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venerdì 18 dicembre 2015

L'Africa dell'Ovest e il velo islamico

I quindici paesi della Comunità Economica degli Stati dell'Africa dell'Ovest (CEDEAO nell'acronimo francese o ECOWAS in quello inglese) ha adottato una risoluzione che impegna gli stati membri (15) a "vietare tutti i vestiti che rendano impossibile l'identificazione di una persona". Una formula che pur non facendo riferimento a qualcosa in particolare punta il dito sul niqab, il velo islamico che tiene scoperti solo gli occhi. Il tema era già stato affrontato, in modo autonomo, da alcuni dei paesi del Cedeao. Ad esempio il Niger aveva già preso questa misura nel luglio scorso a seguito di alcuni attentati.
Il Niqab è uno dei veli indossati dalle donne islamiche nel mondo. Pur essendo caratteristico della Penisola Araba (Arabia e Yemen in particolare), si è diffuso prima in Egitto e poi in molti paesi africani. Ha origini pre-islamiche (vi sono rilievi risalenti al I secolo) ed è composto generalmente da due veli uno per la fronte e uno per il viso.
La questione, naturalmente è complessa.
Inutile nascondersi dietro un dito. Il terrorismo estremista ha usato veli integrali e vestiti coprenti per svolgere le sue scellerate azioni. Spesso - quasi sempre - dietro a quei veli si nascondevano uomini. Da queste osservazioni è nata la necessità di proibire l'uso di indumenti che impediscono l'identificazione delle persone.
In Africa Occidentale, da sempre contenitore di un islam moderato e dialogante, alcune comunità religiose si sono dichiarate disposte ad accettare queste imposizioni se il vantaggio sarà una maggiore sicurezza per le persone. Inutile sottolinearlo, ma solo con l'appoggio e la condivisone delle componenti islamiche, questi provvedimenti possono avere successo e non rischiano di essere controproducenti.
La questione del velo - in genere - è delicata. Perfino le associazioni femministe di donne mussulmane sottolineano come "il velo non è uno strumento culturale, politico o ideologico, che rappresenta la sottomissione agli uomini, ma una convinzione personale legata alla fede". Di conseguenza sono molto restie a "presunte emancipazioni, spesso di facciata" dettate per decreto, restando molto più legate alla lotta alla reale emancipazione, quella che porta le donne a contare e ad essere protagoniste delle scelte, anche politiche, nei paesi di cultura islamica.
Quando si affrontano questi temi bisogna essere cauti, perchè ogni forzatura rischia di alimentare il fuoco di chi oggi, per motivi ben diversi da quelli religiosi, ha tutti gli interessi ad inasprire gli animi, a generare panico e a creare divisioni.
Naturalmente l'essere cauti non significa accettare tutto. Quindi ben vengano provvedimenti di questo tenore, condivisi da più Stati, che favoriscono il riconoscimento delle persone, ma che non entrano nel merito di questioni religiose o di primogenia di una cultura su di un'altra. 



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