venerdì 29 dicembre 2017

E' tornato Weah, con qualche ombra

George Weah, stella del calcio africano, giocatore del Monaco, del Paris Saint Germain e del Milan (1995-2000), classe 1966, il 22 gennaio 2018 diventerà Presidente della Liberia.
La sua ascesa politica è stata accompagnata da sconfitte e poi da polemiche. Nel 2005 fu il candidato presidenziale sconfitto (vinse quella volta Ellen Johnson-Sirleaf, un'economista, Premio Nobel per la Pace e ancora oggi in carica). Nel 2011 fu sconfitto dal collega di partito Winston Tubman per concorrere alla corsa presidenziale (anch'egli fu sconfitto). Nel 2014 fu eletto senatore e nel 2017 si è presentato quale avversario del vicepresidente in carica Joseph Boakai.
Dopo aver vinto il primo turno (con il 38,7%), a capo della Coalizione per il Cambiamento Democratico (un partito conservatore di centro-destra), ad ottobre, dopo la lunga sospensione della Corte Suprema, a dicembre si è svolto il ballottaggio che lo ha visto vincitore con il 61,5%. George Weah, l'ex pallone d'oro del 1995, da gennaio 2018 guiderà la più antica repubblica africana e soprattutto sarà la prima transizione democratica tra due presidenti eletti da oltre 70 anni.

La Liberia ha avuto negli ultimi 12 anni, quelli della Presidenza della Johnson-Sirleaf, un generale miglioramento delle condizioni di stabilità e sicurezza. Si trattava del resto dell'uscita da oltre 14 anni di guerra civile che aveva fatto oltre 250 mila morti e aveva fortemente destabilizzato il Paese. In questi ha ottenuto la fine del mandato della Missione di Pace delle Nazioni Unite (durata dal 2003 al 2016), il ritiro delle sanzioni internazionali,  l'aumento della speranza di vita da 56 a 62 anni, il PIL aumentato del 248% e soprattutto la ripresa delle esportazioni di cacao, caffè, ferro, ore e diamanti, che hanno consentito di cancellare 4 miliardi di dollari di debito pubblico. Ricchezze enormi di un paese che resta povero. Nel 2014 la Liberia, colpita dall'epidemia di Ebola (oltre 5.000 morti) ha mostrato tutte le sue debolezze che si sono poi concretizzate con un calo del PIL (-1,6%) nel 2016.

Certo su Weah pesa anche il determinante appoggio della senatrice Jewel Howard Taylor, moglie dell'ex sanguinario dittatore Charles Taylor (condannato a 50 anni di reclusione dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l'umanità), che ebbe ruoli di importanza durante la presidenza del marito e che diverrà vice-presidente. Una donna che solo nel febbraio 2012 ha proposto una legge che condannava a morte gli omosessuali. Il National Patriotic Party, di cui la Taylor è esponente, risulta ancora essere guidato dall'ex marito (hanno ufficialmente divorziato nel 2006, ovvero quando si candidò al Senato) dalla prigione. 
Un'alleanza che è stata fondamentale per la vittoria ma che, getta pesanti ombre sul futuro.
Weah, che in campagna elettorale ha promesso scuole gratuite e posti di lavoro, dovrà dimostrare di essere, anche il politica, un vincente.


George Weah, nato e cresciuto nella baraccopoli di Clara Town a Monrovia, di etnia Kru,  aveva 13 fratelli, cresciuto dalla nonna, studia nelle scuola islamica e dopo presso la Wells Hairston High School, si converte all'islam negli anni 90.  Ha sempre raccontato di aver sofferto la fame quando era piccolo. Sposato, ha tre figli.

La Liberia è, dopo l'Etiopia, il più antico stato indipendente dell'Africa. Il nome, che deriva dal latino Liber (libero) fu coniato nel 1822 dalla American Colonization Society, quando comprò (con finanziamento di gruppi religiosi e filantropici americani) delle terre dove stabilire una colonia di "liberi uomini di colore", ovvero ex schiavi. Nel 1847 la colonia proclamò la sua indipendenza. Fino al 1980 il potere resto nelle mani dei discendenti dei coloni. Da allora si susseguirono colpi di stato, dittature e guerre civili che portarono nel 1997 all'elezione del signore della guerra Charles Taylor. Dal 1999 e fino al 2003 una nuova guerra civile mise definitivamente in ginocchio il paese. La capitale, Monrovia, è dedicata a James Monroe, presidente degli Stati Uniti quando fu fondata nel 1822 su un pre-esistente porticciolo.

Ecco un'intervista del 2012 alla Jewel Taylor

lunedì 11 dicembre 2017

Attacco ai caschi blu. Quali sono gli interessi in gioco?

La regione del Kivu a molti dice poco a nulla. E', per molti, una remota zona dell'Africa dove la legge non conta e dove il valore degli uomini, a ancor meno delle donne, è simile allo zero.
Un luogo nel nostro pianeta dalla lussureggiante vegetazione, dove le montagne scendono verso la pianura e attraverso morbide terrazze naturali guardano il lago omonimo ricco di numerose isole. Il clima è l'ideale per l'agricoltura e per gli allevamenti  e il sottosuolo è ricco di minerali di ogni genere (oro, argento, stagno, tantalio, tungsteno, zinco) Sulla carta un luogo che dovrebbe essere un paradiso in terra. Dovrebbe. 
In realtà si tratta di una delle versioni più vicine all'inferno che l'uomo conosca.
A partire dagli anni '90, oramai da oltre due decenni, la regione è teatro di una dei più devastati e dimenticati conflitti del pianeta.

Dal 2000 la Nazioni Unite sono nella Repubblica Democratica del Congo con una missione di pace chiamata MONUSCO (fino al 2010 MONUC), ovvero UN Organization Stabilization Mission in the Democratic Republic of the Congo voluta dalla risoluzione 1291 del novembre 1999. Una missione costata fino ad oggi 8,74 miliardi di dollari e che ha visto passare oltre 95 mila soldati (in media tra i 15 e i 18 mila persone impegnate) di vari paesi. Un impegno nel tentativo di stabilizzare una Regione che invece si infiamma giorno dopo giorno e dove, proprio i caschi blu, sono osservatori di cose che forse qualcuno vorrebbe non far vedere.

L'attacco del 7 dicembre vicino a Beni (Nord Kivu) che ha visto morire 15 caschi blu, tutti tanzaniani, (oltre 53 i feriti) è il più grave degli ultimi anni (bisogna tornare al 5 giugno 1993 quando a Mogadiscio vennero uccisi 24 caschi blu pakistani) avvenuti contro personale dell'ONU. Nel passato più volte gli uomini con il casco blu sono stati oggetti di violenza. Solo in Africa oltre 1300 persone hanno perso la vita nelle 29 missioni che a partire dal 1948 sono state organizzate nel continente nero. Di queste 121 erano nella missione MONUSCO.

La situazione nel Kivu è drammatica. Solo negli ultimi 6 mesi , stando a Human Rights Watch, sono oltre 500 i civili uccisi, oltre 1000 quelli rapiti per riscatto e almeno 11 gli stupri di massa. Quest'ultimo dato è quello che più fa inorridire. Lo stupro come arma di guerra (non si sa per ognuno delle 11 azioni quante donne siano state coinvolte) è diventato per i carnefici delle guerriglie (sono oltre 120 i gruppi armati) un fatto "normale".
La novità di quest'attacco, apparso a tutti come ben organizzato e preparato da tempo, è quella che a farlo sembra sia stato un gruppo ugandese (AFD - Alleanza delle Forze Democratiche) di matrice islamica che colpisce in un'area dove gli islamici sono praticamente assenti. Che dietro ci possa essere la lunga mano di chi ha interessi nel ricco sottosuolo del Kivu, sembra scontato.
Allora è spontanea la domanda: chi finanzia questi gruppi e quali sono gli interessi in gioco?