giovedì 10 ottobre 2019

Un telefono africano

Era una notizia che si aspettava da tempo, troppo. Nei giorni passati è stato presentato in Ruanda il primo telefono completamente africano, prodotto dalla Mara Phones Factory. Si tratta di una azienda che non assembla pezzi di altri  (come già avviene) bensì produce schede madri e componenti. Una eccellenza africana, con sede a Kigali, che ha lanciato nei giorni scorsi i primi due modelli, Mara X e Mara Z (uno da 16 Gb e l'altro da 32 Gb, smartphone di alta qualità al costo equivalente di 118 e 170 euro).

L'azienda cerca di penetrare nel mercato "panafricano", oggi in mano o ai cinesi o alle grandi aziende di telefonia, sfruttando anche i recenti accordi del Trattato di Libero commercio nel continente africano.
Ma si distingue anche per altre ragioni tra cui il fatto che dei 200 dipendenti che per ora lavorano nella sede di Kigali, il 60% sono donne.
E' interessante anche il fatto che questa piccola rivoluzione tecnologica avviene nel paese che solo 25 anni fa è stato protagonista di uno dei più ignobili atti dell'era contemporanea.

Si tratta quindi, da qualsiasi parte si veda, di una grande bella notizia. Il mercato della telefonia in Africa è in grandissima espansione, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, avendo, di fatto tutta l'Africa, bypassato la tecnologia fissa e puntato direttamente alla telefonia mobile. 
L'industria africana ha una grande necessità di svilupparsi secondo direttive proprie (non quelle imposte da altri che tendono a lasciare inalterati i rapporti di forza e dipendenza con gli ex coloni o con i nuovi coloni economici). Sarà importante verificare poi, con la produzione telefonica africana (la quale, se riuscirà a far scattare l'orgoglio africano, potrà conquistare una grandissima fetta di mercato a scapito di altri) anche le questioni etiche, come quelle dell'estrazione del coltan, che a non molta distanza da Kigali, ancora oggi generano una strage di innocenti e alimentano una sanguinosa e oramai dimenticata guerra.

Insomma, molti sono i quesiti aperti e le incognite per il futuro. Quel che è certo è che lo sviluppo dell'Africa, la sua reale indipendenza e probabilmente il futuro del nostro pianeta risiede nella capacità di imprimere una reale inversione di marcia nelle dinamiche dell'economia mondiale. Non tutti, sia chiaro, saranno contenti di questa svolta.

Ecco la presentazione della Mara Phones.

Anche la storia imprenditoriale del fondatore della Mara è molto singolare. Infatti Ashish Thakkar, ha oggi 38 anni. Di famiglia indiana emigrata in Uganda e costretta a lasciare il paese nel 1972 con la repressione di Idi Amin, nacque in Inghilterra nel 1981 e assieme alla famiglia ritornò a vivere in Africa, in Ruanda. Ancora una volta, il genocidio del 1994, li costrinse ad emigrare prima in Burundi e poi ancora in Uganda come rifugiati. Nel 1996, a 15 anni, con un prestito di 5 mila dollari, fonda la Mara Group, importando pezzi di ricambio per computer da Dubai. Riesce a far crescere il gruppo anche in altri settori, quali servizi, agricoltura e immobiliare.
Dopo alcune partnership azzeccate, nel 2009 lancia la Mara Foundation,  un impresa non-profit, dedicata a supportare i giovani imprenditori africani. Nel 2012 è uno dei 10 giovani milionari africani, entrando poi nel gruppo degli imprenditori che dialogano con le Nazioni Unite e con i governi per uno sviluppo del continente.







mercoledì 2 ottobre 2019

Dalla parte giusta del Pianeta

Forse i nonni della mia generazione, quelli che hanno patito la guerra e la povertà, ricordano il significato, e qualcuno perfino l'esperienza, del "morire di fame". Viviamo in una società - la nostra - dove è molto più facile morire di esagerazione che di stenti. Dove è spesso il troppo a creare problemi alla nostra vita.
Recentemente il World Food Program ha pubblicato la mappa della fame nel mondo, ovvero quei luoghi ove quasi un milione di persone muoiono di fame.


Inutile dire che un semplice sguardo alla cartina geografica ci mette nelle condizioni di comprendere una cosa molto semplice: siamo fortunati, abitiamo nella parte giusta del Pianeta!

Sia chiaro, questo non significa che i rimanenti 7 miliardi di abitanti del Pianeta se la pano tutti bene. Metà di loro (circa 3,5 miliardi) non sanno se domani potranno ancora mangiare.

A rafforzare questo quadro, non certamente piacevole per qualcuno, vi è un articolo apparso oggi sul Sole 24 Ore (con una bellissima galleria fotografica che vi consiglio di guardare) che torna a mettere al centro della questione uno dei luoghi più a rischio "esplosione" del nostro Pianeta. Una bomba ad orologeria, qualcuno l'ha definita, "l'area più vulnerabile" al mondo per gli effetti del cambiamento climatico. Sicuramente un luogo dove povertà, voglia di scappare, malessere, senso di marginalizzazione, corruzione e violenze,  stanno facendo covare un malcontento che prima o poi dovrà trovare sfogo.

E' una storia lunga quella del Sahel, dove gli allarmi si ripetono da anni (vedi questo post di Sancara del 2012 o quest'altro , sempre del 2012) ed ad ogni emergenza viene detto che bisogna intervenire, senza che poi mai, azioni concrete vengano messe in campo.
Siamo a fronte della solita questione, lavorare sulle emergenze è più conveniente sotto ogni aspetto. E' più facile ottenere finanziamenti, è più facile impietosire l'opinione pubblica (mostrare un bambino denutrito e sofferente all'ora di cena, stimola maggiormente il senso di colpa e fa aumentare la voglia di espiare le proprie colpe prima di gettarsi nelle nostre abbondanti tavole), è più facile chiedere misure emergenziali che permettono di eludere norme e vincoli e così via.
Di anno in anno (un pò come fatto per il clima) abbiamo attuato questa tecnica: aspettare l'emergenza per agire.  Il problema è che lentamente siamo scivolati verso una concatenazione di eventi che è sempre più difficile fermare.

Foto: Oxfam
Vi è un risvolto della medaglia che è bene mettere in luce. Gli studiosi di migrazioni hanno ben chiaro che "si sposta solo chi dispone dei mezzi necessari per migrare" (e su questo trafficanti di vario genere stanno facendo fortune), che in altri termini significa che il controllo delle migrazioni passa attraverso il fatto che popolazioni molto povere non migrano. In uno straordinario libro ("Fuga in Europa"), l'analista Stephen Smith sostiene che il potenziale migratorio africano verso l'Europa è di circa 150-200 milioni di persone, se (ed è questo il punto cruciale) le loro condizioni economiche miglioranno quel tanto da farli partire!

Infatti, per ora, come sostiene l'Istituto Affari Internazionali, "le migrazioni dal Sahel sono praticamente nulle", mentre quasi tutti i Paesi dell'area sono zone di transito dove proliferano criminali di varia natura e quelle forze, crescenti negli ultimi tempi, di matrice anti-europea. 

La bomba che abbiamo innescato probabilmente non ha più nessuna possibilità di essere fermata. La scommessa dei prossimi anni (non più decenni) è quella di trovare la chiave affinché l'esplosione venga ritardata più a lungo possibile.