sabato 31 ottobre 2015

La Nigeria condanna le mutilazioni genitali femminili

Il provvedimento adottato in Nigeria nello scorso maggio è probabilmente destinato a far scuola. Il più popoloso e complesso stato africano, inserisce all'interno di una legge (Violence Against the Person 2015) il reato di mutilazione genitale femminile, con pene pecunarie e detentive. La scrittura della norma e' stato un processo lungo, fortemente voluto dalle associazioni delle donne nigeriane, che ha richiesto oltre 14 anni di lavoro a cause delle difficoltà incontrate con le comunità religiose e etniche più conservatrici. Il testo infatti comprende, e condanna, tutte le violenze di genere (ma non solo) e vuole essere una sorta di protezione della persona (in particolare della donna) nel suo insieme. Infatti oltre ai reati e alle pene detentive, essa introduce anche elementi di assistenza e protezione delle vittime.
La Nigeria è uno dei 29 paesi (solo due fuori dall'Africa) in cui ancora si praticano ancora le mutilazioni genitali femminili, mentre sono altri 20 i paesi in cui essa è, in qualche modo, "tollerata" (Sancara aveva pubblicato un post, Mutilazioni genitali femminile: uno stupro silenzioso - a cui vi rimando per una trattazione più completa). Si calcola che il 27% delle donne nigeriane (circa 20 milioni) siano state costrette a subire questa orrenda pratica.

Una pratica inutile, dannosa e discriminatoria, che deve essere spazzata via senza mezzi termini.
Le Nazioni Unite da tempo hanno messo al bando queste pratiche (dal 2003 è stata istituita anche una Giornata Mondiale contro le MGF, stabilita il 6 febbraio), ma è chiaro che leggi e proibizioni faticano a scardinare credenze e riti che sono spesso radicati nelle identità delle tribù. E' un lavoro faticoso che coinvolge le donne (ricordiamoci che in molte comunità le mutilazioni sono sostenute soprattutto dalle donne) e che deve tener conto delle realtà di comunità che sotto altri versi vanno tutelate e salvaguardate quali patrimoni umani. La ricerca ad esempio di riti alternativi di passaggio, condivisi e che trovano la piena adesione della società, è un settore in cui, in molte aree si lavora con buoni successi.

Certo anche per la Nigeria non tutto è semplice. La legge, valida immediatamente solo nello Stato federale della capitale Abuja, deve essere approvata anche dagli altri 36 stati federali (alcuni dei quali già proibivano queste pratiche) e naturalmente deve essere messa alla prova per quanto concerne la sua efficacia.

In Italia è stato istituito presso il Dipartimento delle pari Opportunità un numero verde (800.300.558) sulle mutilazioni genitali femminili per aiutare le donne migrate nel nostro Paese. Infatti non sono rari i casi di MGF in donne africane fuori dai loro paesi. Un recente studio in Inghilterra ha evidenziato come sono oltre 1000 le donne che in un trimestre si sono rivolte a servizi sanitari per problemi relativi a mutilazioni "domestiche".

Tra le Associazioni Italiane attive in questo campo segnalo l'AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), dal cui sito è possibile seguire iniziative, campagne e luoghi di formazione nei singoli Paesi, in Italia ed in Europa tramite la piattaforma STOPFGM/C

martedì 27 ottobre 2015

Julius Kambarage Nyerere (1922-1999), il maestro


Lo sviluppo di un paese dipende dalla sua gente e non dal denaro. Il denaro, e la ricchezza che esso rappresenta, è il risultato e non il fondamento per lo sviluppo. (..) Il requisito più importante è il lavoro. Andiamo nei villaggi e parliamo con la nostra gente per capire se sia possibile lavorare ancora di più. 


Primo Ministro Tanganika (1960-1962)
Presidente Tanganika (1962-1964)
Presidente Tanzania (1964-1985)
Presidente Organizzazione dell'Unità Africana (1984-1985)

Julius Kambarage Nyerere è considerato il padre fondatore della Tanzania. E' sicuramente una delle personalità più importanti ed influenti dell'Africa moderna e una figura di rilievo del novecento mondiale.
Il principe Nyerere (era infatti figlio di un re Zanaki, una delle molte etnie dell'area) nacque il 13 aprile 1922, dopo aver studiato a Tabora, essersi convertito al cattolicesimo e aver ottenuto un diploma all'Università di Makerere (in Uganda), insegnò biologia e inglese presso una scuola dei Padri Bianchi (da dove gli deriverà il soprannome di Mwalimu, in swahili maestroprima di ottenere una borsa di studio per l'Università di Edimburgo (primo tanzaniano a studiare nel Regno Unito), dove  finì i suoi studi in Storia ed Economia nel 1952.
Rientrato in Tanganika, dopo essersi sposato, insegnò al St.Frencis College ma, a causa della sua attività politica, fu costretto a licenziarsi e nel luglio 1954 fondò il Partito Tanganika African National Union (TANU) con un'impronta legata al socialismo africano e alle nascenti idee di panafricanismo. Anche nella nascita della formazione politica Nyerere seppe mettere insieme cattolici e mussulmani tanto da scongiurare qualsiasi rivalità di tipo religioso.
Viaggiò in lungo e in largo per il paese cercando di mettere insieme le varie anime nazionaliste e, solo grazie alla sua integrità morale, fu in grado di condurre il paese all'indipendenza senza  spargimento di sangue. Eletto nel Consiglio Coloniale nel 1958, nel 1960 fu Primo Ministro dell'autogoverno e successivamente, alla dichiarazione di indipendenza (9 dicembre 1961), fu Primo Ministro e l'anno successivo Presidente della Repubblica. Nyerere raccolse le redini di un paese in cui su 10 milioni di abitanti l'85% era analfabeta e vi erano solo 16 medici, 9 veterinari e un ingegnere. 
Grazie al suo ruolo di mediazione riuscì ad ottenere l'unione con la vicina Zanzibar (dove nel gennraio 1964 vi era stata una rivoluzione) e a far nascere, il 26 aprile 1964, l'odierna Tanzania, di cui fu nominato Presidente.
La politica di Nyerere fu caratterizzata da una forte e ferma condanna all'apartheid e al colonialismo (nel 1965 ruppe le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna che aveva accettato il governo bianco della Rhodesia).
Il 5 febbraio 1967, con la dichiarazione di Arusha, Nyerere tracciò le linee del suo pensiero politico di sviluppo economico e sociale del paese. Per Nyerere la via socialista africana si centrava sulla comunità (in swahili Ujamaa, ovvero famiglia estesa o fratellanza) rurale (da cui la definizione di socialismo rurale) concentrando le attività sulla cooperazione e lo sviluppo collettivo.
L'idea socialista di Nyerere si sviluppava anche su altre linee come l'uguaglianza sociale (abolizione delle discriminazioni basate sulla nascita), la nazionalizzazione dei settori chiave dell'economia, la "villaggizazione" (rappruppamento delle popolazioni rurali in villaggi di produzione), il raggiungimento dell'autosufficienza economica e culturale, il riconoscimento a tutta la popolazione dell'accesso alla terra e l'istruzione gratuita e obbligatoria per tutti.
E' difficile dire se il suo programma ebbe successo, certo le condizioni esterne non lo aiutarono: la crisi petrolifera degli anni settanta, il crollo dei prezzi di alcuni beni esportati e lo scoppio della guerra con l'Uganda di Idi Amin nel 1978 crearono una situazione non certo favorevole ad una giovane e fragile nazione. Oggi la storia ci insegna che le giovani nazioni africane furono quantomeno non aiutate nelle loro indipendenza, ma molto più spesso furono oggetto di vere e proprie politiche di destabilizazzione quando non di vera e propria "regia dall'esterno".

Nyerere - che era stato tra i fondatori dell'Organizzazione dell'Unità Africana e di cui fu Presidennte dal 1984 al 1985 - tenne fuori la Tanzania dalle dispute durante la guerra fredda, proclamando lo stato di neutralità. Nel 1985, Nyerere fu il secondo capo di Stato africano (dopo il senegalese Leopold Senghor e prima di Nelson Mandela) a lasciare spontaneamente il potere, stanco, come ebbe a dire " di guidare uno stato costretto a mendicare". Chiara era la sua critica alle politiche del Fondo Monetario Internazionale a cui si era sempre opposto e a cui, dopo la sua uscita di scena, il paese si chinò (gli accordi vennero firmati nel 1986 dal suo successore Ali Hassan Mwuinyi).
Lasciò però un paese, senz'altro povero, ma unito e in pace, cosa tutt'altro che comune ieri, come oggi, in Africa. Soprattutto, e questo è stato il suo vero successo, un paese in cui quasi tutti i bambini andavano a scuola.

Restò però alla guida del Partito, che nel 1977 si era fuso con l'Afro-Shirazi Party (ASP) che guidava Zanzibar, facendo nascere il Chama Cha Mapinduzi (CCM) ancora oggi esistente. Lo guidò fino al 1990, quando si dedicò a viaggiare (cosa che non aveva fatto molto durante la sua presidenza) e nel 1996 fu a capo dei mediatori nel conflitto civile in Burundi.

Il 14 ottobre 1999, in un ospedale a Londra, il padre della nazione tanzaniana, morì di leucemia, aveva 77 anni.

Nyerere seppe tenersi distante dal potere nel senso comune a quel tempo. Rinunciò ai privilegi per se e soprattutto per la sua famiglia. Tra gli scritti lasciati da Nyerere (a dire il vero non moltissimi) vi è la traduzione in swahili delle opere di Shakespeare.

A partire dal 2005, su iniziativa della diocesi di Musona, è aperta una causa di beatificazione ancora in corso. Caso unico per un capo di stato, ancor più se cattolico e socialista.

«Vorrei accendere una candela e metterla in cima al monte Kilimanjaro affinché illumini al di là delle nostre frontiere, dando speranza a quanti sono disperati, portando amore dove c'è odio e dignità dove prima c'era solo umiliazione».

Per saperne di più:
Socialismo in Tanzania, Julius Nyerere, Il Mulino, 1970
- Nyerere, il maestro. Vita utopie di un padre dell'Africa, cristiano e socialista, Silvia Cinzia Turrin, Ed. EMI, 2012
- Scheda biografica su African History 



Vai alla pagina di Sancara sui Profili Africani








domenica 18 ottobre 2015

18 ottobre: Giornata Europea contro la Tratta di esseri umani

Il commercio di esseri umani ha tristemente accompagnato la storia della nostra umanità. In un apparente paradosso di diritti, con le prime civiltà è nata la schiavitù, ovvero l'espansione della cultura e dell'organizzazione sociale si è accompagnata con la totale negazione dei diritti individuali per alcuni. Sebbene in epoca antica la riduzione in schiavitù fu ampiamente praticata, la nostra memoria mette maggiormente a fuoco quella che è universalmente nota come la tratta Atlantica, ovvero quella enorme deportazione di uomini e donne che fu messa in atto, a partire dalla metà del 1500 e per oltre tre secoli, dall'Africa verso le Americhe. Dai 10 ai 13 milioni di persone (secondo alcuni anche 20 milioni) furono comprati, incatenati, trasportati, venduti e sfruttati. Molti di essi morirono ancor prima di arrivare nel nuovo mondo.
Oggi la tratta di esseri umani è un fenomeno, contrariamente a quanto si pensa, ancora molto attuale e per molti versi sommerso e di difficile caratterizzazione. Oggi, come allora, essa è anche una fonte enorme di denaro, un'economia illegale (si stima un volume di affari di diverse decine di miliardi di dollari, seconda solo al traffico di droghe e di armi) che alimenta l'economia legale in una compenetrazione perversa e pericolosa.

Certo oggi le strade del traffico di esseri umani (trafficking)- che si è oramai fuso con l'altro fenomeno più caratteristico del nostro secolo, ovvero quello della tratta di immigrati (smuggling) - tanto da rendere difficile la differenziazione - portano a settori ben precisi dello sfruttamento e delle economie illegali. 


Oggi le Organizzazioni Internazionali definiscono infatti la tratta come: 
"il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, la custodia di persone, tramite l'uso della forza o altre forme di coercizione, di sottrazione, di frode, di inganno, di abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o nell'atto di dare o ricevere qualche forma di pagamento o di altro introito per acquistare il consenso o il controllo di una persona su un'altra persona, allo scopo di sfruttamento, incluse le varie forme di sfruttamento sessuale, di lavoro, di schiavitù o di commercio di organi" (definizione 2010)

A tutte queste categorie della crudeltà umana, che interessa principalmente donne e minori e che tendenzialmente mette il relazione i paesi poveri (che forniscono gli esseri umani) e i paesi ricchi (che usano la merce umana)  aggiungerei quella dei bambini soldato, che resta invece confinata all'interno delle aree del Sud del mondo ed in particolare dell'Africa, ma che ha caratteristiche molto simili.

Così come sono in aumento lo sfruttamento di uomini, donne e minori ai fini dell'accattonaggio forzato e delle economie illegali (spaccio, furti, scippi, rapine).

Lavoro forzato di adulti e minori, sfruttamento sessuale di donne, minori e recentemente di giovani uomini, la servitù domestica, il lavoro forzato di adulti e minori, accattonaggio forzato, azioni criminali forzate, l'espianto di organi e i bambini soldato, sono compresi in quel grande insieme di tratta e sfruttamento, le cui caratteristiche e violenza fanno rabbrividire.

L'intervento contro la tratta - per quanto difficile e complesso - è sicuramente nelle attenzioni dell'Unione Europea (molti suoi paesi ne sono coinvolti in entrambi i sensi). Oggi la vastità dei fenomeni migratori si incrociano con quelli della tratta e le reti criminali sfruttano al meglio questi movimenti, disordinati e incontrollati di esseri umani, per aumentare i propri affari.

I numeri della tratta, proprio perché si parla di un fenomeno sommerso, sono sempre delle stime. Save The Children parla di 4 milioni di persone nel mondo che sono emerse (che sono state identificate in quanto vittime), ma come è comprensibile si tratta di un epifenomeno la cui base è molto, molto più ampia. Solo l'ILO (organizzazione mondiale del lavoro) stima in oltre 200 milioni i lavoratori (molti minorenni) sfruttati nel mondo. In Italia dal 2000 ad oggi sono oltre 70 mila le persone che hanno usufruito dei programmi di protezione stabiliti dalla legge.

Se il mondo dello sfruttamento sessuale, seppur con modalità diverse dalla fine degli anni '90, continua a interessare un grande numero di donne e di minori, sono decisamente in aumento il lavoro forzato (pensate ai lavoratori dell'agricoltura o a quelli dei laboratori tessili clandestini) e l'induzione ad azioni criminali (furti, spaccio, rapine) che costringono le forze dell'ordine e gli operatori sociali impegnati sul campo ad una rivisitazione delle strategie e delle modalità di azione.

Inutile dirlo che la lotta alla tratta, oltre ad essere fondamentale per colpire le reti criminali, rappresenta un'atto di civiltà e di giustizia (così come avvenne con i movimenti antischiavisti della fine del 1800) di cui tutti dovremmo sentirci responsabili e coinvolti. 
Non possiamo permettere che nel terzo millennio uomini possano sfruttare altri uomini e restare impuniti. Dovremmo tutti imparare ad aprire gli occhi (e non solo) e chiederci se il lavoratore che ci costruisce la casa, se il ragazzo che chiede l'elemosina fuori al supermercato, se il bracciante che raccoglie i pomodori o se la prostituta all'angolo godono della libertà di scegliere, pur nelle difficoltà economiche, la propria condizione di vita.

In Italia, dal 2000, è attivo il Numero Verde Antitratta (800290290), voluto dal Dipartimento delle Pari Opportunità e gestito operativamente dal Servizio Antitratta del Comune di Venezia. Uno strumento a disposizione di tutti affinché questa lotta di civiltà possa essere vinta. Al tempo stesso è attiva, a norma di legge, una rete di progetti (pubblici e del privato sociale) di assistenza alle vittime di tratta, immediata e nel tempo, capace di favorire la fuoriuscita dalle più diverse e gravi forme di sfruttamento.

Per un approfondimento sulla tratta relativa alla prostituzione nigeriana in Italia, vi rimando a questo post di Sancara. 
Sancara aveva pubblica questo post in occasione della Giornata Europea contro la tratta, nel 2013.



venerdì 16 ottobre 2015

La fine di Ebola, per ora

Possiamo affermarlo con quasi assoluta certezza: la peggiore epidemia di Ebola mai registrata nella sua breve storia (il primo caso fu descritto nel 1976) è finita. Per la seconda settimana consecutiva in Africa occidentale non si registrano nuovi casi, reali o sospetti, di Ebola. Dopo quasi due anni (il primo caso fu registrato nel dicembre 2013) e 28.490 casi (con 11312 morti, ovvero il 39,7%) la malattia che ha per parecchi mesi allarmato i governi di mezzo mondo sembra essersi per ora arrestata. Oltre alle due settimane di assenza di casi, conforta il fatto che da ben 11 settimane non si hanno più di 5 casi a settimana.
Per ora, perché al netto della grande diffusione di questa ultima epidemia (la più grave delle altre per numero di casi fu quella del 2000-2001 in Uganda, dove vi furono 425 casi e 224 morti, pari al 53%), Ebola si è sempre comportata così. Epidemia, un periodo più o meno lungo senza casi registrati, nuova epidemia in un'altra area, nuovo stop e nuova epidemia. Un andamento periodico tipico di molte malattie epidemiche.
Alla fine sono stati 3 i paesi veramente colpiti: Sierra Leone (13982 casi, 3955 morti, pari al 28,3%), Liberia (10672 casi, 4808 morti, pari al 45,1%) e Guinea (3800 casi, 2534 morti, pari al 66,6%). Essi rappresentano la quasi totalità dei casi (99,87%).
Vi sono stati poi 20 casi in Nigeria (con 8 morti), 8 casi in Mali (con 6 morti) e 1 caso in Senegal.
Infine, sono 7 i casi di operatori sanitari non africani (4 americani, un inglese, uno spagnolo e un italiano) che sono stati colpiti, di cui un solo americano morto.

Bisogna essere onesti e riconoscere i grandi sforzi di molte organizzazioni non governative (da Emergency al CUAMM, passando per Medici senza Frontiere e Actionaid tanto per citarne alcune) e il personale sanitario locale che ha affrontato una delle più complicate e difficili epidemie della storia recente, spesso senza mezzi e in luoghi inadatti. Il risultato è stato un tributo enorme da parte del personale sanitario: 881 operatori colpiti e 513 morti (il 58,2%).

A dispetto delle previsioni pessimistiche e catastrofiche che con grande facilità (troppa) non solo i media, ma illustrissimi uomini di scienza avevano fatto (qualcuno ricorderà la previsione di oltre un milione di casi!) l'epidemia è stata per area e per numero di casi contenuta e circoscritta. La difficoltà stava solo nell'obbligo di farlo nei paesi colpiti dove la sanità  pubblica è ancora un neonato che ha bisogno di tutto.
Ripercorrendo questi quasi due anni di epidemia, con alcuni mesi di vera e propria psicosi, si ha la sensazione che in alcune circostanze Ebola sia stata usata per distrarre l'attenzione da altri temi, più spinosi. 

Permangono alcune perplessità (che meriterebbero qualche attenzione in più) sull'eccessiva velocità in cui si sono prodotti farmaci e vaccini che con molta probabilità, senza i primi casi fuori dell'Africa, avrebbero avuto tempi molto diversi. Così come è ancora da approfondire quella che per ora viene definita Sindrome post-Ebola che sembrerebbe colpire malati guariti da tempo.

Sancirà, che aveva parlato di Ebola prima di quest'ultima epidemia ha seguito con attenzione l'evolversi della situazione, speso con un atteggiamento molto critico nei confronti di un allarmismo esagerato,  di un indirizzo forse poco efficace dei grandi fondi che sono stati stanziati e di alcune vere e proprie menzogne che sono state spacciate come verità.

Metto a disposizione questo PDF, che raccoglie i principali articoli di Sancara pubblicati sul tema a partire dal 2012 e che forse ben ricostruiscono la storia recente di Ebola.


giovedì 15 ottobre 2015

Il giorno il cui uccisero un'idea

Il 15 ottobre 1987 fu un giorno triste per l'Africa. Ma, a pensarci bene forse lo fu per il mondo intero. Quel giorno infatti, alle 16.30 a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso,  un piccolo e insignificante stato dell'Africa Centro-Occidentale, fu ucciso Thomas Sankara, che di quel paese era il Presidente dal 4 agosto 1983.
Thomas Sankara, per molti un "Che" Guevara d'Africa, era un uomo semplice e forse proprio per l'apparente semplicità delle sue idee e dei suoi comportamenti divenne scomodo, tanto, troppo fino ad essere ucciso.
La sua semplicità stava nell'essere prima che un leader e un Presidente, un uomo di strada, che amava girare per il suo paese e che osservava quello che capitava, non dal vetro oscurato di un'auto di lusso, ma dalla sua bicicletta o dal vetro infangato di una vecchia Renault 6.
I suoi pensieri erano talmente semplici, che furono e sono, ancora oggi, rivoluzionari. Pensare che la politica non può essere fonte di privilegi, di arricchimento personale o di posizioni di potere per se, per la famiglia e per gli amici, appare quasi banale. Per lui era normale. Rinunciò alle auto di rappresentanza e agli autisti, rinunciò alle scorte e rispedì al mittente un aereo presidenziale donatogli dal Presidente francese. Affermava che non si poteva essere la classe dirigente ricca di un paese povero. Dire che la felicità del proprio popolo è un dovere per chi lo governa, ed essa si ottiene certo con un piatto di riso per tutti e dell'acqua potabile, ma anche attraverso maggiori diritti, dignità e più tempo libero sembra scontato. Per lui fu un imperativo. 
Pensare che le donne, oltre ad avere pari diritti, sono le veri interpreti di qualsiasi rivoluzione culturale e che ogni forma di violenza nei loro confronti è una sconfitta per l'Umanità è oggi un'affermazione quasi unanimamente accettata. Per lui fu un motivo che accompagnò i suoi anni di presidenza e che lo portò a scontrarsi con forza con antiche e complesse tradizioni.
Lottare affinché l'ambiente, la lotta alla desertificazione e la disponibilità di acqua potabile per tutti non sia solo una chimera, ma il reale intento delle politiche pubbliche appare a tutti come una cosa auspicabile. Lui di questo fece la sua battaglia quotidiana.
Essere convinti che qualsiasi progresso non può prescindere da una diffusa educazione e formazione per tutti e che la conoscenza sia il motore dello sviluppo appare oggi scontato anche quando non è applicato. Per Sankara la lotta all'analfabetismo e l'emancipazione del suo popolo rappresentava quasi una  ossessione.
La rivoluzione di Sankara, le sue idee e i suoi comportamenti affondavano le radici proprio in quel quotidiano e diffuso sentire che appartiene agli uomini che non devono mettere in mostra il proprio potere, ma fanno delle idee, della partecipazione e appunto della semplicità il loro massimo punto di forza.
La stessa semplice logica che portò Sankara ad un aspro contrasto con le grandi potenza, con le Istituzioni Internazionali e con coloro i quali avevano ideato forme di dipendenza economica nei paesi che fino a poco prima erano semplicemente colonie. La sua lotta lo portò a criticare aspramente le politiche economiche della Banca Mondiale, del Fondo Monetario e delle Agenzie mettendosi a capo di uno sparuto gruppo di paesi "poveri" (e socialisti) che volevano rinegoziare, quando non pagare, il debito pubblico accumulato attraverso forme di ricatto e di politiche scellerate indotte da altri.
Questo era troppo.
Fu facile poi trovare nella cerchia degli amici più stretti il Giuda che fece premere il grilletto e pose fine alla giovane vita di Thomas.

Quel giorno fu uccisa un'idea. Ma, quelle idee, nonostante tutto, non muoiono mai.

Chi era Thomas Sankara?

Questo blog nasce proprio con il pensiero rivolto a quest'uomo semplice e allo stesso tempo straordinario. Ne prende, storpiandolo, il nome in un omaggio riconoscente. Lo scopo è solo quello di diffondere, fossero anche gocce in un oceano, pensieri e idee di un continente spesso, finora, mantenuto ai margini.

giovedì 8 ottobre 2015

Libri: L'albero dei microchip

L'albero dei microchip è un romanzo-inchiesta scritto a quattro mani (Massimo Carlotto e Francesco Abate) pubblicato da Edizioni Ambiente nel 2009 per la collana VerdeNero. Si tratta, oltre che di un libro scritto bene, di un'inchiesta sulla tecno-spazzatura precisa e chiara, nonostante la brevità del volume e lo stile romanzato.
L'ambientazione si svolge tra la Liberia, quell'inferno a lento raffreddamento dopo la sanguinosa guerra civile e l'Italia, e parte dal traffico illegale di armi, legnami e di diamanti (di cui l'Italia non è mai stata un mero osservatore) per approdare al più complesso e sotto molti versi più pericoloso, traffico di tecno-spazzatura. Quel e-waste (nella dizione inglese) che contribuisce a collocare l'Africa tra i bidoni della spazzatura dell'Occidente.
Un traffico che ha una relativa recente origine e che nasce dell'incontro tra l'esigenza (tutta Occidentale) di smaltire, in economia, una massa enorme di "rifiuti" tecnologici (computer, cellulari, radio, televisioni e molto altro) e la disponibilità (tutta dei paesi poveri) di occuparsi, senza regole e precauzioni, del riciclo e della distruzione di questi rifiuti.

Il racconto, in una sorta di partita a tennis, rimbalza l'azione tra il porto di Monrovia e l'Italia (Piemonte e il porto di Livorno) in un continuo succedersi di eventi che sebbene immediatamente chiari nella loro relazione, non mancheranno di consegnare inaspettate e sorprendenti soluzioni. Insomma nel più classico dello stile noir, una volta iniziata il libro non si riesce a staccarsi dalla lettura. Questo è il romanzo e, in particolare Massimo Carlotto, non necessita certamente di presentazione.

Altra questione è invece il traffico di spazzatura tecnologica. Sancara si era già occupato di questo tema, raccontando la storia della discarica di Agbogbloshie in Ghana. Un luogo dell'orrore. La Sodoma e Gomorra d'Africa.
La questione - contrariamente a quanto si pensa - è terribilmente seria. Le discariche in Africa (come in India o in Cina) creano gravissimi problemi ambientali e sociali. L'enorme accumulo di spazzatura elettronica (si stima che ogni europeo ne produca 14 chilogrammi all'anno) non viene solo stoccata, ma viene riciclata. Bene, verrebbe da dire. Ma non è così. Il recupero del materiale avviene a cielo aperto e senza nessuna precauzione. Vengono recuperati i componenti elettronici (microchips, transistor, integrati) passando sul fuoco i circuiti integrati in modo da sciogliere le saldature in stagno. Vengono recuperati il rame, bruciando le plastiche di rivestimento che contengono anche bromurati (usati per come ritardanti di fiamma) pericolosi per la salute. Ma nelle discariche, attraverso il fuoco o solventi, si recuperano metalli preziosi (oro, argento, rame, platino). Le discariche sono un brulicare di uomini (in realtà quasi sempre bambini) che vivono tra le macerie e che sono in grado di separare, a mani nude, ogni piccolo elemento riciclabile, lasciando al fuoco plastiche e materiali inutili. Sono uomini, e donne, sfruttati, spesso al limite della schiavitù. I danni per la salute sono immensi, ma ancor più sono i danni ambientali. Nell'aria si sprigionano gas nocivi di ogni tipo (diossine, cloro, bromo) e le falde sono oramai sature di inquinanti (cadmio, piombo, antimonio, mercurio). 

Molti dei materiali riciclati rientrano nel giro della produzione. Eppure una direttiva Europea del 2002 (recepita anche in Italia nel 2005) permette ai produttori (che sono tenuti a smaltire i prodotti) di aggiungere una tassa di scopo. Il risultato è che il mercato illegale è in continua crescita (e con esso gli enormi guadagni illegali) e angoli del nostro pianeta sono oramai pattumiere della nostra, presunta, civiltà.

Ringrazio l'amico Stefano Cosmo per la segnalazione di questo libro.   

Vai alla pagina di Sancara sui Libri sull'Africa

sabato 3 ottobre 2015

Parco Nazionale degli Tsingy di Bemaraha

foto da wikipedia
Definire una "foresta di pietra" il paesaggio di questo parco non è assolutamente improprio. Situato nella regione centro-occidentale (Menebe) del Madagascar, la riserva integrale degli Tsingy di Bemaraha (istituito come parco nel 1997, ma protetto sin dal 1927) si estende per circa 670 chilometri quadrati ed è costituito prevalentemente dalla parte centrale di un massiccio calcareo. I Tsingy (che in malgascio suona tipo il luogo dove non si può camminare  piedi scalzi) non sono altro che delle formazioni rocciose calcaree a forma di guglia (un elemento piramidale alto e sottile, tipico delle cattedrali gotiche) di origine carsica, a volte alte centinaia di metri (300-400). L'erosione del vento e dell'acqua ha creato queste meraviglie della natura in epoca geologicamente antica. Per la sua caratteristica geomorfologia, rara nel suo genere, l'area (poi il Parco) è stata inserita nel 1990 dall'UNESCO nella Lista dei Patrimoni dell'Umanità (fu il primo sito del Madagascar ad entrare nella lista).
Il parco è coperto per oltre 80 mila ettari da fitta e densa foresta, che rappresenta un habitat ideale, per quanto difficile e incredibile, per molte specie animali e vegetali endemiche (che vivono solo in quel territorio). E' attraversato dal fiume Manambolo che costituisce la riserva di acqua per tutte le specie viventi.
Tra di esse vivono alcune specie rare e a rischio di estinzione, tra cui 11 specie di lemuri, 17 specie di rettili (tra le 60 presenti) e 6 specie di uccelli, delle oltre 100 presenti nella riserva. Per quanto riguarda le oltre 450 specie botaniche quasi l'80% risultano essere endemiche.

Il punto di partenza ideale (anche se non semplice, la pista è faticosa, chiusa nelle stagione delle piogge, più o meno da novembre ad aprile) per la visita del Parco è la città di Morondava, che dista circa 150 chilometri dalla riserva. Le difficoltà sono poi legate alla necessità di effettuare lunghe e talora difficili escursioni a piedi.

Qualche anno fa, una nota rivista di turismo, ha inserito il Parco Nazionale degli Tsingy di Bemaraha, tra i 21 siti Patrimonio dell'Umanità (meglio oltre 1000) di cui "pochi hanno sentito parlare".

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa