L'Etiopia è una terra di grande cultura e di storia. Dagli studiosi è considerata uno dei luoghi dove si sono sviluppati gli esseri umani. Ritrovamenti, anche recenti, hanno fatto emergere ossa di progenitori degli uomini vissuti oltre 4 milioni di anni fa. L'Etiopia è anche il luogo dove si sono sviluppati, in epoche sicuramente più recenti, regni di grande importanza come il Regno di Axum (I secolo A.C. - X secolo) e successivamente l'Impero d'Etiopia (1137-1975).
L'Etiopia è stata soprattutto in grado, unico caso nel continente africano, di respingere i tentativi di colonizzazione e a parte un breve periodo (1936-1941) in cui fu occupata dalle truppe italiane ebbe sempre sovranità sul suo territorio.
La storia moderna dell'Etiopia è stata caratterizzata dal ruolo prima dell'ultimo imperatore, Tafarì Maconnen (Haile Selassie) che regnò dal 1930 al 1974 (a parte l'esilio in Inghilterra durante l'occupazione italiana) e successivamente dalla figura del Negus rosso, Menghistu Hailè Mariam, che dopo aver detronizzato Salassie e ucciso in prigione l'anno dopo, dal 1977 al 1991 (quando fu deposto) instaurò una sempre più feroce dittatura.
La nascita della Repubblica Federale Democratica guidata da Meles Zenawi, anch'egli di etnia tigrina (minoranza nel Paese e come il fronte di liberazione dell'Eritrea, con cui si era alleato per destituire Menghistu) dal 1991, e la conseguente nascita dello stato dell'Eritrea nel 1993 sembrava avviare il Paese verso una possibile soluzione di tutti i suoi mali, ma non fu così.
Il paese, per una disputa di confini, nel 1998 riaccese una guerra con la confinante Eritrea, i cui costi, sommati alle frequenti carestie di alcune aree del Paese hanno causato effetti devastanti sull'economia.
Nel 2012 Zenawi, a soli 57 anni, morì a Bruxelles, lasciando un Paese in ginocchio nelle mani del suo vice, Haile Mariam Desalegn e alle prese con una nuova e drammatica siccità iniziata nel 2011. La situazione si è strascinata, tra brogli elettorali, proteste e repressioni, mentre si manteneva viva la guerra di confine con l'Eritrea, oramai quasi dimenticata e di cui quasi non si parlava più.
Quando il 15 febbraio 2018 Desalegn si dimette, la sensazione diffusa è che il Paese è vicino ad una guerra civile. La piazza è in tumulto e la rivolta si diffonde a macchia d'olio. Dopo aver dichiarato lo stato di emergenza, due mesi dopo viene eletto Primo Ministro un giovane (42 anni) di etnia Oromo , Abiy Ahmed Alì.
Abiy, riformista con un passato nell'esercito (era tenente-colonnello) e due lauree in Business Amministrazione e poi in Filosofia, ottenute tra il Sudafrica, Londra e l'Etiopia, membro dell'ODP (Oromia Democratic Party) diventa il primo ministro della storia dell'etnia maggioritaria (40%) del Paese, gli Oromo.
Nel suo discorso di insediamento annuncia profondi cambiamenti e riforme. Fin qui, si direbbe, tutto normale. Abbiamo visto ovunque nel mondo nuovi leader annunciare grandi cose durante la campagna elettorale o nei primi giorni del loro mandato e poi disattendere puntualmente tutte le promesse.
Il cambiamento non è una questione di belle parole o di annunci (come qualcuno, anche vicino a noi, vuol far credere) bensì un insieme di coerenti e coraggiosi atti. Abiy questo lo sa. Nei primi 100 giorni del suo mandato, libera migliaia di prigionieri politici, dichiara finito lo stato di emergenza, ammette l'uso delle tortura da parte dei servizi di sicurezza e rimuove i funzionari coinvolti e annuncia privatizzazioni in molti settori.
Ma la sua mossa più sorprendente è che si reca ad Asmara e, chiamando gli eritrei amici, mette fine a due decenni di guerra. Ritira le truppe e soprattutto in poco tempo ristabilisce collegamenti telefonici e aerei con l'Eritrea e favorisce il dietro delle persone in esilio. Insomma, come hanno avuto modo di commentare illustri esponenti della cultura etiope "quello che sta succedendo in questo paese va oltre i nostri sogni e la nostra immaginazione".
Certo bisognerà ancora aspettare le reazioni del Paese (soprattutto di esercito e servizi), ma a quasi un anno di distanza non solo è ancora una speranza per il Paese e le sue riforme continuano a crescere ma, è riuscito anche a stabilizzare il Paese e consolidare la via dell'uscita da un tunnel, quando il 18 ottobre 2018 è stata eletta Presidente dell'Etiopia Sahle-Uork Zeudè, prima donna a ricoprire questo incarico nella storia etiope e soprattutto diplomatica con una grande esperienza di relazioni internazionali e all'interno delle agenzie internazionali. Nello stesso giorno Abiy ha ridotto il suo governo da 28 a 20 membri, di cui 10 (il 50%) donne.
L'Etiopia è un paese con oltre 100 milioni di abitanti (dove assieme ad una spiccata modernità convivono ancora tradizioni e culture antiche), con un PIL che viaggia vicino alla doppia cifra da anni (8%), con una posizione strategica nel Corno d'Africa e con una grande responsabilità nel grande flusso delle migrazioni di massa verso l'Europa e verso il Medio Oriente.
La speranza che uomini come Abiy - che continua ad essere molto amato dalla gente - possano trascinare l'Africa verso sviluppo e ricchezza - è oggi qualcosa di più di una semplice utopia!
La nascita della Repubblica Federale Democratica guidata da Meles Zenawi, anch'egli di etnia tigrina (minoranza nel Paese e come il fronte di liberazione dell'Eritrea, con cui si era alleato per destituire Menghistu) dal 1991, e la conseguente nascita dello stato dell'Eritrea nel 1993 sembrava avviare il Paese verso una possibile soluzione di tutti i suoi mali, ma non fu così.
Il paese, per una disputa di confini, nel 1998 riaccese una guerra con la confinante Eritrea, i cui costi, sommati alle frequenti carestie di alcune aree del Paese hanno causato effetti devastanti sull'economia.
Nel 2012 Zenawi, a soli 57 anni, morì a Bruxelles, lasciando un Paese in ginocchio nelle mani del suo vice, Haile Mariam Desalegn e alle prese con una nuova e drammatica siccità iniziata nel 2011. La situazione si è strascinata, tra brogli elettorali, proteste e repressioni, mentre si manteneva viva la guerra di confine con l'Eritrea, oramai quasi dimenticata e di cui quasi non si parlava più.
Quando il 15 febbraio 2018 Desalegn si dimette, la sensazione diffusa è che il Paese è vicino ad una guerra civile. La piazza è in tumulto e la rivolta si diffonde a macchia d'olio. Dopo aver dichiarato lo stato di emergenza, due mesi dopo viene eletto Primo Ministro un giovane (42 anni) di etnia Oromo , Abiy Ahmed Alì.
Abiy, riformista con un passato nell'esercito (era tenente-colonnello) e due lauree in Business Amministrazione e poi in Filosofia, ottenute tra il Sudafrica, Londra e l'Etiopia, membro dell'ODP (Oromia Democratic Party) diventa il primo ministro della storia dell'etnia maggioritaria (40%) del Paese, gli Oromo.
Nel suo discorso di insediamento annuncia profondi cambiamenti e riforme. Fin qui, si direbbe, tutto normale. Abbiamo visto ovunque nel mondo nuovi leader annunciare grandi cose durante la campagna elettorale o nei primi giorni del loro mandato e poi disattendere puntualmente tutte le promesse.
Il cambiamento non è una questione di belle parole o di annunci (come qualcuno, anche vicino a noi, vuol far credere) bensì un insieme di coerenti e coraggiosi atti. Abiy questo lo sa. Nei primi 100 giorni del suo mandato, libera migliaia di prigionieri politici, dichiara finito lo stato di emergenza, ammette l'uso delle tortura da parte dei servizi di sicurezza e rimuove i funzionari coinvolti e annuncia privatizzazioni in molti settori.
Ma la sua mossa più sorprendente è che si reca ad Asmara e, chiamando gli eritrei amici, mette fine a due decenni di guerra. Ritira le truppe e soprattutto in poco tempo ristabilisce collegamenti telefonici e aerei con l'Eritrea e favorisce il dietro delle persone in esilio. Insomma, come hanno avuto modo di commentare illustri esponenti della cultura etiope "quello che sta succedendo in questo paese va oltre i nostri sogni e la nostra immaginazione".
Certo bisognerà ancora aspettare le reazioni del Paese (soprattutto di esercito e servizi), ma a quasi un anno di distanza non solo è ancora una speranza per il Paese e le sue riforme continuano a crescere ma, è riuscito anche a stabilizzare il Paese e consolidare la via dell'uscita da un tunnel, quando il 18 ottobre 2018 è stata eletta Presidente dell'Etiopia Sahle-Uork Zeudè, prima donna a ricoprire questo incarico nella storia etiope e soprattutto diplomatica con una grande esperienza di relazioni internazionali e all'interno delle agenzie internazionali. Nello stesso giorno Abiy ha ridotto il suo governo da 28 a 20 membri, di cui 10 (il 50%) donne.
L'Etiopia è un paese con oltre 100 milioni di abitanti (dove assieme ad una spiccata modernità convivono ancora tradizioni e culture antiche), con un PIL che viaggia vicino alla doppia cifra da anni (8%), con una posizione strategica nel Corno d'Africa e con una grande responsabilità nel grande flusso delle migrazioni di massa verso l'Europa e verso il Medio Oriente.
La speranza che uomini come Abiy - che continua ad essere molto amato dalla gente - possano trascinare l'Africa verso sviluppo e ricchezza - è oggi qualcosa di più di una semplice utopia!