Dopo il post sulla popolazione proviamo a vedere, semplicemente e con sempre gli occhi all'Africa, la situazione economica del nostro pianeta. Un piccolo viaggio tra i numeri. Tra le grandi economie del mondo, la cui classifica è guidata da Stati Uniti, Cina e Giappone, l'Africa fa timidamente capolino. Al 25° posto infatti, con un PIL stimato di 522 miliardi di dollari vi è la Nigeria (la cui economia dipendende quasi esclusivamente dal petrolio), che si pone tra Belgio e Norvegia. Oltre la trentesima posizione il Sudafrica (366 miliardi di dollari) e oltre la quarantesima l'Egitto (272 miliardi di dollari). Del resto il mondo è molto diviso: se il PIL dei paesi indutrializzati raggiunge oltre 47 mila miliardi di dollari nel 2014, in Africa Subsahariana il PIL si assesta a 1670 miliardi di dollari. Un abisso.
Purtroppo per i paesi africani la ricaduta reale sulla popolazione è molto molto blanda.
L'indicatore economico più diffuso è il PIL pro capite, gli ultimi 24 posti nel mondo sono occupati da paesi africani, dalla Somalia che viaggia a 133 dollari pro capite al Benin che raggiunge gi 805 dollari.
Lasciando perdere i valori elevatissimi di minuscoli stati europei (Monaco, Liechtenstein e Lussemburgo) che superano i 110 mila dollari pro capite, a guidare la classifica è la Norvegia (110.898 dollari pro capite, circa 1000 volte il PIL pro capite della Somalia), seguita da Qatar (93 mila), Svizzera (84 mila) e Australia (67 mila). L'Italia sii colloca in 34° posizione con 35 mila dollari.
Per trovare un paese africano bisogna scendere alla 54° posizione, dove troviamo la Guinea Equatoriale con circa 20 mila dollari.
Analizzando il coefficiente di Gini (ovvero l'indice che misura la maggiore equidistribuzione del reddito all'interno del paese - 0 è totalmente distribuito, 100 è il massimo della concentrazione del reddito) scopriamo che la peggior distrubuzione del reddito (già basso) avviene in generale in Africa (Namibia al primo posto con un coefficiente di 63,9, Sudafrica, Zambia) e in Sud America. Di contro la miglior equa distribuzione del reddito si osserva nei paesi nordici europei (Svezia coefficiente 25, Norvegia, Finlandia) e in genere in Europa.
Infine, gli ultimi 17 posti dell'Indice di Sviluppo Umano, un indicatore non solo economico, vi sono esclusivamente paesi del continente africano (Niger, Repubblica Democratica del Congo, Centrafrica e Ciad in testa) mentre ai vertici, ovvero i paesi più svuluppati del mondo, ci sono Norvegia, Autralia e Svizzera. In questa classifica (riferita al 2013), il primo paese africano era la Libia al 55° posto, mentre l'Italia era collocata al 26° posto.
Insomma, da qualsiasi lato si guardi la questione (ovvero con qualsiasi indicatore) il mondo è fortemente polarizzato tra un nord sempre più ricco e sviluppato e un sud sempre, nonostante gli enormi afflussi di aiuti, più povero e "poco sviluppato".
Qualche timido segnale di controtendenza sembra esserci osservando il trend dei tassi di crescita economica nel mondo. Se osserviamo il periodo 2003-2013, tra i primi dieci paesi del mondo in cui il PIL è cresciuto mediamente di più troviamo due paesi africani: l'Etiopia e l'Angola (con oltre il 10% annuo) ma, sono molto alte le performance anche di Ruanda e Zambia (al 7,8%) o della Nigeria (7,6%). Viceversa tra i paesi a crescita negativa, oltre alla Repubblica Centroafricana (-1,6%), troviamo paesi dell'area europea come Grecia (-1,6%), Italia (-0,5%) e Portogallo (-0,2%). Certo è più facile crescere molto partendo dal basso.
Oltre al Sudafrica, già dal 2010 inserito tra le economie emergenti del paese (assieme a Brasile, alla Russia, all'India e alla Cina) riunite nell'associzione BRICS (acronimo che altro non è che le iniziali dei singoli paesi), gli analisti prevedono che un'altro paese africano, la Repubblica Democratica del Congo è destinato - a patto che sappia affrontare le croniche crisi interne - a scalare le classifiche ed ad entrare tra le economie emergenti in un prossimo futuro (assieme al Messico, l'Indonesia, la Turchia e il Kazakistan).
Gli stessi esperti sostengono che il freno africano allo sviluppo è la produzione industriale. Ancor oggi infatti è la Nigeria, ben oltre la trentesima posizione mondiale, a guidare la classifica della produzione industriale capeggiata da Cina, Stati Uniti, Giappone, Germania e Russia.
Se però osserviamo la crescita della produzione industriale tra il 2005 e il 2013, vediamo che sono i paesi africani (Liberia + 24%, Etiopia +13,5%, Ghana +11%, Ruanda +10%) a guidare e occupare ben 11 tra i primi 20 posti nel mondo.
Di contro è la produzione industriale di una parte importante dell'Europa (Grecia, Spagna, Italia, Irlanda, Portogallo, Danimarca, Regno Unito, Norvegia e Finlandia) ad avere il segno negativo davanti.
Sembra evidente che la svolta possa essere data solo dal fatto che uscendo dal ciclo degli aiuti e dell'assistenza (gestito da chi aveva altri interessi) l'Africa possa autodeterminare il proprio futuro e sfruttare direttamente le immense risorse che possiede.
Insomma, da qualsiasi lato si guardi la questione (ovvero con qualsiasi indicatore) il mondo è fortemente polarizzato tra un nord sempre più ricco e sviluppato e un sud sempre, nonostante gli enormi afflussi di aiuti, più povero e "poco sviluppato".
Qualche timido segnale di controtendenza sembra esserci osservando il trend dei tassi di crescita economica nel mondo. Se osserviamo il periodo 2003-2013, tra i primi dieci paesi del mondo in cui il PIL è cresciuto mediamente di più troviamo due paesi africani: l'Etiopia e l'Angola (con oltre il 10% annuo) ma, sono molto alte le performance anche di Ruanda e Zambia (al 7,8%) o della Nigeria (7,6%). Viceversa tra i paesi a crescita negativa, oltre alla Repubblica Centroafricana (-1,6%), troviamo paesi dell'area europea come Grecia (-1,6%), Italia (-0,5%) e Portogallo (-0,2%). Certo è più facile crescere molto partendo dal basso.
Oltre al Sudafrica, già dal 2010 inserito tra le economie emergenti del paese (assieme a Brasile, alla Russia, all'India e alla Cina) riunite nell'associzione BRICS (acronimo che altro non è che le iniziali dei singoli paesi), gli analisti prevedono che un'altro paese africano, la Repubblica Democratica del Congo è destinato - a patto che sappia affrontare le croniche crisi interne - a scalare le classifiche ed ad entrare tra le economie emergenti in un prossimo futuro (assieme al Messico, l'Indonesia, la Turchia e il Kazakistan).
Gli stessi esperti sostengono che il freno africano allo sviluppo è la produzione industriale. Ancor oggi infatti è la Nigeria, ben oltre la trentesima posizione mondiale, a guidare la classifica della produzione industriale capeggiata da Cina, Stati Uniti, Giappone, Germania e Russia.
Se però osserviamo la crescita della produzione industriale tra il 2005 e il 2013, vediamo che sono i paesi africani (Liberia + 24%, Etiopia +13,5%, Ghana +11%, Ruanda +10%) a guidare e occupare ben 11 tra i primi 20 posti nel mondo.
Di contro è la produzione industriale di una parte importante dell'Europa (Grecia, Spagna, Italia, Irlanda, Portogallo, Danimarca, Regno Unito, Norvegia e Finlandia) ad avere il segno negativo davanti.
Sembra evidente che la svolta possa essere data solo dal fatto che uscendo dal ciclo degli aiuti e dell'assistenza (gestito da chi aveva altri interessi) l'Africa possa autodeterminare il proprio futuro e sfruttare direttamente le immense risorse che possiede.
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