foto da www.wfp.org |
In Etiopia si affronta l'ennesima siccità (sebbene l'area interessata si estende ai paesi vicini e in primo luogo a quelli più martoriati dalle guerre come la Somalia e il Sud Sudan). Secondo gli esperti la più grave degli ultimi 65 anni. Anche questo sembra un ritornello già sentito. Oltre 10 milioni di persone colpite (su di una popolazione totale di oltre 90 milioni di persone), che senza un intervento deciso, rischiano di non arrivare a fine anno. La produzione agricola (unica sussistenza per intere popolazioni) è scesa del 50% ed in alcune zone perfino del 90%.
Se non fosse che la stessa cosa è capitata negli anni '70, poi negli anni '80, poi nel 2000, poi nel 2008 e infine nel 2011 potrebbe sembrare perfino una vera ed imprevedibile emergenza.
Di emergenza - purtroppo non c'è nulla - se non il rischio della vita di milioni di poveri disperati che non interessano a nessuno.
Qualche giorno fa, rileggendo quanto scritto nel 2011, ho pensato che avrei potuto ripubblicare lo stesso post, cambiando la data, senza rischiare di essere fuori tema o di non centrare l'attualità. La cosa, non mi ha reso felice.
Da decenni continuiamo ciclicamente ad assistere alle stesse scene. A pubblicare le stesse foto di donne e bambini ridotti all'osso e a chiedere uno sforzo straordinario - in termini di carità - a tutti per l'ennesima emergenza e per scongiurare solo l'ultima delle tragedie.
Nel mezzo, tra una emergenza e un'altra, poco o nulla. Nessun intervento sui governi (che hanno grandi responsabilità), nessun intervento sulle multinazionali che sfruttano il suolo, nessun intervento sulle deviazioni dei corsi d'acqua, nessun intervento sulle infrastrutture, nessun intervento sulle speculazioni finanziarie in merito alle derrate alimentari, nessun intervento sulle guerre che generano movimenti incontrollati delle popolazioni. Niente o quasi.
Di contro la costante è sempre la colpa di una natura (indagato numero uno è El Nino che ha ridotto quasi a zero le piogge) che si incattivisce sempre sugli ultimi.
Che il cambiamento climatico abbia un impatto devastante sulle deboli economie rurali di alcuni luoghi del pianeta, è fuori dubbio. Quello che è inaccettabile è l'assenza di politiche e finanziamenti certi allo sviluppo. In particolare appare insensata la non politica sul sistema di tassazione delle imprese multinazionali. Dallo sfruttamento intensivo della terra - ad opere delle grandi industri agro-alimentari - deriva l'altra faccia del problema che porta allo stremo le popolazioni rurali. Oggi le organizzazioni internazionali sostengono che servono 1,4 miliardi di dollari per far fronte alla situazione dell'Etiopia, una cifra per ora raggiunta solo per un terzo.
Come avviene sempre in queste drammatiche circostanze, sono le categorie più deboli a pagare il prezzo più alto. In primo luogo i bambini, che secondo Save the Children sono più della metà dei colpiti dalla carestia. I bambini pagano un enorme contributo in termine di vite umane e di malattie (sono oltre mezzo milione i bambini già colpiti da grave malnutrizione).
Bisogna anche sottolineare come l'aggravarsi della situazione idrica nelle aree rurali costringe interri popoli a migrare verso le città o verso i campi profughi. Alla periferia di Addis Abeba o nei mostruosi campi profughi Oggi la vita è, se possibile, anche peggio.
La sensazione (e molto più) è che di queste persone non importa sostanzialmente a nessuno. Spesso sono gruppi etnici che hanno vissuto per secoli in un rapporto, quasi simbiotico, con una natura che non è mai stata generosa e con la quale hanno saputo convivere e rispettare. Oggi gli interventi esterni hanno modificato i rapporti e stanno rendendo quelle aree del pianeta invivibili.
Inutile dire che in quei luoghi stanno sparendo culture tradizionali che erano sopravvissute a secoli e alla modernizzazione ed erano arrivate a noi ancora integre nella loro complessità.
Si possono seguire gli sviluppi di questo ennesimo dramma dai siti della FAO e del World Food Programme, che assieme a molte ONG, grandi e piccole, sono in prima linea nell'affrontare una situazione sempre più complicata.
Nel mezzo, tra una emergenza e un'altra, poco o nulla. Nessun intervento sui governi (che hanno grandi responsabilità), nessun intervento sulle multinazionali che sfruttano il suolo, nessun intervento sulle deviazioni dei corsi d'acqua, nessun intervento sulle infrastrutture, nessun intervento sulle speculazioni finanziarie in merito alle derrate alimentari, nessun intervento sulle guerre che generano movimenti incontrollati delle popolazioni. Niente o quasi.
Di contro la costante è sempre la colpa di una natura (indagato numero uno è El Nino che ha ridotto quasi a zero le piogge) che si incattivisce sempre sugli ultimi.
Che il cambiamento climatico abbia un impatto devastante sulle deboli economie rurali di alcuni luoghi del pianeta, è fuori dubbio. Quello che è inaccettabile è l'assenza di politiche e finanziamenti certi allo sviluppo. In particolare appare insensata la non politica sul sistema di tassazione delle imprese multinazionali. Dallo sfruttamento intensivo della terra - ad opere delle grandi industri agro-alimentari - deriva l'altra faccia del problema che porta allo stremo le popolazioni rurali. Oggi le organizzazioni internazionali sostengono che servono 1,4 miliardi di dollari per far fronte alla situazione dell'Etiopia, una cifra per ora raggiunta solo per un terzo.
Come avviene sempre in queste drammatiche circostanze, sono le categorie più deboli a pagare il prezzo più alto. In primo luogo i bambini, che secondo Save the Children sono più della metà dei colpiti dalla carestia. I bambini pagano un enorme contributo in termine di vite umane e di malattie (sono oltre mezzo milione i bambini già colpiti da grave malnutrizione).
Bisogna anche sottolineare come l'aggravarsi della situazione idrica nelle aree rurali costringe interri popoli a migrare verso le città o verso i campi profughi. Alla periferia di Addis Abeba o nei mostruosi campi profughi Oggi la vita è, se possibile, anche peggio.
foto da Internazionale |
Inutile dire che in quei luoghi stanno sparendo culture tradizionali che erano sopravvissute a secoli e alla modernizzazione ed erano arrivate a noi ancora integre nella loro complessità.
Si possono seguire gli sviluppi di questo ennesimo dramma dai siti della FAO e del World Food Programme, che assieme a molte ONG, grandi e piccole, sono in prima linea nell'affrontare una situazione sempre più complicata.
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