Forse il nome Fairphone non a tutti dice qualcosa. Il rischio di pensare all'ennesima entrata nel mercato degli smartphone di un'azienda cinese è alto e per fortuna quanto più lontano dalla realtà.
Fairphone è invece una splendida realtà ed è olandese. Nasce come idea nel 2010 e si concretizza nel 2013 quando viene lanciato il Fairphone 1. Si tratta, per sintetizzare, di uno smartphone etico, il primo al mondo, che poggia le sue basi sulla necessità di controllare l'intera filiera della produzione dei metalli e dei minerali che sono alla base delle tecniche costruttive dei moderni cellulari.
Per farlo i principi sono due: uno smartphone fatto per durare (quindi modulare e riparabile dove non si cambia e si getta l'intero apparecchio ma solo parti di esso) e il controllo della fornitura dei materiali basata su principi etici e su pratiche estrattive compatibili con l'ambiente e con i diritti dei lavoratori.
E' cosa nota che i moderni telefoni cellulari contengono almeno una quarantina (40) di diversi minerali e metalli. Molti dei quali (purtroppo la maggior parte) provenienti da zone di guerra o di conflitto (spesso sono gli stessi estrattivi a determinare i conflitti al punto tale da essere chiamati conflict minerals).
Molti di questi minerali provengono da regioni dell'Africa (Sancara aveva già parlato del coltan della zona del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo ma un discorso analogo potrebbe valere per il tungsteno del Ruanda) dove è altissimo il livello del conflitto, dello sfruttamento (spesso di bambini) e dei guadagni illegali.
L'idea di Fairphone (che nel 2015 ha lanciato la versione 2), nasce nel cuore di Amsterdam ad opera di Bes Van Abel, giovane e vulcanico attuale Amministratore Delegato di Fairphone (che oggi ha circa 70 dipendenti) ed ha preso piede all'interno della Waag Society (una fondazione olandese che si occupa di arte e tecnologia) cercando in un primo tempo di sensibilizzare i consumatori alla complessità che si nasconde dietro ad uno smartphone. Nel 2013, assieme ad altri soci come Miquel Ballester (di cui vi segnalo questa intervista) e Tessa Wernink, con un investimento iniziale di 400 mila euro e una campagna di crowdfunding, si passa ai fatti puntando sulla sostenibilità e sul controllo della filiera dei materiali.
La sfida iniziale è stata quella di tracciare tutta la filiera di produzione di quattro minerali (stagno, tantalo, tungsteno e oro) prodotti nella Repubblica Democratica del Congo e nel Ruanda. Contemporaneamente si è provveduto a creare un apparecchio in cui il proprietario può sostituire semplicemente tutti gli elementi (batteria, schermo, modulo con telecamera, jack per cuffie, porte usb e via così) ed è interamente predisposto per upgrade e espansioni. Infine, i codici sorgente sono aperti a proprietari e sviluppatori. Insomma un cambio di paradigma fondamentale rispetto ai telefoni di oggi che oramai non permettono nemmeno l'accesso alla batteria!
Recentemente Fairphone ha allargato il suo orizzonte anche alle condizioni di lavoro delle ditte fornitrici.
Per la cronaca, Fairphone 2 costa attorno alle 530 euro.
La questione del controllo della filiera di produzione è la vera chiave di volta dell'intero sistema di produzione che coinvolge milioni (probabilmente centinaia di milioni) di individui che lavorano in condizioni disumane o di schiavitù. Purtroppo solo quando saranno anche le stesse aziende a lanciare la sfida al consumatore sulla certificazione etica delle materie prime il sistema sarà costretto a mettere in crisi modalità di produzione che seminano morte e povertà. Pensare di tenere in mano qualcosa che ha determinano la morte di altri individui dovrà indurci, prima o poi, tutti, a fare un passo indietro e a ricercare soluzioni con maggiore attenzione agli altri, ai diritti e alla vita.
Questo discorso vale per tutto. Provate a pensare alle produzioni agricole, dove lo sfruttamento, anche in Italia, è elevatissimo (e in grande aumento) e dove le filiere controllate e certificate sono ancora poche.
Abbiamo tutti una responsabilità, non deleghiamola ad altri.