Il premio Nobel per la Pace 2018 è stato dato al ginecologo congolese Denis Mukwege (assieme alla yazida Nadia Murad) per l'impegno contro gli stupri di guerra. Verrebbe da dire, finalmente!
Mukwege, che oggi ha 63 anni, dopo aver studiato in Burundi e in Francia dove si specializza in ginecologia e ostetricia, torna nel 1989 nel suo paese, la Repubblica Democratica del Congo, dove nel 1999 fonda l'ospedale di Panzi, nel Kivu meridionale, dove si impegna a curare le donne che vengono violentate e mutilate. Sin dal 2012 Mukwege denuncia, inascoltato, la situazione delle donne nella Repubblica Democratica del Congo e del Kivu in particolare. Più volte è stato attentato all sua vita. Ma nulla si è mosso.
Il nome "l'uomo che ripara le donne" fu coniato dalla giornalista belga Colette Braeckman che lavora per Le Soir e per Le Monde Diplomatique e che ha approfondito molto la questione del genocidio ruandese (che è strettamente collegato alle violenze del Kivu), dell'uso dei bambini soldato e della violenza sulle donne in quell'area dimenticata del nostro pianeta.
Mukwege che nel corso delle sua carriera medica ha curato oltre 50 mila donne vittime di orrendi stupri ha raccontato in ogni luogo la follia dei macellai che usano lo stupro come arma di guerra.
Si perché sia chiaro, non stiamo parlando di uomini, ma di bestie, bestie che non esitano a gettare benzina nella vagina delle donne appena stuprate e poi darle fuoco, che non esitano a mutilare seni e mani di giovanissime donne, che non esitano ad usare ogni sorta di oggetti accanendosi su donne inermi.
Bestie, macellai, uomini di merda, criminali o mostri, poco importa.
Ma non sono diversi i potenti del pianeta che nonostante le denunce non hanno mosso un dito, non hanno pensato che nessuno difende quelle donne e che il lavoro di Mukwege è solo quello di riparare pezzi di carne, oramai svuotate da qualsiasi parvenza di umano. Il suo, sia chiaro è un lavoro immane, ma resta quello di un uomo di scienza che affronta una situazione che solo a pensarla mette i brividi.
Siamo onesti, i premi Nobel o ancora il premio Sakharov del 2014, non servono a nulla. Accenderanno forse i riflettori su un tema conosciuto e stra-conosciuto da anni (nel numero 984 del 25 gennaio 2013 di Internazionale, oramai oltre 5 anni fa, potete leggere un corposo articolo proprio su Denis Mukwege, dove purtroppo, si dicono le stesse cose di oggi).
Lo donne pagano un prezzo enorme per colpa del ricco sottosuolo del Kivu (vedi questo post si Sancara ed il suo aggiornamento su questo post, articoli del 2012) dove si estraggono minerali e metalli preziosi di ogni tipo (dal coltan per i nostri smartphone, all'oro, lo zinco, il tungsteno e lo stagno).
Recentemente (dicembre 2017, vedi questo post) perfino i caschi blu che da quasi vent'anni sono nella Repubblica Democratica del Congo, sono stati attaccati. Gli interessi in gioco sono enormi e le bande di criminali crescono come i funghi per accaparrarsi una fetta, più o meno importante, della torta.
E dove le armi, che arrivano a fiumi nel paese, non bastano ecco un'arma infame, come quella degli stupri, capace di incidere non solo sul momento ma, devastando il futuro di intere popolazioni.
Non spegnere i riflettori non è più auspicabile ma un'imperativo per il genere umano.
5 commenti:
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