioni nei confronti dei manifestanti, ritenuto il più stretto collaboratore di Nkurunziza nonchè il secondo uomo con più potere nel paese, dopo il Presidente
Purtroppo, come spesso succede in Africa, le tensioni politiche si trasformano immediatamente in crisi umanitarie, da aprile sono oltre 100 i morti e quasi 160 mila le persone in fuga verso la Tanzania.
Il Burundi, oltre ad avere una posizione strategica in un contesto geopolitico delicato e sempre sull'orlo del baratro, vive una profonda crisi economica. L'80% della popolazione (poco più di 10 milioni) è sulla soglia della povertà. L'agricoltura e la pastorizia, non bastano più a sopravvivere e la fascia giovanile della popolazione, imponente come numero, chiede democrazia, lavoro e redistribuzione del reddito.
In un paese che è stato soggetto nel corso della sua breve storia a numerosi colpi di stato (l'ultimo nel 1996), a contrasti etnici sanguinosi (il più importante nel 1972, quando morirono oltre 400 mila persone) e a guerre civili logoranti (l'ultima dal 1993 al 2004), non vi è assolutamente bisogno di nuove tensioni.
I fragili accordi di Arusha e il cessate il fuoco del 2003, rischiano di essere compromessi e di gettare nuovamente il paese nel caos.
Mentre accade tutto ciò in Burundi, quasi in sordina, il padiglione del Burundi all'EXPO di Milano attrae visitatori e consolida accordi commerciali. A luglio si è perfino celebrato la Festa nazionale del Burundi, tra poche proteste e qualche timido imbarazzo. Nelle stesse ore, nei palazzi della diplomazia europea e mondiale, nella più classica delle schizofrenie politiche, si valuta la possibilità di sottoporre il Burundi ad embargo commerciale, proprio per violazione delle regole democratiche.
Purtroppo è proprio dalla mancanza di coerenza (quasi sempre voluta) all'interno delle azioni diplomatiche che nascono i problemi. Proporre azioni internazionali di embargo e allo stesso tempo festeggiare un paese, significa legittimare una classe politica e/o i dittatori di turno, i quali si guardano bene dal recedere dalle loro azioni. E' un pò come invocare lo stop alle guerre e al tempo stesso proporre la vendita di armi. Entrambe appartengono a quelle azioni che contribuiscono a rendere il nostro pianeta meno sicuro.
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