Sono passati 22 anni. Il tempo necessario perchè uno dei tanti bambini, nato da vittime degli stupri (secondo le stime 250 mila donne), sia abbastanza grande da provare a capire qualcosa che non è possibile nemmeno immaginare. Cento giorni, poco più di tre mesi, il tempo necessario per massacrare quasi un milione di persone, ad un ritmo di 10 mila al giorno (o se volete 8 persone al minuto), per mutilarne centinaia di migliaia e per stuprare e torturare almeno 250 mila donne.
Questo accadde a partire dal quel maledetto 6 aprile 1994, quando, a seguito dell'abbattimento dell'aereo che trasportava i presidenti di Ruanda e Burundi, come ha avuto modo di scrivere Silvana Arbia, magistrato presso il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, "si è verificato il più grande black-out delle tutele civili e giuridiche mai avvenuto nella storia recente dll'umanità".
Tutto avvenne sotto gli occhi - distratti quando non complici - della comunità internazionale e del mondo intero.
Non fu un atto di follia, come si è tentato di far credere e nemmeno una questione etnica. Fu un genocidio programmato. Degli allarmi lanciati, da più parti anche autorevoli come il Capo Missione ONU, il generale canadese Romeo Dallaire, mesi di prima del 6 aprile, si trovano tutte le tracce. Furono tutti inascoltati. Così come appare folle non essere intervenuti ed aver ritirato, poco dopo l'inizio della mattanza, una parte consistente del contingente delle Nazioni Unite.
Sul genocidio del Ruanda fu invece istituito, mesi dopo, un Tribunale Internazionale per far luce sulle colpe.
Il Tribunale penale Internazionale del Ruanda è stato istituito con la risoluzione 955 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l'8 novembre 1994 che ne approvò lo Statuto. Ha iniziato ad operare dopo il 7 febbraio 1995, quando con la risoluzione 977 fu disposta la sede ad Arusha in Tanzania. Il primo processo si tenne nel gennaio 1997. Complessivamente vi sono stati 5800 giorni di udienze e oltre 3000 testimoni che hanno ripercorso quei terribili 100 giorni. Ha chiuso ufficialmente il suo lavoro il 31 dicembre 2015 dopo aver analizzato le posizioni di 93 imputati per genocidio e di gravi violazione dei diritti umani e con 61 condanne definitive e 14 assoluzioni.
I testimoni hanno raccontato cose atroci. Nessuna condanna potrà mai risarcire o far dimenticare quei giorni.
Stupiscono però due cose: la prima è che, nonostante l'obbligo - sancito da una Risoluzione della Nazioni Unite - di tutti i Paesi membri a collaborare con il Tribunale Internazionale, alcuni carnefici vivono protetti in paesi anche occidentali (la Francia tra questi). La seconda è che una sola donna è stata condannata dal Tribunale Internazionale (sono oltre 2000 quelle condannata dai tribunali ruandesi). Sia tratta di Pauline Nyramasuhuko, amica della moglie del presidente assassinato (Juvenal Habyarimana) e all'epoca Ministro della Famiglia e della Promozione Femminile. E' anche l'unica donna al mondo condannata (con l'ergastolo) per stupri di massa quale crimine contro l'umanità. Il Tribunale ha accertato che impartiva ordini alle milizie, guidate dal figlio, comandando "prima di uccidere le donne, dovete stuprarle".
Forse è solo un luogo comune quello che dice che "la storia è ciclica e che si ripete". Osservando però i fatti avvenuti, almeno negli ultimi secoli, si ha la sensazione che questa affermazione sia vera. Dire che l'uomo non impara dalle proprie esperienze, sembra banale ma, i fatti sembrano invece convalidare questa tesi.
Per questa ragione ricordare quando accaduto, essere vigili ad ogni timido segnale di rottura dei sistemi di protezione e tutela civile, insistere sull'applicazione universale dei più elementari diritti umani, denunciare ogni forma di abuso non è solo un dovere di tutti noi ma, rappresenta sempre di più l'unico sistema per impedire che non vi sia mai più un altro Ruanda.
Ecco il sito con tutte le sentenze del Tribunale Penale Internazionale del Ruanda
Sancara, come è oramai tradizione per i temi importanti, ha preparato un piccolo PDF (ecco il link) dove sono raccolti tutti i post sul tema Ruanda pubblicati dalla nascita di questa blog.
Tutto avvenne sotto gli occhi - distratti quando non complici - della comunità internazionale e del mondo intero.
Non fu un atto di follia, come si è tentato di far credere e nemmeno una questione etnica. Fu un genocidio programmato. Degli allarmi lanciati, da più parti anche autorevoli come il Capo Missione ONU, il generale canadese Romeo Dallaire, mesi di prima del 6 aprile, si trovano tutte le tracce. Furono tutti inascoltati. Così come appare folle non essere intervenuti ed aver ritirato, poco dopo l'inizio della mattanza, una parte consistente del contingente delle Nazioni Unite.
Sul genocidio del Ruanda fu invece istituito, mesi dopo, un Tribunale Internazionale per far luce sulle colpe.
Il Tribunale penale Internazionale del Ruanda è stato istituito con la risoluzione 955 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l'8 novembre 1994 che ne approvò lo Statuto. Ha iniziato ad operare dopo il 7 febbraio 1995, quando con la risoluzione 977 fu disposta la sede ad Arusha in Tanzania. Il primo processo si tenne nel gennaio 1997. Complessivamente vi sono stati 5800 giorni di udienze e oltre 3000 testimoni che hanno ripercorso quei terribili 100 giorni. Ha chiuso ufficialmente il suo lavoro il 31 dicembre 2015 dopo aver analizzato le posizioni di 93 imputati per genocidio e di gravi violazione dei diritti umani e con 61 condanne definitive e 14 assoluzioni.
I testimoni hanno raccontato cose atroci. Nessuna condanna potrà mai risarcire o far dimenticare quei giorni.
Stupiscono però due cose: la prima è che, nonostante l'obbligo - sancito da una Risoluzione della Nazioni Unite - di tutti i Paesi membri a collaborare con il Tribunale Internazionale, alcuni carnefici vivono protetti in paesi anche occidentali (la Francia tra questi). La seconda è che una sola donna è stata condannata dal Tribunale Internazionale (sono oltre 2000 quelle condannata dai tribunali ruandesi). Sia tratta di Pauline Nyramasuhuko, amica della moglie del presidente assassinato (Juvenal Habyarimana) e all'epoca Ministro della Famiglia e della Promozione Femminile. E' anche l'unica donna al mondo condannata (con l'ergastolo) per stupri di massa quale crimine contro l'umanità. Il Tribunale ha accertato che impartiva ordini alle milizie, guidate dal figlio, comandando "prima di uccidere le donne, dovete stuprarle".
Forse è solo un luogo comune quello che dice che "la storia è ciclica e che si ripete". Osservando però i fatti avvenuti, almeno negli ultimi secoli, si ha la sensazione che questa affermazione sia vera. Dire che l'uomo non impara dalle proprie esperienze, sembra banale ma, i fatti sembrano invece convalidare questa tesi.
Per questa ragione ricordare quando accaduto, essere vigili ad ogni timido segnale di rottura dei sistemi di protezione e tutela civile, insistere sull'applicazione universale dei più elementari diritti umani, denunciare ogni forma di abuso non è solo un dovere di tutti noi ma, rappresenta sempre di più l'unico sistema per impedire che non vi sia mai più un altro Ruanda.
Ecco il sito con tutte le sentenze del Tribunale Penale Internazionale del Ruanda
Sancara, come è oramai tradizione per i temi importanti, ha preparato un piccolo PDF (ecco il link) dove sono raccolti tutti i post sul tema Ruanda pubblicati dalla nascita di questa blog.
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