E' di questi giorni la notizia che un uomo coraggioso, come è Papa Francesco, è stato costretto a rinunciare al suo viaggio nel Sud Sudan. La sicurezza nel paese è oramai ai minimi e neppure la promessa del Papa ("andrò comunque") e la presenza di oltre 4 milioni di cristiani (un terzo circa della popolazione, il resto a scanso di equivoci, sono animisti) ha impedito ai servizi di sicurezza (del Vaticano e di Gran Bretagna) di dare il via libera al viaggio a Juba. Troopo pericoloso perfino per un Papa che aveva l'intenzione di sfidare il mondo (e forse sarebbe stato un grande atto).
La situazione del paese, la più giovane nazione africana, nata il 9 luglio di soli 6 anni fa (2011), è al collasso.
Oltre 5,5 milioni di persone che soffrono la fame (di cui 890.000 a rischio vita), quasi 4 milioni di profughi, di cui 1,8 milioni nei paesi vicini (Etiopia, Uganda e Kenya) e oltre 2 milioni di sfollati interni. Quasi tre milioni di persone (che diventeranno 4 a fine anno) la cui vita dipendono esclusivamente dal cibo distribuito dal WFP.
Tra di essi, inutile dirlo, moltissimi bambini. Giunti ad essere quasi 1 milione. Bambini in fuga costituiscono la maggiore preoccupazione delle organizzazioni umanitarie.
Una catastrofe che - solo perchè lontana da noi e perchè solo in minima (ma veramente minima) parte lambisce il nostro paese - passa quasi inosservata.
Dall'inizio del conflitto, iniziato alla fine del 2013, e accentuatosi nel corso del 2016, la situazione peggiore di giorno in giorno, mentre senza soluzione di continuità, i pozzi di petrolio continuano ad estrarre l'oro nero.
Si, perchè la questione è che il Sud Sudan, è potenzialmente un paese ricco.
Il conflitto, che ha origini etniche e non solo, vede contrapporsi l'esercito del Presidente Salva Kiir , un dinka che era stato il vice di John Garang fino alla sua morte (avvenuta nel 2005) e le milizie del vice-presidente Riek Machar di etnia nuer, destituito lo scorso luglio.
Un conflitto che, come purtroppo avviene in queste aree, finisce con colpire molto di più i civili che incidere in un senso o nell'altro sulle parti in conflitto. Nel mezzo, le organizzazioni umanitari e gli operatori umanitari (già 80 le vittime tra loro), spesso bloccati per non far arrivare gli aiuti a queste o quelle popolazioni.
Mentre la situazione sembra non avere soluzione, su altri tavoli, si discute di questioni diverse. E' in gioco la costruzione della nuova capitale del paese, che dovrebbe sostituire Juba. Si tratta di Ramiciel, ed è un'impresa da oltre 10 miliardi di dollari, che coinvolgono aziende cinesi, malesi, coreane e russe. Insomma, dei profughi non importa nulla, dei cittadini ancor meno e gli stessi paesi che pagano gli aiuti umanitari, sfruttano attraverso le loro imprese, i denari per la ricostruzione per la nuova costruzione. Il cinismo dell'umanità.
Per una trattazione dettagliata delle origini e delle complessità del conflitto interno vi rimando a questo articolo di Daniela Franceschi