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mercoledì 19 luglio 2017

Parliamo d'Africa

E' di queste ore l'accorato appello di Alex Zanotelli ai giornalisti italiani ad illuminare l'Africa. Quel illuminare che deve essere intesa come accendere una luce o puntare i riflettori sulle questioni africane troppo spesse ignorate o mal raccontate. Ignorate soprattutto da quelli che "aiutiamoli a casa loro".
Un invito a rompere un silenzio che porta a non comprendere le ragioni che stanno alla base delle situazioni di guerra e di conflitto del continente, dell'aumento dei profughi provenienti dall'Africa e dell'incremento delle migrazioni cosiddette "economiche".


Un appello che un piccolo blog come Sancara, che nasce nel 2010 con l'obiettivo proprio di parlare d'Africa, non può che condividere e far proprio. Certo i miei interventi su questo blog sono delle piccole gocce d'acqua in un oceano agitato. Quante volte mi sono chiesto se ne valeva la pena, se il tempo speso a pensare, a studiare e poi scrivere d'Africa poteva essere impiegato in altro modo. Quante volte sono stato vicino a dire basta, chiudo questa esperienza. Poi, ogni volta, uno dei soliti luoghi comuni sparato da qualche improvvisato politico, una delle solite sciocchezze scritte sui social o un articolo che si spacciava per serio, zeppo si idiozie, mi hanno fatto desistere e mi hanno dato l'impulso a continuare.
Parlare d'Africa non è facile. Soprattutto farlo in modo corretto che non scivoli nel pietismo (spesso ricercato per altri scopi) e che sia comprensibile a tutti. Ancora più difficile è poi richiamare l'attenzione sui temi africani.

Siamo troppo abituati a raccontare l'Africa durante la fase acuta di grandi tragedie, per poi ignorarne, subito dopo, perfino l'esistenza.
Nell'immaginario collettivo l'Africa è una unica grande nazione (in realtà sono 54 paesi con situazioni sociali, culturali, economiche, linguistiche, etniche, religiose e geografiche completamente diverse l'uno dall'altro) tutto appiattito su di una grande povertà.
Oggi molti guardano all'Africa quasi con fastidio. Un fastidio frutto di un'immagine distorta che si ha del continente e più in generale delle persone che da quel continente scappano.

L'appello di Zanotelli rappresenta l'ennesimo stimolo a continuare a raccontare l'Africa dei drammi ma, anche quella delle bellezze. A scrivere dei conflitti e delle guerre del continente, della povertà a volte estrema, delle ingiustizie e degli orrori ma anche delle enormi risorse materiali, umane, sociali  e culturali che da ogni parte dell'Africa fanno fatica a giungere alla nostra attenzione.

Sancara nasce con questo scopo.
 

Chi è Alex Zanotelli?
Alessandro Zanotelli è un missionario nato in Trentino nel 1938. Appartiere all'ordine dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, noti come Comboniani (dal nome del suo fondatore il veronese Daniele Comboni, morto nel 1881 a Khartum nell'odierno Sudan).
Zanotelli è stato in Sudan dal 1965 al 1973 tra la popolazione dei Nuba durante la guerra civile sudanese. Per le sue critiche al governo e per le sue denunce al sistema di oppressione del governo fu costretto a non ritornare in quel paese (il governo gli negò il visto).
Si trasferì a Verona dove dal 1978 al 1987diresse la rivista Nigrizia che oltre a denunciare le storture africane non faceva mancare pesanti denunce al sistema politico degli aiuti al cosiddetto terzo mondo. Durante gli anni della sua direzione la rivista divenne un punto centrale di studio e osservatori sui temi del pacifismo e della critica verso i sistemi economici che creano disparità tra i popoli.
Fu tra i fondatori del movimento dei Beati Costruttori di Pace che mette al centro delle azioni la questione della giustizia.
Dal 1989 al 2001 è stato in Kenya nella baraccopoli di Korogoche alle porte di Nairobi.
Dal 2001 vive a Napoli nel rione Sanità, dove oltre ad essere presente nella difficile situazione del quartiere continua a seguire le questioni internazionali ed in particolari quelle africane.

Ecco il sito di Nigrizia


giovedì 13 luglio 2017

Nuovi Patrimoni da conservare in Africa

Si è chiusa il 12 luglio a Cracovia (Polonia) la 41° Sessione del Comitato per i Siti Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. E' stata una sessione che ha permesso di fare il punto della situazione dei 1073 siti mondiali, di verificarne lo stato di conservazione e di analizzarne gli eventuali problemi nella tutela.
Per l'Africa è stata l'ennesima prova di come il patrimonio presente nel continente non sia esclusivamente quello naturalistico.
La Sessione del 2017 ha inscritto nel Patrimonio Mondiale altri 21 siti (3 naturali e 18 culturali). Tre sono i nuovi siti africani, tutti nell'area culturale.
Si tratta anche di due nuovi paesi (Angola ed Eritrea) che entrano nella lista per la prima volta.

Sono stati inseriti:

- La città di Mbanza Kongo, in Angola, che fu la capitale politica e culturale del Regno Kongo (XIV-XIX sec.), uno dei più grandi Regni del Sudafrica pre coloniale. Una città posta a quasi 600 metrici altitudine;

- La città di Asmara, capitale dell'Eritrea, situato sopra i 2000 metri e frutto di una moderna pianificazione (fu edificata tra il 1893 e il 1941);

- La terra dei Khomani San, i boscimani del deserto del Kalahari, in Sudafrica, dove si raccoglie la presenza di questo popolo dall'Eta' della Pietra ai nostri giorni.

Sono tre siti che, in modo diverso, permettono di approfondire la storia africana spesso oltre molti luoghi comuni.

La sessione di Cracovia ha anche esteso un altro sito africano, quello naturale del W National Park del Niger (già iscritto nel 1996), oggi diventato un sito transnazionale (Benin, Burkina Faso e Niger) che raccoglie i tre parchi confinanti sotto un unico complesso: il Complesso di W-Arly-Pendjari.


Infine, e questa è una ottima notizia, due siti africani sono stati rimossi dai siti Patrimonio dell'Umanità in pericolo (oggi 54). Infatti il Parco Nazionale Simien (uno dei primi siti divenuti Patrimonio dell'Umanità, 1978) era stato inserito nella lista dei siti in pericolo nel 1996 a causa del passaggio di una strada al suo interno, dello scarso management e dell'impatto negativo dei visitatori. Oggi tale pericolo, grazie ad oltre due decenni di sforzi, è stato scongiurato.
vale lo stesso per il Parco Nazionale Comoè (inserito nel 1983) e inserito nei siti a rischio dal 2003 a causa dell'aumento del bracconaggio e dell'aumentata invasione umana. Dal 2005 è in corso un grande progetto di miglioramento del management finanziato in gran parte dalla Comunità Europea. Il miglioramento dell'habitat e e della conservazione della fauna ha permesso la rimozione, dal 2017, dai siti a rischio.

Sono purtroppo ancora 22 (sui 54 del mondo) i siti africani nella lista dei patrimoni dell'Umanità in pericolo. Molti di essi a causa delle guerre.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità UNESCO in Africa

lunedì 10 luglio 2017

Cosa significa aiutiamoli a casa loro?

In questi giorni si è acceso un dibattito, talora surreale, su una frase che oltre ad essere un slogan populista di una pessima politica racchiude significati dubbi e diversi per chi la pronuncia. Siamo sinceri,  "aiutiamoli a casa loro" non significa nulla. Per una buona parte inoltre è un sinonimo di "non facciamoli arrivare" che rappresenta più la soluzione di una, spesso immotivata, paura, che una vera volontà di aiuto. Per altri ancora è un modo apparentemente elegante  per dire "degli altri, e di quelli in particolare, non mi interessa nulla". Per altri quella frase significa "facciamo qualcosa per loro", nel senso cristiano di aiuto o nel senso laico di donare opportunità.
L'assurdità del dibattito è proprio nel modo in cui esso si svolge. Tutto centrato sulla nostra misera politica locale, sulle fazioni interne, come se Salvini o altri contassero qualcosa nello scacchiere mondiale o potessero essere le persone capaci di incidere su strategie geopolitiche e internazionali o su fenomeni, complessi come quelli delle migrazioni.
Tralascio la questione relativa a coloro i quali richiedono protezione internazionale, che non solo abbiamo l'obbligo giuridico di accogliere ma, dove per tradizione culturale e democratica abbiamo anche il dovere etico e morale di farlo.
Abuja, Nigeria

Oltre a tutte le questioni filosofiche che voglio tralasciare (ad esempio il concetto di superiorità o di forza che la parola "aiuto" sottende, la questione se sia lecito o meno impedire agli uomini - dopo che l'abbiamo fatto con le merci - di muoversi liberamente), la questione degli aiuti racchiude un enorme tranello.
Di aiuti ai paesi del vecchio "terzo mondo" si parla (e si pratica) dal 1944 (ovvero ancora durante la seconda guerra mondiale), sebbene poi il grande afflusso di denaro arriva, in Africa, dalla fine degli anni '50 con le prime indipendenze. Secondo molti economisti e secondo alcuni studiosi di Africa sono proprio gli "aiuti allo sviluppo" (sia inteso quelli intergovernativi non quelli delle organizzazioni o delle emergenze) ad ever creato l'attuale situazione in Africa. Una situazione che, badate bene, non è di povertà, ma di enormi squilibri all'interno degli stati. Paesi come la Nigeria (da cui oggi giunge la prima migrazione africana in Italia), di oltre 180 milioni di abitanti, partono da una situazione di grande ricchezza per molti (tra di essi uomini e donne che rientrano nelle categorie delle persone più ricche del Pianeta) e milioni di persone che vivono letteralmente nelle discariche. Nel mezzo una enormità di "classe media" che oscilla tra il tentativo di arricchirsi, la possibilità di stare , economicamente, fermi e l'alto rischio di precipitare nella povertà. Mentre per le classi alte e medie la situazione è simile alla nostra, per le classi basse la situazione è drammatica perché i sistemi di welfare e di assistenza interna sono pressoché inesistenti e dipendono, e qui viene il bello, esclusivamente dagli aiuti esterni esistenti.
Secondo alcune stime sono oltre 300 miliardi i dollari che negli ultimi decenni sono arrivati in Africa senza che questa grande iniezione di denaro abbia influito positivamente sullo sviluppo.
Secondo i teorici di queste tesi (letteralmente di una "carità che uccide") questi innesti di denaro hanno generato una totale dipendenza verso l'esterno, una classe politica scellerata e "cleptocratica" e pesato enormemente sulle popolazioni più povere. Che sia chiaro gli aiuti non erano donazioni bensì scambio merci. Quelle merci pregiate (dal petrolio all'uranio, dai diamanti al coltan, dal legno al caffè, dal cacao all'oro, dai fosfati al carbone) di cui noi avevamo tanto bisogno e che gestirle (al netto delle tangenti) faceva non solo guadagnare molto, ma, ne permetteva di controllarne i mercati ed il prezzo.
Questo sistema ha generato un circolo vizioso che ha fortemente compromesso la crescita e lo sviluppo africano.
In definitiva la nostra ricchezza, la nostra crescita economica si deve in primo luogo a questo sistema. 
Affermare oggi che bisogna fare quello che abbiamo fatto per decenni e che ha prodotto il problema appare offensivo del buon senso.
In Africa non mancano le risorse (anzi!), quel che manca è la capacità di governarle e di renderle vantaggiose per la propria economia e meno per quelle degli altri.
Lavorare oggi per rendere le condizioni dei Paesi africani meno pesanti di quelle che oggi esistono significa creare delle situazioni ove sia più conveniente per se e per le proprie famiglie, restare piuttosto che migrare. Significa creare condizioni di vita migliori, significa reinvestire in questi paesi una parte consistente delle risorse esistenti, significa creare opportunità di lavoro.
Farlo, sia chiaro, significa ridistribuire ricchezze. Significa non permettere a chi estrae materie prime di devastare senza responsabilità il territorio (in Nigeria come in Repubblica Democratica del Congo) e di conseguenza far innalzare i prezzi, significa che il cacao prodotto il Africa Occidentale possa essere lavorato in loco a vantaggio dell'occupazione e a discapito delle nostre industrie, significa permettere di far decollare l'industria delle automobili e dell'abbigliamento in Africa (da sempre tenuta a freno), significa rivedere gran parte degli accordi commerciali in vigore che hanno lo scopo di salvaguardare le nostre economie, significa dare poteri alle classi dirigenti africane e sottrarne ai falsi donatori.... e la lista potrebbe continuare.

In un ragionamento laico e fuori dagli schemi politici (da una parte e dall'altra) credo sia corretto favorire - finalmente - la crescita e lo sviluppo dei Paesi africani ma, non per fermare le migrazioni bensì per rendere il mondo più equo e più giusto.